Emily
(a Emily Dickinson)
La carrozza sobbalzò e i cavalli
nitrirono, e il conducente gridò qualcosa circa la distanza che ancora avevamo
da percorrere, ma il rombo tumultuoso degli animali in corsa era un tuonare
continuo, che non permetteva di discernere le frasi che l'uomo di tanto in
tanto mi indirizzava, sempre gridando, dal posto di guida.
Ricordai ciò che Higginson
mi disse quando mi parlò della prima volta che l'aveva
vista. Ella si era presentata a lui con due gigli, glieli aveva offerti e gli
aveva detto: ‘Ecco: questo è il mio biglietto da
visita.'
Rabbrividii.
Nello stesso modo lei si era rivolta
a me, ma non dalla soglia della sua camera. Bensì dall'orlo di un sogno.
Adesso, mentre la vettura rollava e
beccheggiava, e il suono degli zoccoli dei cavalli mi riecheggiava come una
litania chiassosa nel cervello, la mente si sforzava invano di mantenere
lucidità, e il mio corpo lottava per mantenere il controllo.
Sotto il mio atteggiamento
compassato, l'ansia corrodeva i miei nervi, e il miei
pensieri correvano, più veloci di quegli stessi cavalli che mi stavano
conducendo laggiù, nella dimora dell'ormai compianto avvocato Edward.
Attorno a me, la vallata fresca e
selvaggia mi rimandava il suo fertile sguardo verdeggiante.
Mentre la carrozza sussultava e
ondeggiava, non potevo fare a meno di pensare al mio sogno.
Quel sogno che avevo fatto due notti
di seguito e che adesso mi aveva indotto a partire da Boston e ad attraversare
il Massachussets. Quel sogno per il cui mistero
quella carrozza mi stava conducendo fino ad Amherst.
Estrassi dal taschino la lettera
speditami da Higginson: era sgualcita e logora, quasi
che i miei occhi, leggendola e rileggendola cento volte, l'avessero consumata a
furia di passarci sopra.
In quella lettera Higginson
mi descriveva la sua amica poetessa come una donna minuta, di certo non bella,
con due bande di capelli che le ricadevano ai lati del viso...
Un viso che aveva visitato il
labirinto delle mie visioni notturne già prima che Higginson
mi parlasse di lei.
Reggevo la lettera con mani tremanti.
C'era un filo invisibile che mi
legava alla donna del sogno.
Forse il fatto che anch'io volevo
essere uno scrittore...
Riposi la lettera nel taschino, e mi asciugai
le fredde gocce di sudore che mi imperlavano la fronte.
Quella lettera era la prova che
esisteva un mistero...
Quelle parole mi spaventavano. Non
volevo accettare ciò che l'evidenza suggeriva.
Eppure non potevo negare l'intensità
del sogno, la limpidezza con cui ella si presentò a me, infrangendo le barriere
del sonno, entrando nel reame oscuro delle visioni notturne.
I miei sogni.
Chi?, mi chiedevo con affanno, ossessivamente, Chi era costei?
Era fata? O strega?,
ad accedere ai portali d'avorio del sogno?
La carrozza continuò il suo cammino.
Il tramonto restò muto alle mie
domande.
Dapprima l'aria si tinse di un fuoco
brillante, acceso, poi tutto attorno a me si chiazzò di porpora, un rosso
sempre più scuro man mano che i raggi scomparivano
all'orizzonte.
Il sole si abbassò pian piano sulla
Terra, come se galleggiasse nell'aria. Le nuvole piansero lacrime rosse, e da esse si sprigionò il crepuscolo, sgorgò riversandosi sulla
Terra come l'inchiostro nero di una seppia
del cielo.
Finalmente giunsi davanti alla casa.
I cavalli si fermarono, io scesi, e
la carrozza ripartì alzando un polverone sotto le prime stelle della sera.
Adesso ero solo.
Bussai alla porta, e una stretta, un
nodo, si avvolse attorno alla mia gola con zampe di ragno.
Una figura femminile mi apparve
nell'ombra. Io sussultai.
Mi chiese chi fossi.
La guardai attentamente.
Oh, ma non era lei, non era lei!
Non poteva essere lei.
Non c'era fuoco nei suoi occhi...
Poi mi ricordai che Higginson mi aveva parlato di una sorella... Lavinia.
Le due sorelle vivevano da sole, dopo
la morte dei genitori.
“Lavinia?” chiesi. “Lei deve essere
Lavinia” asserii.
La donna annuì. Mi domandò:
“Lei è qui per vedere...?”
Io accennai di sì col capo.
“Vuole vedere Emily?”
“Sì” dissi. “Io...“
Avrei voluto dirle che ella mi era
apparsa in sogno. Avrei voluto dirle dei miei dubbi. Non potevo certo rivelarle
il mio tormento. Così dissi solo: “Sono un amico di Higginson.
Lui mi ha parlato di lei. Mi ha fatto leggere le sue lettere. I suoi scritti.
Le lettere che Emily compone per lui. Le sue
poesie...”
Oh,
le poesie...
“Lei non esce mai” disse Lavinia. “E'
sempre chiusa in camera sua. Lo sa, vero? Higginson
le avrà detto anche questo.”
“Sì, lo so. Non esce mai.”
“Da anni.”
“Sì.”
“Nella sua stanza.”
Sì, lo sapevo.
Lei ripetè:
“Da anni. Nella sua stanza. Dietro
quella porta...”
Lessi sconforto negli occhi di lei.
Ma lei non capiva. Certamente non poteva capire.
Mi fece entrare e mi fece aspettare.
Perchè
ero lì?
Sì, è vero: c'erano stati i sogni. Ma
questo non sarebbe bastato a giustificare la mia urgenza di partire. La mia
fretta di arrivare da lei.
Le ombre mi si raccolsero attorno
come una folla di bambini affamati.
Da qualche parte, nel buio, sentii
una porta cigolare. Ne seguii il suono, e mi trovai al cospetto di una stanza
chiusa.
No, non chiusa. Socchiusa. Ma così
impercettibilmente che si faceva fatica a credere che fosse realmente una porta
e non parte della parete buia.
Poi, nel buio, mi giunse la voce.
“Sei venuto per me?”
Una vocina flebile, infantile.
Ed io mi chiesi nuovamente:
Fata
o Fattucchiera?
Santa
o Strega?
Tu che vieni a esplorare i miei sogni...
Ero confuso. Mi sentii in preda ad
una vertigine, come se quella porta fosse un passaggio che dava sull'eternità.
Come se quella porta fosse il tramite... il punto di connessione...
E mi vennero in mente i versi, gli
splendidi versi di lei:
Alle mie spalle - eternità sprofonda
Ed immortalità - dinanzi a me
Io sul Confine
La vocina ripeté:
“Vuoi vedermi?”
La porta si schiuse un altro po'.
Io tremavo.
E quindi capii. Finalmente compresi perchè ero lì.
Per sentire il suo verdetto finale.
Per trarre linfa dalle sue radici. Per unirmi a lei in un unico fiore, per
condividere la devozione per la parola. Perchè la scrittura garantisce l'immortalità a chi fissa le parole su
carta...
Ma volevo sentirlo da lei.
E difatti la porta scricchiolò, si
aprì ulteriormente, si dischiuse come quel fiore a cui
anelavo, come un petalo si schiude alla luce del sole, rivelando il cuore della
natura...
La sua figura si stagliò netta
dinanzi a me, e io barcollai, in preda a tumultuose e folgoranti rivelazioni.
Emily.
Era la donna esile del mio sogno, con
due gigli nella mano, un tutt'uno con l'abito bianco
che la fasciava come un sudario. Era minuta, fragile. Ma gli occhi...
Gli
occhi erano forgiati nel fuoco nero dell'anima.
Dietro di lei, la Porta era aperta. Ma una
luce accecante mi impediva di vedere... di capire...Cosa c'era dietro la Porta?
Quale sconosciuta Fonte le permetteva
di bere l'acqua brillante della follia estatica e partorire i suoi figli di
luce, le sue poesie?
Perchè inviava le sue parole al
mondo, da lì, da dietro quella Porta, che la tratteneva come per incanto in
quella casa?
E lei disse:
“Hai paura?”
Tremai. Era inutile mentire. Mi
ricordai che solo pochi giorni prima Higginson mi
aveva rivelato: “Non ho mai conosciuto nessuno che mi prosciugasse tanta
energia nervosa. Senza che la toccassi, me la
sottraeva.”
Ma io ero lì per ricevere, non per dare. Dovevo sapere... Ella mi avrebbe
rivelato... Il segreto delle sue parole... il segreto della sua reclusione...
affinché potessi anch'io abbeverarmi alla fontana dell'Estasi, affinché potessi
attingere anche un millesimo di energia da quella Fonte, dalla stessa fonte a cui ella attingeva...
“So cosa stai pensando. So cosa ti
stai domandando” ella disse. “Ti chiedi se io sia venuta realmente nei tuoi
sogni, come una strega che lascia il proprio corpo per recarsi nel ventre della
montagna” ella disse.
Ero ammutolito. Lei riprese a
parlare, con la veemenza e l'irruenza di una folgore:
“Notti selvagge, notti selvagge! Il
Sabba può cominciare!”
Rise.
Anzi, sorrise.
“Sì, sono Strega” disse di colpo. “Ma
i miei sortilegi sono intrugli d'inchiostro, e le mie magie sono le più fini
trame che la penna può ricamare. La mia stregoneria è
la parola. Niente esiste di più potente al mondo della parola. “
E recitò:
A word is dead
when it is said,
some say
But I say it just
begins to live
that day.
E poi mi guardò, come una madre che affidi al figlio il più misterioso dei segreti.
E disse:
“Io inseguo l'immortalità.”
Fu l'ultima cosa che mi rivelò.
E io custodii quel segreto nel cuore.
Lo tenni stretto, dentro di me,
artigliandolo con artigli di falco, per non farmelo scappare, per non far
fuggir via quell'incantesimo di parole.
Rinchiusi quel segreto nel cuore, il
cuore stesso un baule, e quindi chiusi il lucchetto, gettai via la chiave.
Il segreto.
Nel mio cuore.
Un diamante, una gemma brillante, un
anello scintillante - il segreto - in una tomba di cartone - il mio cuore.
Una perla in uno scrigno d'ottone.