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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Il paese sommerso, di Patrizio Spinelli 27/01/2007
 

                            Il paese sommerso

 

C'era una volta in Garfagnana, un paesino di poche anime di nome Fabbriche di Careggine. Così inizierebbe una fiaba, per portarci nel meraviglioso mondo della fantasia. Ma qui non si tratta di una fiaba, anche se ha tutti gli ingredienti per esserlo. Il paesino c'era e c'è ancora oggi, ma è sommerso dall'acqua. Se non sei del posto e non conosci la sua storia, non potresti mai sapere o sospettare della sua esistenza. E' un paesino medievale, e si trova ai piedi delle Alpi Apuane a ridosso delle superbe pareti del Roccandagia e del Sumbra, due vette importanti che toccano i 1700 metri, e forse, uno dei due li supera. Fu fondato, a quanto ne sappiamo in pieno Medioevo, da una colonia di fabbri provenienti dalla zona di Brescia che si erano trasferiti in quella zona per la lavorazione del ferro. Nelle forre di quelle remote e selvagge montagne scorreva e scorre ancora oggi l'Edron, un tumultuoso torrente che veniva sfruttato per azionare i magli di quegli antichi e rudi fabbri. Fitte foreste coprivano quelle montagne e costituivano un' altra importante e preziosa risorsa, il legname per alimentare il fuoco delle fucine. Acqua e fuoco, i due primordiali elementi della Natura erano abbondanti e a disposizione delle rozze e chiassose botteghe di quegli operosi adepti del dio Vulcano, le cui fumanti fucine forgiavano e sfornavano zappe, vanghe, badili, falci, e altri attrezzi agricoli molti richiesti nelle campagne a quei tempi, riempiendo ogni giorno il paese e la valle dei vigorosi e assordanti colpi dei magli.
A testimonianza e a riprova di ciò, esiste tutt'oggi una località immediatamente a valle dell'attuale paesino sommerso che porta il toponimo di Ferriera. L'attività fabbrile fu la secolare risorsa economica del paese, ma è nel Settecento, secolo in cui fu costruita la via Vandelli che attraversava il centro del paese e congiungeva la Garfagnana, "aspra e selvaggia", a Massa e a Modena, ad imprimergli il massimo sviluppo. Ma via via che si consumava il declino di quella antica strada, anche l'attività di quel paesino di fabbri si esaurì. Poiché dovevavano campare e andare avanti, gli antichi artigiani dell'arte febbrile, di quel minuscolo paese, ritornarono a fare gli atavici mestieri di agricoltori e pastori, patendo molto spesso la fame in quella terra poco ospitale e feconda per le attività agricole.
Agli inizi del Novecento, molti emigrarono verso l'Inghilterra, verso l'America e anche verso la lontana Australia, seguendo un po' le orme di altri abitanti dell'impervia Garfagnana, dando così origine alla leggenda, che perfino Cristoforo Colombo quando arrivò nelle Americhe, vi trovò un lucchese che vendeva statuine di gesso, in ossequio ad un'altra gloriosa attività, quella della produzione di statuine di gesso per i presepi, un tempo ampiamente diffuse in quelle povere zone garfagnine. Gli altri pochi che non se la sentirono di andare via, in cerca di fortuna per le strade del mondo, tirarono avanti con la scoperta di una nuova risorsa, le cave di marmo del bacino marmifero di Vagli. Ci fu conseguentemente una ripresa delle attività produttive di quella martoriata zona. Per la lavorazione del marmo fu opportunamente decisa la costruzione di una prima e piccola centrale elettrica che portò ben presto il paese a godere di una rinascita economica, fino alla meta del secolo scorso. Proprio in quegli anni a metà del Novecento, la società dell'energia elettrica, che allora si chiamava Valdarno decise di costruirvi un'imponente diga, alta quasi cento metri. Fu sbarrato il corso del fiume Edron, e le persone che ancora vi abitavano, circa 150 anime, furono costretti a malincuore a lasciare le loro povere case di pietra ed evacuare il loro paesino, ai piedi delle verdi montagne. In poco tempo l'acqua sommerse completamente il paese e la vallata, formando il lago artificiale di Vagli. Ora il lago viene svuotato per manutenzione circa ogni dieci anni. E' l'occasione buona per essere visitato, ed infatti l'ultima volta che ciò accadde, fu nel 1994, e l'evento richiamò un sorprendente afflusso di visitatori. Lo visitai anch'io e fu davvero un'esperienza indicibile e toccante, quasi magica. Era una calda e afosa giornata estiva in quella valle, e ricordo che il sole e l'aridume avevano crepato il fango che si era depositato dappertutto, dando a tutta la zona un aspetto desertico e lunare. Le povera mura di pietra locale delle case, di quel minuscolo paesino, seppur coi tetti scoperchiati erano tutte in piedi, scarnificate, ed essenziali senza più porte e finestre ma ricoperte di uno spesso strato di fango, che dava loro un color terra con scalature dal beige al marroncino, a secondo della loro esposizione al sole. Dappertutto sembrava regnasse un'aura di magia, irreale, spettrale, al di fuori del tempo. Sembrava di essere in mezzo a un sogno o forse ad un incubo. Vicino alla chiesetta con l'abside e il campanile ancora intatti, incontrai un vecchietto, seduto sulla soglia della porta di quella che doveva essere stata un tempo la sua casa, che aveva le lacrime agli occhi.
Si vedeva da come guardava dentro quelle vuote stanze, seppur piene di luce solare che filtrava piena dall'alto delle mura senza più tetto, che la sua mente era tutta rivolta ai ricordi della sua vita legata a quel posto. Mi soffermai e gli chiesi conferma, come avevo già capito, se fosse stato un vecchio abitante di quel paese. Il vecchio, degnandomi del suo mesto sguardo, in silenzio annuì. Compresi che non aveva voglia di parlare, e subito lo salutai.
Mi parve di leggere nei suoi occhi e sul suo volto lo strazio di chi deve rinunciare a vedere i propri ricordi, la casa, il paese, l'ambiente, i volti, i sapori, gli odori, i colori dove nei suoi più giovani anni, chissà, aveva vissuto le sue più intense emozioni e forse i suoi momenti di vita più belli della sua vita. Sembrava il volto di un uomo a cui erano venuti a mancare dei riferimenti, delle certezze e che si stava trattenendo lì il più a lungo possibile per fare un pieno di gioia prima che l'acqua ritornasse a coprire di nuovi i sui ricordi ed un pezzo della sua vita.

 
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