Nella
capanna del presepe
Era il 27 dicembre e subito dopo la santa messa la gente si scambiava
gli auguri del Natale appena passato. Salutandosi e abbracciandosi
calorosamente, tra una chiacchiera e l'altra, a gruppetti se ne stavano sulle
gradinate dell'ingresso della chiesa oppure nella piazza adiacente.
Una piccola folla, circa venti persone in tutto, si era anche riunita
di fronte al presepe allestito dalla parrocchia e con stupore e disappunto
commentava quanto poteva ammirare.
Ovviamente, i commenti della gente non si riferivano solamente al
presepe in sé, una composizione semplice e tradizionale che da svariati anni veniva riproposta, pressoché immutata, in occasione delle
festività natalizie.
Una capanna in paglia e bambù al centro e svariate sagome di carton-gesso sistemate al suo interno oppure sparpagliate tutt'attorno.
All'esterno se ne stavano quindi una mezza dozzina di pastori, alcuni
in piedi con il volto rivolto alla capanna, altri intenti a seguire il gregge
di pecore finte di che pascolava attorno immerse nella
rada vegetazione. Dirimpetto alla costruzione di bambù, in mistica
contemplazione, i tre re magi nelle loro vesti esotiche dai colori sgargianti.
Mentre a terra, di fronte ai tre, i doni che portavano facevano bella mostra di
sé sul selciato e sul finto terreno creato per l'occasione.
Ma era a ciò che stava all'interno della capanna che la gente di Trebaseleghe indirizzava i propri commenti.
E critiche, soprattutto.
Non tanto per la resa dell'asinello e del bue, animali ricostruiti con
discreta fedeltà e dall'aria innocua e sonnacchiosa.
E nemmeno per le sagome di San Giuseppe o della Madonna, due figure
semplici e dal volto gioioso in sobrie vesti dai colori tenui: azzurro e
marrone per il patrono dei lavoratori, mentre una tunica rosa e bianca definiva
la beata Vergine Maria.
Neppure criticavano la resa del bambin Gesù,
un frugoletto tutto rosa con le braccia protese in avanti in un gesto di
apertura e dono al mondo.
Niente di tutto ciò.
La gente non aveva nulla da obbiettare sulla resa scenica del presepe,
tuttavia era irritata per l'uomo che dormiva nel capanno.
Gli abiti trasandati, la barba incolta e i capelli lunghi: non c'erano
dubbi che si trattasse di un vagabondo.
“Che indecenza!”
“Qualcuno dovrebbe svegliarlo e dirgli di andarsene a dormire altrove!”
“Ma come gli è venuto in mente di mettersi a dormire lì dentro?”
Per un poco i paesani rimasero a confabulare tra di
loro mentre l'altro ronfava pacificamente ignaro delle loro disapprovazione.
Poi, quando l'indignazione raggiunse il limite del
tollerabile, due uomini scavalcarono le transenne e raggiunsero il bell'addormentato.
Con uno scossone, ma cercando di essere delicati,
lo chiamarono.
Subito l'uomo aprì gli occhi; istintivamente si mosse per evitare il
contatto dei due, temendo volessero aggredirlo o derubarlo di quel poco che
aveva.
Immobile e un po' spaventato per il brusco risveglio li osservava
cercando di capire cosa volessero da lui.
Dopotutto, lo sapeva bene, non stava facendo nulla di male.
“Scusaci, non volevamo spaventarti” iniziò uno dei due, un tizio sulla
quarantina e con un accenno di barba sul mento “…però non va bene che tu dorma qui dentro…”
Il vagabondo continuava ad osservarli in silenzio.
“…se potessi andare da un'altra parte sarebbe meglio, sai?”
“Questa notte faceva freddo…” cominciò a giustificarsi il barbone, un
uomo sulla cinquantina dall'aspetto trascurato e dall'espressione triste di chi
ha perso tutto ormai.
“Lo so, lo so…però in ogni caso è un presepe
questo, non un ricovero per vagabondi!”
“Ma…non sto facendo niente di male…” rispose lui dopo essersi schiarito
la voce con un paio di colpi di tosse.
“Tranquillo, ho capito cosa vuoi dire” disse il primo uomo lanciando
uno sguardo di disapprovazione al suo compagno “e di certo non siamo qui per
punirti o multarti. Semplicemente vorremmo che te ne andassi da qui e che alla notte non dormissi dentro a questa capanna. Dopotutto è
un presepe e c'è molta gente che si ferma ad osservarlo…non è il caso quindi
che veda…”
“Me?” suggerì l'altro.
“Esatto. Per cui alzati subito e…”
“Non occorre essere così sgarbati…però ecco“ nuovamente la voce del
primo uomo a mediare tra il vagabondo e il suo secondo “ quel che vuol dire
Antonio è che se puoi andartene da qui sarebbe meglio per tutti. E' Natale
dopotutto e nessuno vuole litigare.”
“Ho capito, ho capito…datemi un attimo…raccolgo le mie cose e me ne
vado…però…”
“Cosa?” l'irritazione di Antonio era più che manifesta
nel tono della sua voce, un tizio schietto e con evidente propensione
all'aggressività nonostante i fisico minuto e asciutto.
“Beh…la notte fa freddo…e io non ho di dove andare…per
cui…”
“Potevi pensarci prima di ridurti così”
Il vagabondo abbassò lo sguardo.
Umiliato.
Si rigirò il cappello tra le mani e poi se lo mise in testa.
“Hai ragione…ma il passato non lo posso
cambiare”.
“Se sei diventato un vagabondo di certo non è per colpa mia o di chissà
chi. Potevi pensarci prima e impegnarti un po' di più e combinare qualcosa
nella vita.”
L'altro ammutolì e lo fissò con i suoi occhi grigi. Probabilmente
voleva dirgliene quattro, fargli capire che non aveva il diritto, nessun
diritto, di trattarlo così.
Ma si trattenne.
Non l'avrebbe avuta vinta con quel tipo.
Il fatto che fosse un periodo di festa e che da poco fosse passato
Natale non aveva certamente reso il suo cuore più docile e aperto al prossimo.
Per un poco rimasero in silenzio.
Vicino a loro, sulla sinistra, le sagome della sacra famiglia e del
piccolo Gesù venuto al mondo per salvare tutta l'umanità, per diffondere un
messaggio di pace e amore universale.
Ma, forse, quel messaggio ancora non era stato ben recepito. Nemmeno da
chi si professava cristiano e se ne stava di fronte al presepe e non vedeva
nient'altro che un intruso laddove non avrebbe dovuto esserci niente. Né una
sagoma di cartone, né alcunché a sbilanciare l'equilibrio della composizione.
“Basta basta, stiamo offrendo uno spettacolo
indecente” nuovamente il primo uomo che ora iniziava a dare segni di disagio “è
meglio per tutti se ora ti alzi e ti allontani dal presepe…”
“Già…” sottolineò Antonio.
“Ho capito” il vagabondo si era arreso.
Raccattò le proprie cose, un fagotto e dei giornali che aveva usato per
coprirsi un poco, e uscì dal capanno.
Solo in quel momento si accorse che tutti li stavano guardando, una
ventina circa di persone che non aspettavano altro che averla vinta su quel
povero derelitto umano.
Osservò i volti di quella gente per un istante appena
ma non vi lesse granchè in termini di
compassione o disponibilità verso il prossimo.
Anzi, i loro sguardi lasciavano intuire che sarebbe stato meglio per
tutti se si levava dai piedi il prima possibile.
Questo lo amareggiò oltremodo.
Prima di andarsene il vagabondo tossì e si volse nuovamente ai due
uomini che, sulla soglia del capanno, lo stavano osservando
mentre si allontanava. “Magari un piccolo compromesso lo
si potrebbe anche fare…”
“E' meglio di no…al massimo…chiedi in parrocchia: un aiuto i preti
forse te lo possono anche dare…”
“Ho capito” l'uomo era ormai rassegnato “…tolgo il disturbo allora…”
“Buon Natale a tutti!” augurò mentre se ne
andava dalla piazza e a attraversava la strada in direzione del cinema locale
situato a circa quindici metri in linea d'aria.
Qualcuno rispose al suo augurio, qualcun altro nemmeno lo considerò.
“Non c'è più religione…” commentò più d'uno “…dormire in un presepe…ma
come si fa?”
Scuotendo il capo, lo osservarono attraversare la piazza.
Poi, visto che quell'uomo se n'era finalmente
andato tutti potevano nuovamente tornare a contemplare quel semplice presepe,
l'immagine del miracolo divino che era alla base della loro fede e del Natale
appena passato.
Qualche istante appena, il sollievo di aver ristabilito l'ordine, e
quindi il chiacchiericcio tipico della gente che discute del più e del meno,
che accenna a questo o a quell'altro regalo ricevuto
o a come trascorrere le feste.
Dall'altro lato della strada, nei pressi di una delle cabine
telefoniche che stavano sull'ampio marciapiede vicino al cinema di Trebaseleghe, il vagabondo sedeva pensieroso. Sparpagliate
a terra stavano le sue cose.
Osservava la piccola folla e i suoi occhi, antichi come il tempo, di un
colore grigio opaco, apparivano infinitamente tristi.
Aveva sperato che le cose andassero diversamente, che qualcuno gli
offrisse ospitalità, un aiuto, qualche moneta…
Si trovava dentro ad un presepe dopotutto, vicino all'effige di suo
Figlio, vicino a quel simbolo di amore universale che sperava l'umanità avesse
imparato a praticare.
E invece niente.
“Che ti aspettavi?” gli chiese un uomo di bell'aspetto
che, spuntato chissà da dove, se ne stava in piedi al suo fianco.
Indossava un lungo soprabito in pelle scura
sopra abiti costosi ed eleganti. Aveva i capelli pettinati all'indietro, un bel
viso e una barba appena accennata; armeggiava con l'accendino per accendersi
una sigaretta.
Finalmente la accese e sbuffò fuori il fumo con calma.
“Speravi che ti accogliessero a braccia aperte? Che ti invitassero a
pranzare a casa di uno di loro? Che ti offrissero ospitalità?”
Il vagabondo si volse nella sua direzione, lo osservò per un istante e
poi, come se quelle domande non lo riguardassero più di tanto, tornò a guardare
in direzione della piazza.
Era profondamente deluso.
“Ripeti questo gioco ogni Natale…e per cosa? Solo per constatare quanto
aumenti, di anno in anno, il loro egoismo?”
L'uomo indicò quelli che stavano nei pressi del presepe, ora aumentati
in numero per via delle persone che, appena uscite dalla chiesa, si erano
spostate ad ammirare la rappresentazione della sacra famiglia e della nascita
di Gesù.
“Guardali. In apparenza sono tutti rilassati, gioiosi, felici
direi…Sanno che è Natale, che si deve essere tutti più buoni…però…non appena
trovano un barbone che dorme dove non dovrebbe…eh…” si interruppe un istante
per espirare fuori il fumo
“…lo cacciano via senza pensarci due volte.”
Il vagabondo si alzò in piedi mentre
continuava ad ascoltarlo.
“Uomini. Egoisti come al solito, ipocriti e
ottusi. Dimmi un po', visto che li hai creati a tua immagine e somiglianza,
come mai sono venuti fuori così irriconoscenti verso il loro creatore?”
“Basta Lu, non ho voglia di discutere di
queste cose. Lo sai come sono fatto: continuerò a cercarli. Per sempre…”
“Inutilmente. E lo sai”.
“Cosa ne sai tu?”
“Io lo so eccome. E poi li conosco molto bene. Guardali: non è servito
a niente parlare a loro né tanto meno inviare tuo Figlio al martirio. Sono così
chiusi in se stessi, incapaci di comprendere la grandezza del tuo operato. Sono
creature meschine, che non meritano il tuo amore, la tua pazienza. Non l'hai
ancora capito che non ti vogliono?”
“E tu non c'entri nulla, vero? Non sei forse tu che ti adoperi così
tanto per tentarli e per allontanarli da me?”
Lucifero sorrise.
Si aspettava quell'obiezione.
“Io do loro solo una spinta, gli mostro ciò che possono desiderare e
avere…e loro cedono e seguono la strada che li allontana a te. E questo non
dimostra ancor di più che non ti sono fedeli minimamente? Che non ti sono
riconoscenti? Che non ti cercano più? Questa gente è capace di ignorare persino
i bambini o le ragazze incinte che chiedono l'elemosina agli angoli delle
strade!”
“Basta! Questi discorsi non mi piacciono affatto. Lo sai: io li amo.
Incondizionatamente. Così come ho sempre amato tutte le creature che ho
generato. Tutte allo stesso modo.”
“Non è vero!” a quell'affermazione l'uomo si
scaldò subito, gettò a terra la sigaretta e prese a ribattere concitatamente.
“A loro hai concesso molto più che a noi angeli! Li prediligi a tutto
il resto! E questo non è giusto! Non è giusto, mi hai sentito? Loro, loro non
meritano nulla. Nulla! Forse ancora non te ne rendi conto ma
io te lo farò capire prima o poi! E allora realizzerai quanto è stolto il tuo
amore per loro! Anche ora ne hai la prova: nessuno di loro ti ha offerto aiuto.
Nessuno! Neanche una parola di compassione! Non ti hanno nemmeno riconosciuto!
E tu, tu persino ti lasci trattare come un pezzente! Dannazione! Non hai
nemmeno fatto niente per cambiare questo loro modo di agire. Sono egoisti, e
ciechi e incapaci…”
“Ho concesso loro la libertà. Per questo non ho influenzato il loro
volere” rivelò l'onnipotente.
Lucifero prima si zittì e poi rise sonoramente.
“Cosa c'è da ridere?” chiese Dio che quel giorno vestiva i panni di un
semplice barbone dagli occhi stanchi.
“Hai concesso loro una libertà che li allontana da te e lo stesso
pretendi che ti cerchino? Non li conosci proprio…non ti cercheranno mai
più…ancora non hai capito di che pasta sono fatti questi inutili esseri umani?”
“Signore?”
Una voce estranea, pura, interruppe i discorsi dei due eterni
antagonisti.
Entrambi si voltarono verso la bimba che aveva attirato la loro
attenzione distogliendoli dalla loro eterna diatriba.
Era una bimba dai capelli castano scuro, minuta,
con grandi occhiali a nascondere due profondi occhi azzurri. Poco più in là le
sue giovani amiche stavano mangiando delle paste o delle pizzette calde.
Probabilmente le avevano appena comperate in una delle pasticcerie che stavano
ai lati della piazza del paese.
E anche la bimba che si era rivolta al barbone aveva qualcosa in mano:
un trancio di pizza margherita ancora caldo e fumante.
“Dimmi, Anna” le rispose il vagabondo, sorridendole e accovacciandosi
di fronte a lei.
“Come fai a conoscere il mio nome?” chiese stupita
la bambina.
L'altro sorrideva e una luce calma e rassicurante irradiava dal suo
volto.
“Oh, beh…io so molte cose…”
La bimba non parve molto convinta ma
ugualmente cercò di portare avanti i suoi propositi nei confronti di quell'uomo povero e solo.
“Uhm…sai…prima ti ho visto dentro al presepe…e…ecco…pensavo che potessi
avere fame…”
“Sbrigati Anna” la chiamarono le sue amichette mentre,
alle spalle del vecchio, l'altro uomo appariva visibilmente innervosito da quel
che stava accadendo.
“Arrivo” promise la bimba mentre armeggiava
per spezzare il trancio di pizza che teneva in mano.
Ne porse un pezzo al vagabondo.
“Tieni. Mamma dice che si deve sempre aiutare chi sta peggio di
noi…spero ti piaccia la pizza…”
L'uomo era commosso e osservava con espressione gioiosa il dono a lui
concesso da quella bimba.
“Ora devo andare, però. Stammi bene signore!”
In un attimo raggiunse le sue amichette mentre
Dio rimaneva ad osservarla: era raggiante.
Mangiò la pizza più buona che avesse mai assaggiato,
non tanto per l'abilità del cuoco che l'aveva sfornata ma per l'affetto ed il
calore che Anna gli aveva offerto.
Poi si volse verso Lucifero e, sorridendo, gli chiese: “Hai visto? C'è
sempre speranza!”
“Cosa c'è di così straordinario! E' solo una stupida mocciosa! Una, una soltanto! Perché ti commuovi tanto, vecchio stupido?”
Era visibilmente alterato e incapace di tollerare oltre quella
situazione.
Per questo si girò e se ne andò camminando spedito.
“Non finisce qui! Ci rivedremo!” minacciò rabbioso.
Pochi passi dopo il diavolo in persona urtava una coppia di neo sposi
che camminavano appaiati.
“Levatevi di mezzo voi!”
I due si spostarono e, perplessi, si chiesero che cosa avesse quel
tizio da arrabbiarsi tanto.
Al che il barbone che incontrarono giusto
qualche metro più avanti rispose d'istinto: “Oh, lasciatelo perdere: è fatto
così. E' un po' irritabile di
suo, un po' ribelle direi. Ma, in fondo…”
Per un attimo si interruppe e sospirò mentre
osservava quel suo figliol prodigo allontanarsi
irrequieto e poi scomparire.
“…ma in fondo è un bravo ragazzo. Io lo conosco bene”
I due non compresero molto bene ma non diedero
peso alla cosa. Avevano altro a cui pensare. Poco dopo
attraversarono la strada e quindi la piazza.
Uno sguardo appena al presepe allestito dalla parrocchia e poi
proseguirono fino all'auto parcheggiata poco più avanti.
Quando salirono osservarono al di là della piazza ma
del barbone non c'era più traccia.