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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Emily di Lorenzo Nicotra 16/12/2006
 

Emily

(a Emily  Dickinson)

 

 

La carrozza sobbalzò e i cavalli nitrirono, e il conducente gridò qualcosa circa la distanza che ancora avevamo da percorrere, ma il rombo tumultuoso degli animali in corsa era un tuonare continuo, che non permetteva di discernere le frasi che l'uomo di tanto in tanto mi indirizzava, sempre gridando, dal posto di guida.

Ricordai ciò che Higginson mi disse quando mi parlò della prima volta che l'aveva vista. Ella si era presentata a lui con due gigli, glieli aveva offerti e gli aveva detto:Ecco: questo è il mio biglietto da visita.'

Rabbrividii.

Nello stesso modo lei si era rivolta a me, ma non dalla soglia della sua camera. Bensì dall'orlo di un sogno.

Adesso, mentre la vettura rollava e beccheggiava, e il suono degli zoccoli dei cavalli mi riecheggiava come una litania chiassosa nel cervello, la mente si sforzava invano di mantenere lucidità, e il mio corpo lottava per mantenere il controllo.

Sotto il mio atteggiamento compassato, l'ansia corrodeva i miei nervi, e il miei pensieri correvano, più veloci di quegli stessi cavalli che mi stavano conducendo laggiù, nella dimora dell'ormai compianto avvocato Edward.

Attorno a me, la vallata fresca e selvaggia mi rimandava il suo fertile sguardo verdeggiante.

Mentre la carrozza sussultava e ondeggiava, non potevo fare a meno di pensare al mio sogno.

Quel sogno che avevo fatto due notti di seguito e che adesso mi aveva indotto a partire da Boston e ad attraversare il Massachussets. Quel sogno per il cui mistero quella carrozza mi stava conducendo fino ad Amherst.

Estrassi dal taschino la lettera speditami da Higginson: era sgualcita e logora, quasi che i miei occhi, leggendola e rileggendola cento volte, l'avessero consumata a furia di passarci sopra.

In quella lettera Higginson mi descriveva la sua amica poetessa come una donna minuta, di certo non bella, con due bande di capelli che le ricadevano ai lati del viso...

Un viso che aveva visitato il labirinto delle mie visioni notturne già prima che Higginson mi parlasse di lei.

Reggevo la lettera con mani tremanti.

C'era un filo invisibile che mi legava alla donna del sogno.

Forse il fatto che anch'io volevo essere uno scrittore...

Riposi la lettera nel taschino, e mi asciugai le fredde gocce di sudore che mi imperlavano la fronte.

Quella lettera era la prova che esisteva un mistero...

Quelle parole mi spaventavano. Non volevo accettare ciò che l'evidenza suggeriva.

Eppure non potevo negare l'intensità del sogno, la limpidezza con cui ella si presentò a me, infrangendo le barriere del sonno, entrando nel reame oscuro delle visioni notturne.

I miei sogni.

Chi?, mi chiedevo con affanno, ossessivamente, Chi era costei?

Era fata? O strega?, ad accedere ai portali d'avorio del sogno?

La carrozza continuò il suo cammino.

Il tramonto restò muto alle mie domande.

Dapprima l'aria si tinse di un fuoco brillante, acceso, poi tutto attorno a me si chiazzò di porpora, un rosso sempre più scuro man mano che i raggi scomparivano all'orizzonte.

Il sole si abbassò pian piano sulla Terra, come se galleggiasse nell'aria. Le nuvole piansero lacrime rosse, e da esse si sprigionò il crepuscolo, sgorgò riversandosi sulla Terra come l'inchiostro nero di una seppia  del cielo.

Finalmente giunsi davanti alla casa.

I cavalli si fermarono, io scesi, e la carrozza ripartì alzando un polverone sotto le prime stelle della sera.

Adesso ero solo.

Bussai alla porta, e una stretta, un nodo, si avvolse attorno alla mia gola con zampe di ragno.

Una figura femminile mi apparve nell'ombra. Io sussultai.

Mi chiese chi fossi.

La guardai attentamente.

Oh, ma non era lei, non era lei!

Non poteva essere lei.

Non c'era fuoco nei suoi occhi...

Poi mi ricordai che Higginson mi aveva parlato di una sorella... Lavinia.

Le due sorelle vivevano da sole, dopo la morte dei genitori.

“Lavinia?” chiesi. “Lei deve essere Lavinia” asserii.

La donna annuì. Mi domandò:

“Lei è qui per vedere...?

Io accennai di sì col capo.

“Vuole vedere Emily?”

“Sì” dissi. “Io...“

Avrei voluto dirle che ella mi era apparsa in sogno. Avrei voluto dirle dei miei dubbi. Non potevo certo rivelarle il mio tormento. Così dissi solo: “Sono un amico di Higginson. Lui mi ha parlato di lei. Mi ha fatto leggere le sue lettere. I suoi scritti. Le lettere che Emily compone per lui. Le sue poesie...”

Oh, le poesie...

“Lei non esce mai” disse Lavinia. “E' sempre chiusa in camera sua. Lo sa, vero? Higginson le avrà detto anche questo.

“Sì, lo so. Non esce mai.”

“Da anni.”

“Sì.”

“Nella sua stanza.”

Sì, lo sapevo.

Lei ripetè:

“Da anni. Nella sua stanza. Dietro quella porta...”

Lessi sconforto negli occhi di lei. Ma lei non capiva. Certamente non poteva capire.

Mi fece entrare e mi fece aspettare.

        

 

Perchè ero lì?

Sì, è vero: c'erano stati i sogni. Ma questo non sarebbe bastato a giustificare la mia urgenza di partire. La mia fretta di arrivare da lei.

Le ombre mi si raccolsero attorno come una folla di bambini affamati.

Da qualche parte, nel buio, sentii una porta cigolare. Ne seguii il suono, e mi trovai al cospetto di una stanza chiusa.

No, non chiusa. Socchiusa. Ma così impercettibilmente che si faceva fatica a credere che fosse realmente una porta e non parte della parete buia.

Poi, nel buio, mi giunse la voce.

“Sei venuto per me?”

Una vocina flebile, infantile.

Ed io mi chiesi nuovamente:

Fata o Fattucchiera?

Santa o Strega?

Tu che vieni  a esplorare i miei sogni...

Ero confuso. Mi sentii in preda ad una vertigine, come se quella porta fosse un passaggio che dava sull'eternità. Come se quella porta fosse il tramite... il punto di connessione...

E mi vennero in mente i versi, gli splendidi versi di lei:

         Alle mie spalle - eternità sprofonda

         Ed immortalità - dinanzi a me

         Io sul Confine

 

La vocina ripeté:

“Vuoi vedermi?”

La porta si schiuse un altro po'.

Io tremavo.

E quindi capii. Finalmente compresi  perchè ero lì.

Per sentire il suo verdetto finale. Per trarre linfa dalle sue radici. Per unirmi a lei in un unico fiore, per condividere la devozione per la parola. Perchè la scrittura garantisce l'immortalità a chi fissa le parole su carta...

Ma volevo sentirlo da lei.

E difatti la porta scricchiolò, si aprì ulteriormente, si dischiuse come quel fiore a cui anelavo, come un petalo si schiude alla luce del sole, rivelando il cuore della natura...

La sua figura si stagliò netta dinanzi a me, e io barcollai, in preda a tumultuose e folgoranti rivelazioni.

Emily.

Era la donna esile del mio sogno, con due gigli nella mano, un tutt'uno con l'abito bianco che la fasciava come un sudario. Era minuta, fragile. Ma gli occhi...

Gli occhi erano forgiati nel fuoco nero dell'anima.

Dietro di lei, la Porta era aperta. Ma una luce accecante mi impediva di vedere... di capire...Cosa c'era dietro la Porta?

Quale sconosciuta Fonte le permetteva di bere l'acqua brillante della follia estatica e partorire i suoi figli di luce, le sue poesie?

Perchè inviava le sue parole al mondo, da lì, da dietro quella Porta, che la tratteneva come per incanto in quella casa?

E lei disse:

“Hai paura?”

Tremai. Era inutile mentire. Mi ricordai che solo pochi giorni prima Higginson mi aveva rivelato: “Non ho mai conosciuto nessuno che mi prosciugasse tanta energia nervosa. Senza che la toccassi, me la sottraeva.”

Ma io ero lì per ricevere, non per dare. Dovevo sapere... Ella mi avrebbe rivelato... Il segreto delle sue parole... il segreto della sua reclusione... affinché potessi anch'io abbeverarmi alla fontana dell'Estasi, affinché potessi attingere anche un millesimo di energia da quella Fonte, dalla stessa fonte a cui ella attingeva...

“So cosa stai pensando. So cosa ti stai domandando” ella disse. “Ti chiedi se io sia venuta realmente nei tuoi sogni, come una strega che lascia il proprio corpo per recarsi nel ventre della montagna” ella disse.

Ero ammutolito. Lei riprese a parlare, con la veemenza e l'irruenza di una folgore:

“Notti selvagge, notti selvagge! Il Sabba può cominciare!”

Rise.

Anzi, sorrise.

“Sì, sono Strega” disse di colpo. “Ma i miei sortilegi sono intrugli d'inchiostro, e le mie magie sono le più fini trame che la penna può ricamare. La mia stregoneria è la parola. Niente esiste di più potente al mondo della parola.

E recitò:

 

A word is dead

when it is said,

some say

But I say it just

begins to live

that day.

 

E poi mi guardò, come una madre che affidi al figlio il più misterioso dei segreti.

E disse:

“Io inseguo l'immortalità.”

 

 

Fu l'ultima cosa che mi rivelò.

E io custodii quel segreto nel cuore.

Lo tenni stretto, dentro di me, artigliandolo con artigli di falco, per non farmelo scappare, per non far fuggir via quell'incantesimo di parole.

Rinchiusi quel segreto nel cuore, il cuore stesso un baule, e quindi chiusi il lucchetto, gettai via la chiave.

Il segreto.

Nel mio cuore.

Un diamante, una gemma brillante, un anello scintillante - il segreto - in una tomba di cartone - il mio cuore.

Una perla in uno scrigno d'ottone.

 

 

 

 

 

 

 
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