Un
sabato pomeriggio a Ferrara
Decise che quel giorno voleva pensare. Sì, anche
scrivere. Insomma buttare giù qualche riga per fermare l'attimo, come diceva.
Così
cominciò a battere sui tasti e trascrisse, a memoria, l' ultima
pagina di On the road. Mentre scriveva pensava a quei giacimenti di umanità, a
quella insaziabile voglia di provare e di capire contenuta in quella terra
enorme, compresa tra due oceani. Una terra che
non ha mai smesso di muoversi al ritmo di quelle onde. Persone da incontrare,
con le quali avanzare. Strade da percorrere , futuro
da reinventare ogni notte. Credeva di sapere che
quelle persone davvero si sentissero parte di un prezioso
giacimento, dal quale tutto il mondo traeva le sue risorse. Una lingua
sola, una terra sola, un' infinità di soluzioni
possibili. Dove è in Europa una simile spinta ?
Pensava.
L' Impero
Ottomano sempre portato ad esempio di tolleranza e di capacità di coesistenza
tra culture diverse. Non sapeva perché, ma mai una parola su come negli Stati
Uniti ormai da secoli queste cose fossero il nucleo
stesso della vita.
Sentiva
che questi pensieri lo rendevano nervoso, lo indignavano.
Pensava a suo nonno costretto a abiurare la
sua religione. Pensava a quando aveva voluto tornare,
lui ormai vecchio, nel seno della sua comunità. Chi aveva avuto questa sorte
negli Stati Uniti ? Nessuno, diceva. Nessuno. Più
pensava e più si arrabbiava, le mani divennero gelate. Kerouac
terminò di scorrere sotto le sue dita e lesse.
"E
così in America quando il sole tramonta e me ne sto seduto sul vecchio molo
diroccato del fiume..." Gli venne in mente
Leopardi. Gli venne in mente che se chiudeva gli occhi poteva pensare meglio.
Gli venne in mente che tutti vogliono scappare da dove
si trovano. Leopardi da Recanati, suo nonno dall' Italia.
I figli di suo nonno i suoi zii, tutti lontani, Parigi, Londra. Tutti morti per
trovare qualcosa fuori dalla loro terra. Kerouac in Messico. E tutta quella gente, quelle persone
che fuggivano da Cuba, dal Vietnam, dalla Cina.
Ricordò quelli che cercavano di scavalcare il muro a Berlino e quelli che
cercavano di scappare dall' Unione Sovietica per
andare in Israele.
"....e a tutta quella gente che sogna nella sua
immensità..." Gli venne in mente che tutti , da
tutto il mondo erano corsi a farsi ammazzare in Europa, che tanti, tantissimi
erano arrivati a Firenze ad aiutare dopo l'alluvione. E noi ?
Noi non eravamo mai andati da nessuna parte, forse non ce ne era stata la
necessità, ma se fosse stato necessario ? Se fossimo
stati chiamati ? Saremmo andati ?
No, disse, non
siamo capaci di andare a farci ammazzare per la libertà, non siamo capaci di
aiutare nessuno. Ma i tedeschi erano nostri nemici ed oggi sono in milioni
d'estate sulle nostre spiagge, vorrà pur dire qualcosa. Non capiva.
L'indignazione lasciò il posto allo sconforto, ricordò quella volta che alle superiori fu scelto per partecipare ad un concorso di
italiano . Cosa pensate della Comunità Europea o una cosa così. Si ritrovò a concorrere
contro il segretario provinciale della FIGC. Scrisse un tema molto critico,
contro la tendenza della Comunità a divenire una super burocrazia. Fu
scelto a rappresentare l'istituto, il tema del segretario. Era un peana alla
capacità degli stati europei di superare il trauma della guerra e di vivere in
pace all'interno della Comunità. Pace pensava , ma se
non ci fossero stati gli altri, quelli che sono venuti da fuori, prima a farsi
ammazzare e poi a darci i soldi, saremmo stati capaci da soli di vivere in pace
?
"...e
che nessuno, nessuno sa cosa toccherà a nessun altro se non il desolato
stillicidio della vecchiaia che avanza, allora penso a Dean
Moriarty, penso perfino al vecchio Dean Moriarty padre che non
abbiamo mai trovato, penso a Dean Moriarty."
Aveva
scritto e aveva letto e aveva pensato. Si guardò intorno, Era nel suo ufficio
lontano da tutto ciò che aveva scritto. Gli occhi lucidi per quelle cose così
intime che aveva provato a pensare. Ma non era finita, si ritrovò
improvvisamente nella Piazza Rossa. Accompagnava per mano i suoi figli,
piccoli. Guardavano San Basilio e l' orrenda tomba di
Lenin. Non sapeva cosa dire loro. Papà, ma è la piazza più grande del mondo ? Non so, non credo. Ed è l'immagine del carroarmato e del ragazzo che lo vuole fermare. No, non
credo, penso che la più grande sia a Pechino. Strinse più forte la mani dei suoi bimbi e disse "Però questa e davvero
la più bella perché adesso io sono qui con voi e nessuno potrà mai dubitare di
questo".