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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Abiti su misura di Milvia Comastri 01/12/2006
 

Abiti su misura

 

Finalmente. Finalmente quel che resta del giorno ti appartiene completamente. Hai messo a dormire i bambini, hai guardato sotto il letto di Daniele per rassicurarlo che nessun drago se ne stia lì acquattato, hai recitato la filastrocca buffa a Elisa, sempre quella, così anche lei si sente rassicurata. Te ne sei stata a guardarli con tenerezza e orgoglio, mentre le loro palpebre pian piano si abbassavano. Le mie creature, hai pensato. Hai dato un bacio lieve sulle labbra di tuo marito, che si è addormentato presto, questa sera, stanchissimo per aver affrontato, oggi, un'estenuante trattativa di lavoro. Anche guardare lui, ti ha riempito il cuore di dolcezza. Per un attimo hai pensato di stenderti lì accanto, di svegliarlo a poco a poco, con piccole carezze, con una leggera pioggia di baci. Per un attimo hai desiderato di farlo. Ma poi sei uscita dalla stanza, hai chiuso senza rumore la porta dietro di te. Hai camminato al buio, nel lungo corridoio. Un sorrisetto ti si è stampato sulle labbra. E' bello questo silenzio, questa assenza di luce, è tutto così riposante e amichevole. E poi, in fondo al corridoio, in quella stanzetta trasformata in minuscolo studio, ti attende tutto un mondo. Il tuo mondo segreto. Il tuo mondo di notte.

Sigarette, accendino, una bottiglia d'acqua, ecco, sei pronta. Un'ultima cosa: peschi fra i cd quello che per questa sera ti sembra il più adatto. Questo, sì, questo degli Ekòva. Lo ascoltavi sempre quando la tua avventura è iniziata, ricordi? Bene. Ora ti siedi, accendi il tuo Mac, e mentre clicki su Word senti quasi un frullo nel cuore. Quante sere hai passato, qui davanti… Beh, fai un conto veloce: un anno, ti dici, sì, era settembre. Ho iniziato quando Marco era in America per la ditta, e i bimbi dalla nonna. Poi, metti due o tre volte alla settimana. A volte meno, a volte più. Apri la cartella che porta il tuo nome, un nome provvisorio, lo sai bene, ma ancora non sei sicura di come la chiamerai, questa cosa. Quando pensi di aver trovato il nome giusto ecco che subito dopo ti sembra banale, o pretenzioso, o… Beh, ci penserai alla fine, vero? Fai scorrere le pagine, velocemente. Poi ogni tanto ti soffermi, i tuoi occhi colgono qualcosa, scuoti la testa, batti sui tasti, tagli, incolli. Prosegui, e poi improvvisamente ti viene voglia di cancellare tutto. Ti sembra tutto così… così ingenuo e superficiale e senza senso. Ti guardi intorno. Ci sono libri nello scaffale che arriva fino al soffitto, ci sono libri impilati a terra, ci sono libri ovunque, in quella stanzetta. E io, pensi, che mi sono messa in testa? Lo sguardo ti cade sulla raccolta dei racconti di Maupassant. Li hai divorati, quei racconti, eri al primo anno di università, e dopo le lezioni correvi a casa, ti chiudevi in camera e ti abbeveravi di quelle parole, fino a che tua madre entrava di prepotenza nella stanza, stanca di chiamarti e richiamarti per la cena. Leggere. Che magia è sempre stata per te. Come un calore, dentro. Come un amore, un innamoramento. E adesso…Va beh, continui a far scorrere le parole sullo schermo, fino ad arrivare a una pagina bianca. Credi di avere già tutto in testa. Le creature che sono racchiuse in questo portatile ti fanno compagnia durante il giorno, mentre cucini, fai la spesa, rassetti la casa. Ti parlano delle loro vite, delle gioie, dei dolori, delle loro scelte. A volte le devi zittire, perché le loro voci ti distraggono dalle tue piccole faccende quotidiane. Quando si fanno più impellenti vorresti fare come Jane Austen, che scriveva su un angolo del tavolo del tinello, mentre in cucina il pranzo finiva di cuocersi. “Orgoglio e pregiudizio” è nato così, ricordi sorridendo.  Ricominci a battere sui tasti, mentre in “The garden” risuona sommesso fra le pareti. Ma tu non la senti più, la musica. Sei senza spazio, e tempo e percezioni sensoriali. Scrivi velocemente, e diventi Angela, e Federico, e Lola, e il gatto Milù, e il signor Belli. I tuoi personaggi. Le tue creature, anche queste. Che si muovono nella tua testa, e, come i tuoi figli, a volte si ribellano, fanno scelte che non erano quelle che tu avevi progettato per loro. Ma va bene così. La libertà, l'indipendenza da schemi prefissati. Un principio basilare nella tua vita. Anche se… Anche se poi si devono indossare vestiti preconfezionati, a volte. E non sempre sono della misura giusta. E' stato in settembre che te ne sei accorta. Una cucitura un po' stretta sul cuore, e anche le braccia non riuscivi più ad alzarle agilmente. Erano come impaniate, pesanti, come le ali di un gabbiano lordate di petrolio. Ti sei fatta domande, ricordi?

Ti sei interrogata se qualcosa non andasse nella tua vita. Le risposte hai cominciato a scriverle sul tuo computer, hai messo crocette, sequele di sì e no. Sì, eri ancora innamorata di tuo marito. No, non eri completamente felice. Sì, adoravi i bambini. Sì, avresti fatto le stesse scelte, potendo tornare indietro… Eppure. Eppure qualcosa c'era. O non c'era. E' così che hai cominciato la cosa: buttando giù parole, prima un po' a casaccio, come quando su un banco del mercato si cerca un colore che colpisca, o una morbidezza di una stoffa, senza sapere quale. E a poco a poco ti sei cucita un vestito nuovo. Un vestito su misura. In segreto, senza dirlo a nessuno, punto su punto, complice la notte. Un po' ti vergogni a chiamarlo “romanzo”. Quando ci pensi dici “ la cosa”, quella cosa là, ti dici. Ma ancora hai quel sorrisetto sulle labbra, come adesso, mentre continui a battere sui tasti, e loro, le tue creature, guidano i tuoi pensieri.

 

E' molto tardi. E' quasi l'alba. L'ultima pagina. L'ultima parola. Spegni il computer, raccogli la bottiglia, il posacenere colmo, stai un attimo nel buio. Domani, anzi, oggi, svelerai il tuo segreto. E un poco ti dispiace. Ci saranno altre notti, altre creature. Ma mai più come queste.

 

 

 

 
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