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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  La notte dell'assunta di Donato Altomare 16/12/2006
 

LA NOTTE DELL'ASSUNTA

 

 

 

         Convinco Tonio a raccontarmi questa storia in una fresca giornata di inizio settembre. Più volte me l'ha accennata, ma non è mai andato oltre qualche frase smozzicata e qualche accenno a fatti strani. E' restio a farlo, forse si sente quasi ridicolo, ma poi non resiste, ha bisogno di sfogarsi, e mi parla dello zio del suocero.

- Morì il giorno di ferragosto, a mezzogiorno in punto, quando le campane suonano per festeggiare l'Assunta.

Questo non piacque a nessuno nel piccolo paese. Non per lui, pover'uomo, ma per il momento infelice in cui aveva deciso di rendere l'anima a Dio. Non si può morire il giorno di ferragosto alle dodici in punto, vi sono troppe implicazioni magiche. E' quasi un atto di presunzione, quello di salire al cielo insieme alla Madonna. Gli anziani del paese che, ancor oggi, passeggiano per le tortuose stradine del paesino e si siedono sotto il gigantesco pino  a riposare, quando succede qualcosa del genere si segnano e sprangano bene la porta di casa non appena l'imbrunire cede il posto al buio stellato. I pochi turisti sorridono e continuano a passeggiare sino a tarda sera, ma poiché anch'essi sono di origine locale, fanno in modo di rientrare in casa prima che l'orologio della piazza scocchi la mezza della notte. Lo fanno con indifferenza, ma a un attento osservatore certo non sfuggirebbe lo sguardo preoccupato che ogni tanto lanciano al proprio orologio da polso e il sospiro di sollievo alla vista delle mura amiche pronte ad accoglierli. E nonostante il caldo, le finestre vengono chiuse accuratamente, e le porte sprangate.

         Perché è morto qualcuno alla mezza del dì dell'Assunta in Cielo.

         Io non lo sapevo - continua a raccontare il mio amico - né ero del posto, provenivo da un porto di mare con altre leggende e altre superstizioni. E' la mia unica giustificazione. Anche se avevo letto da qualche parte storie del genere, alle quali credevo e non credevo, a seconda dell'umore e della compagnia.

         Poi dà un calcio ad un barattolo guardando per terra e inizia a raccontare.

 

         La casa di mio suocero è fuori paese, una deliziosa villetta piuttosto grande aggrappata al fianco della collina, col Vulture sullo sfondo e il Castello di Lagopesole a dominarla. I filari delle viti si inseguono per un centinaio di metri monotoni e paralleli sino ai piedi del piccolo cimitero. Dalle finestre della villa si vedono le luci dei ceri elettrici rischiarare le immagini dei dormienti. Forse fu questa la ragione ché la visita fu proprio a noi.

         C'erano le stelle cadenti da guardare, e le stelle vanno guardate al buio completo sennò devono essere proprio enormi per essere viste. E bisognava che la mezzanotte fosse passata.

         Sì, la mezzanotte era passata quando sentimmo bussare pesantemente al cancello ben chiuso.

         Ci scambiammo uno sguardo interrogativo. Chi poteva venirci a trovare a quell'ora davvero inusuale? Mio suocero si alzò. Era anche insolito che fosse sveglio ancora a quell'ora tarda, data la sua sana abitudine di levarsi prestissimo al mattino, ma la particolarità della giornata trascorsa, il funerale e un inconfessabile dolore profondo e sincero per la perdita del suo ultimo zio, lo avevano quasi costretto a restare con noi tutti a fissare pigramente il cielo in cerca di una stella cadente a cui affidare segreti desideri.

         - Chi può essere? - Chiese sua moglie un po' preoccupata.

         - Se non andiamo a vedere non lo sapremo mai - rispose lui e si diresse verso il cancello. Poi, ad alta voce chiese: - Chi è? - Tremava un po' la sua voce.

         Del resto lui e tutta la sua famiglia sono nativi del posto.

         Non ci fu risposta. A meno che non era da considerarsi tale il cancello che risuonava nuovamente percosso da colpi sordi come di una campana rotta.

         - CHI E'? - Insisté mio suocero.

         L'aria vibrò, come se un'ondata di gelo avesse attraversato la tiepida notte. Poi una voce che pareva lontanissima: - Sono io...

         L'uomo rabbrividì. Quella voce gli era sin troppo nota, ma non poteva essere... impossibile: - Io... chi? - Chiese con voce bassa.

         - Zi'  Nicola... non mi riconosci?

         Mia suocera sgranò gli occhi e, tremando, si segnò, cominciando a recitare una preghiera. Scambiai uno sguardo incredulo con la mia ragazza e mi avvicinai anch'io al cancello.

         - Scherzi del genere sono stupidi... - riuscì a dire con un filo di voce mio suocero.

         - Non è uno scherzo... - la voce era glaciale, se davvero qualcuno stava imitando lo zio appena morto ci riusciva magnificamente bene. Ma perché?... - Ho fame e sete... nipote mio... ho molta fame e molta sete...

         - Ora apro, ma se è uno scherzo ti do tante di quelle legnate che sveglieremo tutto il paese...

         - Sì... - quasi con ansia - invitami ad entrare... non verrei mai nella tua casa... se non mi invitassi ad entrare... - Dava i brividi nel buio quella voce d'oltretomba. Intorno la campagna s'era ammutolita. I grilli e gli uccelli notturni che ci avevano sino ad allora fatto compagnia avevano congelato il loro canto ipnotico.

         - Vengo... - E mio suocero fece per aprire il cancello.

         - NO. - Dissi io afferrandolo scortesemente per un braccio... - Non fatelo.

         - Nipote... chi è che ti frena? Ho bisogno di aiuto... Non ascolti la voce del sangue? Fammi entrare... ti prego... - E la voce sempre cupa si fece lagnosa.

         - Ora apro...

         - NO. - insistetti deciso. La situazione era troppo simile ad alcune vicende di cui avevo letto tempo addietro. Non avrei mai immaginato che ci fosse un fondo di verità in quelle leggende, né potevo essere certo di trovarmi in una situazione simile, ma una prova poteva essere fatta. - Lei è lo zio Nicola? Abbiamo seguito i suoi funerali nel pomeriggio.

         La risposta giunse dopo alcuni minuti. La voce era, se possibile, ancor più fredda: - C'è... c'è stato un errore... non ero... morto...

         - Ne siamo felici... - continuai io fingendomi rasserenato, - allora non ci resta che ringraziare il Signore... - si udì dietro il cancello una specie di lamento. Continuai imperterrito avvicinandomi: - Diciamo insieme una preghiera... alla Vergine Maria... sì, a Lei. Allora, recitiamo insieme... Ave Maria... 

         Il silenzio fu totale.

         - Allora?... non vuole pregare con noi? ...piena di grazia... 

         Si udì un ringhio.

         - ...il Signore è con Te... - come un pugile che incalza l'avversario ormai sul punto d'andare al tappeto. - ... Tu sei benedetta...

         E il ringhio bestiale sconvolse la mente di tutti. Facemmo alcuni passi indietro mentre il cancello veniva violentemente percosso. La mia Giovanna lanciò un urlo di raccapriccio e mio suocero afferrò un tronco per usarlo come clava in caso il cancello avesse ceduto. Il ringhio era continuo e furibondo, i colpi decisi e violenti. - Se passa quel cancello il bastone gli farà il solletico - dissi con voce apparentemente calma mentre  dentro tremavo tutto.

         - Ma chi... chi è?

         - Forse sarebbe più giusto chiedersi... cos'è. - La cosa bestiale che inveiva contro la spessa lamiera pareva furibonda da far paura. Fidando sulla mia conoscenza di fatti simili raccolsi il mio coraggio residuo e, nonostante la mia donna letteralmente aggrappata alla mia schiena urlai: - Vattene via di qui, nessuno ti aprirà e nessuno ti inviterà ad entrare. Vattene... mostro.

         Si udì un sibilo, lungo... lacerante.

         Un urlo di rabbia che spalancava immagini infernali.

         Poi più nulla. Soltanto il pulsare violento dei nostri cuori.

         Balzai sulle scale vicine al cancello e cercai di guardare fuori. Non vidi nulla. Allora corsi sulle stanze superiori e aprii la finestra che dava sulla strada. Presso i cancello non c'era nessuno. Guardai in fondo alla strada, dove una leggera salita portava verso il paese a destra e verso il cimitero a sinistra.

         E lo vidi.

         Era vestito con l'abito della festa, quello con sui era stato sepolto. Non lo riconobbi, del resto non l'avevo conosciuto da vivo. E poi era lontano. Riuscii soltanto a osservare che si muoveva molto rigidamente e trascinava i piedi come se facesse una fatica immane a muoversi.

         E si arrestò. E si girò. Fissandomi.

         Era... era troppo lontano, non poteva vedermi nel buio della finestra. Eppure ebbi la spiacevole sensazione che stesse fissando proprio me. Poi qualcosa luccicò sul suo viso. Come tanti denti aguzzi mostrati spalancando le fauci.

         Un sibilo solo per me mi ghiacciò le vene.

         E infine si rigirò e lentamente tornò nel buio.

         Mentre i grilli riprendevano a ciarlare.

                                                                                    

Se devo esprimere un parere personale, non ho mai preso molto sul serio questa storia, il mio amico crede troppo ai fenomeni paranormali e può aver semplicemente sognato tutto, sapete, come in quei sogni che sembrano assolutamente veri, almeno fino a quando non ti svegli spaventato e con la fronte madida di sudore.

Ma mi ha portato a vedere il luogo, e mi ha mostrato la parte esterna del cancello contro il quale si sarebbe scagliato l'essere mostruoso. E non posso credere che fosse arrivato a tanto pur di dimostrare d'aver ragione.

Perché la spessa lastra di acciaio mostrava gli inconfondibili segni di un tentativo di sfondamento. Lunghe striature rammentavano unghie tanto robuste da incidere l'acciaio. E addirittura sul cemento a terra l'impronta di una mano con le dita adunche. E credetemi. Non è affatto facile per uno qualsiasi lasciare una impronta del genere. Ci vuole una forza sovrumana.

         Una forza mostruosa.

 

 

Tratto da: Il tesoro della Grancia, BESA ed. Nardò (LE) 2005.

 

 
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