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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Belladinotte, di Donato Altomare 27/01/2007
 

BELLADINOTTE

 

Il camping pareva addormentato. Occupava una grande pineta nella piana dell'antica Sybarium che si tuffava in un mare grigio-azzurro. Erano le prime ore del pomeriggio e il caldissimo sole favoriva la sonnolenza del dopo pranzo. Daniele pensò che difficilmente avrebbe trovato posto all'ombra in pieno agosto, ma per fortuna non doveva restarci molto. Quella gara di windsurf era l'ultima della stagione e dopo tre vittorie e due secondi posti certo poteva ritenersi soddisfatto. Già pregustava un mese di riposo assoluto. E non al mare, ma in un camping in montagna, quello del lago Arvo a Lorica in Calabria. Il pensiero del fresco gli diede un momentaneo senso di benessere e una voglia di birra alla spina e di ombra e di un'amaca nella quale dondolarsi pigramente. Pensò a quanto fossero stupide quelle vacanze passate a percorrere in lungo e in largo la penisola tra una gara a l'altra. Prima o poi avrebbe dovuto fare una scelta molto difficile tra il suo lavoro e l'hobby. Sollevò le spalle felice di rimandare quella decisione ed entrò nel camping.

Poco dopo cominciò a gironzolare per le varie piazzole cercando il posto migliore nel quale sistemarsi e per miracolo ne trovò una all'ombra sotto la cima a cespuglio di un pino mediterraneo. Scaricò dalla Land Rover la tenda, in venti minuti la montò e velocemente indossò una camicia pulita. Aveva voglia di fare una passeggiata lungo la spiaggia. Il sole stava calando dietro quei monti dove Spezzano Albanese, Frascineto e cento altri piccoli paesi brindavano nelle saghe paesane alloro passato albanese. La visibilità era ottima. La spiaggia assolutamente piatta si stendeva per alcuni chilometri a destra e a sinistra per poi interrompersi bruscamente sui fianchi di speroni rocciosi che affondavano nel mare. Qualche ragazza si crogiolava ancora al sole morente in cerca dell'abbronzatura ideale. Il profumo del mare gli diede il solito piacere e un leggero soffio di vento gli fece ribollire il sangue. Ebbe voglia di mettere il windsurf sulle onde, ma scosse il capo. Era sufficientemente stanco del viaggio per compromettere ancora di più l'esito della gara che avrebbe sostenuto l'indomani. Così continuò a camminare sulla sabbia calda finche la luna non sorse e il buio fu rischiarato dai suoi raggi. 

Fu allora che vide il gruppo di persone. In un primo tempo non fece loro caso e stava per allontanarsi quando s'accorse che fissavano il mare in lontananza e sentì uno di loro esclamare: – Stanotte ci sarà mare grosso.

Istintivamente sollevò il capo e ascoltò il vento. Avrebbe scommesso per il contrario. – Perché? – si sorprese a chiedere.

Tre persone girarono il capo verso di lui. Lo stesso che aveva parlato spiegò: – È uscita Belladinotte. – e indicò il largo.

Daniele seguì il cenno del capo, ma non vide nulla. Poi… una vela, certo un windsurf, e la sagoma di qualcuno con lunghi capelli al vento. Ne stavano parlando come di una ragazza, ma era troppo lontana per esserne certi. E proprio in quel momento il vento aumentò d'intensità e il mare crebbe. Presto ci sarebbero state onde alte.

- Deve avere un gran coraggio ed essere molto abile! – esclamò.

Lei pareva volasse sulle onde. Navigava benissimo di bolina. E otteneva il massimo nell'andare controvento. Otteneva una perfetta combinazione fra il navigare in linea retta e il raggiungere la massima velocità muovendosi il più vicino possibile al letto del vento. Era ormai così vicina che poté notare come sollevava un'onda di poppa poco pronunciata e distribuiva il peso del corpo leggermente in avanti in modo che l'acqua potesse scorrere imperturbata dietro. Daniele annuì compiaciuto per la grazia e l'abilità della fanciulla. Oltre se stesso, pensava ci fossero pochissime persone in grado di affrontare quel mare in quel modo, e la ragazza era una vera campionessa. Se avesse gareggiato l'indomani sarebbe stato difficile ottenere la quarta vittoria stagionale. La seguì con lo sguardo finche sparì dietro lo spuntone roccioso.

La gente che con lui aveva assistito all'evoluzione cominciò ad allontanarsi. Daniele, molto incuriosito, provò a far loro qualche domanda ottenendo solo dei – Non so… –, – Si dice...- , – Credo che...-.  Insomma, nulla di certo. Uno solo gli spiegò tra il serio e il faceto che da quando frequentava quella spiaggia, ed erano anni, l'aveva sempre vista. Appariva quando il mare era grosso e giocava tra le onde alte. Si diceva che chiunque riuscisse a raggiungerla seguendola sino al suo misterioso rifugio avrebbe ottenuto da lei una notte d'amore. Una notte da favola.

Era però molto difficile starle dietro. A meno che lei stessa non lo volesse. Tutti la chiamavano Belladinotte e usciva soltanto quando le onde erano alte. I piccoli natanti non riuscivano ad affrontare quel mare, i grossi correvano il rischio d'arenarsi.

– E allora?- 

– Sarà una moderna ninfa che si può raggiungere soltanto con quel giocattolo a vela. Ma bisogna essere maledettamente in gamba.

Quelle parole, buttate li, lo colpirono a fondo. Era una sfida bella e buona lanciata inconsciamente. L'uomo certo non lo conosceva, aveva espresso un parere, nulla di più. Eppure qualcosa cominciò a bruciargli dentro.

Guardò a uno a uno i concorrenti. C'erano alcune donne, ma nessuna era quella vista la notte precedente. Il mare era stato mosso per tutta la mattinata e gli organizzatori per non veder fallire la gara l'avevano rimandata al pomeriggio. Il vento si era ridotto, ma teneva. Era ottimo. Si preparò con la solita meticolosità. Fece la corsetta e gli esercizi di riscaldamento, indossò la muta in poliuretano e delle leggere scarpette di gomma togliendo accuratamente la sabbia dall'interno. Controllò che il boma fosse ben legato e saggiò la scotta di recupero. Tutto era a posto. Si tenne lontano dal centro per non correre il rischio di restar imbottigliato.

Quando il cannoncino diede il via, partì solo mentre nel gruppo in una bailamme di vele variopinte si accendevano scontri e intrecci vari. Il suo percorso era un tantino più lungo, ma questo era il male minore. Solo due concorrenti gli erano davanti, non molto distanti, mentre alle spalle il gruppo cominciava a sgranarsi. Capì subito che uno dei due non lo avrebbe infastidito, al suo occhio esperto non sfuggiva un certo impaccio nella manovra. L 'altro… be', non sarebbe stato facilmente superabile, ma sapeva che avrebbe vinto chi avesse fatto meno errori.

Il tempo passava velocemente. Avevano percorso affiancati quasi quattro dei cinque giri di gara. Benché il sole stesse ormai calando dietro le montagne, la visibilità restava ottima e il vento teneva, anzi stava aumentando. Erano alla boa dell'ultimo giro. Ci fu un bellissimo corpo a corpo, poi la sua classe e abilità ebbero il sopravvento. Pian piano lo superò. Era solo. Cercò di rilassarsi senza però mollare, era troppo teso e correva il rischio d'essere assalito da crampi. Notò il mare ingrossarsi. Lui avrebbe raggiunto il traguardo prima che le onde fossero troppo alte, ma gli altri… qualcuno avrebbe avuto problemi. Fu allora che la vide.

Davanti a sé, come sbucata dal nulla. Una vela d'un celeste cielo. Ancora mezzo giro e avrebbe vinto la gara. Eppure il suo sguardo era fisso alla vela. Improvvisamente gli fu vicina. E finalmente vide bene la ragazza. Era molto bella, d'una bellezza quasi antica. Indossava un costume d'un sol pezzo, celeste anch'esso che le modellava sapientemente il corpo mettendo in risalto quanto di bello aveva da mostrare. Lei lo guardò sorridendo e cominciò a corrergli a fianco bordeggiando e giocando con lui. Era di una bravura disarmante. Il mare cresceva di minuto in minuto e diventava sempre più difficile tenersi in equilibrio. Daniele era già in vista del traguardo, eppure non staccava gli occhi dalla ragazza. I suoi denti candidi non parevano ridere del mare, ma di lui che s'affaticava tanto e i capelli assolutamente asciutti mostravano che non uno spruzzo l'aveva raggiunta. Poi lei deviò bruscamente verso destra e, guardandolo intensamente, chinò leggermente il capo. Era un invito palese.

Daniele passò lo sguardo dalla ragazza al traguardo, poi tornò a fissare la vela azzurra che si stava allontanando e per la prima volta in una gara non seppe cosa fare. Lei si accorse della sua incertezza, girò e tornò indietro. Nell'orzare il vento aumentò di prua facendola quasi volare sulla cresta delle onde. Ancora vicina gli rivolse il sorriso più accattivante che lui avesse mai visto. Così nella sua mente cominciò a farsi strada un pensiero avvincente. Quella era una gara come tante altre. Ne aveva fatte a decine, e decine ne avrebbe fatte in seguito. Ma la ragazza... Forse era l'unica occasione per raccogliere la sfida.

Cominciò a puggiare inclinando ulteriormente l'albero in avanti con il boma in fuori. Quando ebbe il vento a 3/4 della poppa notò con la coda dell'occhio che Belladinotte si era portata al gran lasco correndo parallelamente al percorso di gara ma piuttosto distante. Lui quasi la raggiunse tra l'incredulità dei giudici che lo videro allontanarsi da una certa vittoria. Felice la fanciulla cominciò a girargli intorno poi puntò verso lo sperone di roccia facendo ben attenzione a non distanziarlo molto. Era assurdamente brava. La forza delle onde era ormai al limite della navigabilità e Daniele doveva faticare sempre di più per tenersi in equilibrio. Poi la vela prese male il vento girato all'improvviso e cominciò a sbattere violentemente. Per guardare la ragazza si era fatto prendere alla sprovvista. Cercò di rimediare abbassando il busto ma ormai era in grosse difficoltà. Finì a gambe all'aria e a braccia aperte nella più ridicola delle cadute da principiante. Il vento gli portò una risata cristallina. Con un cenno del braccio lei lo salutò dimostrando ancora la sua incredibile abilità nel reggere la tavola a vela con un braccio solo.

Daniele fu sollevato dalle onde giusto in tempo per vedere il concorrente che aveva superato, tagliare il traguardo e vincere quella gara.

Due volte sconfitto. Con un gesto di stizza schiaffeggiò l'acqua e tornò a nuoto al suo windsurf.

 

Le sue intenzioni erano state quelle di andarsene il giorno dopo la gara, ma la voglia di rifarsi in qualche modo lo trattenne a Sibari. Passò la notte sulla spiaggia fissando il mare calmo. Andò a dormire all'alba quando fu certo che per quella notte il vento non si sarebbe più alzato. Così fece la notte seguente e l'altra ancora. Per tutta la settimana l'acqua tranquilla lambì sorniona la punta della sua tavola sempre pronta, ma Belladinotte non apparve. E in lui cominciò a farsi sentire il tarlo dell'irrequietezza accompagnato da un senso di frustrazione che l'assaliva nelle lunghe notti passate all'addiaccio mentre una sorda rabbia lo scuoteva di giorno quando il sole cocente e la sabbia che si infiltrava ovunque gli impedivano persino di pensare. Così pose un limite. Ancora due notti, poi sarebbe andato via. Sapeva di essere capace di farlo, ma sapeva anche che il suo orgoglio ne avrebbe risentito tanto da indurlo persino a lasciare le gare. Essere battuti era un conto, ma ridicolizzati… Non dovette però attendere la seconda notte. Verso le ventuno il vento si alzò e il mare rispose come una donna alle sue carezze increspandosi e macchiettando di bianco la sua massa nerastra.

Grande fu la sua gioia quando poco dopo Belladinotte si stagliò nel cielo stellato con la luna sorgente. sullo sfondo. Un intenso calore gli scaldò il cuore. Eccola, era li, invitante, che pareva chiamarlo. Saggiamente aveva lasciato lo scafo a volume adatto alle regate veliche e aveva preso quello fun, più corto e leggero per i salti e la velocità. Solo che bisognava essere maledettamente abili. Mise il windsurf in acqua e, spinto dal vento, si allontanò dalla riva. Si accorse però di non essere solo. C'era un antagonista che aveva preso il mare con lui. Questo, ben lungi dal preoccuparlo, lo esaltò rafforzando la sua voglia di vincere e con un mezzo sorriso sulle labbra iniziò l'insolita gara. Sentiva il vento scuotere l'albero che reggeva la vela. L'altro era bravo, ma non quanto lui. Lo affiancò e, senza degnarlo di uno sguardo, lo superò. Ormai non pensava più a lui quando con la coda dell'occhio lo vide andare a mare per un tiro mancino di un'onda. Ebbe voglia di ridere, ma ricordò la sua caduta e arrossì leggermente. Nulla e nessuno l'avrebbe distratto. Il mare ruggiva, ma non si lasciò impressionare. Per ben due volte fu sul punto di perdere l'equilibrio, in entrambe però si riprese da campione. Si sentiva benissimo e sicuro di sé. La ragazza l'aveva notato e ogni tanto si girava a guardarlo come per accertarsi d'essere ancora seguita mantenendo da lui sempre la stessa distanza. Dal canto suo Daniele era tanto concentrato che non s'accorse d'aver oltrepassato lo sperone. E, come d'incanto, il mare subito si chetò. Era finito in una piccola cala. Da una parte era limitata dalla roccia, dall'altra finiva in una lingua di sabbia che si incuneava nel mare. Quasi vicino alla punta di questa un piccolo faro, più una lanterna che un faro vero e proprio.

Presso di esso sulla sabbia liscia un windsurf con la vela celeste.

Lentamente lo raggiunse.

La spiaggia era deserta. Il vento pareva non riuscisse a entrare in quella insenatura e l'unico movimento del mare era dovuto alle onde che s'infrangevano contro lo sperone di roccia e si smorzavano pigramente sulla sabbia. La sua tavola a vela ora giaceva accanto all'altra. Non gli fu difficile seguire le orme che portavano verso il faro. Quando lo raggiunse vide la porticina d'ingresso accostata. L'aprì piano. Dentro era buio. A fatica i suoi occhi si abituarono alla debolissima luce che proveniva da fuori. La stanza era vuota, neanche un tavolo o una sedia. Nulla. Un anello nel pavimento denunciava la presenza di una botola e una scala di legno portava al piano superiore. Era incerto quando gli parve di udire un debole sospiro in alto. Decisamente puntò verso la scala. C'era qualcosa di strano nell'aria, una sensazione indefinibile che non aveva mai provato. Cominciò a salire gli scalini che scricchiolarono sotto il suo peso. Il cuore gli balzò in gola quando quel rumore profano disturbò il silenzio e s'accorse di star sudando, ma continuò, deciso a svelare quel mistero. Il rumore delle vecchie assi pareva il crepitio di lontani fuochi d'artificio. Poi la sua testa fece capolino sul pavimento della stanza superiore. La prima cosa che riuscì a distinguere furono i piedi di un letto, poi fu quasi del tutto fuori. C'era una finestrella attraverso la quale un raggio di luna illuminava pudicamente il letto.

Rimase impietrito. Belladinotte lo aspettava. Era nuda tra le lenzuola che profumavano di fresco e lo guardava con un sorriso invitante. Era la quintessenza della bellezza, era una fata da favola, era una dea.

Daniele restò imbambolato senza saper cosa fare. Allora lei con una risatina si sollevò inarcando il corpo in modo mirabile, pose delicatamente i piedi sul pavimento di legno e lo raggiunse. Gli prese una mano e lo fece stendere sul letto.

Quelli che seguirono furono momenti di sogno.

Dopo alcune ore, esausto, cercò di chiedere: – Qual è il tuo vero nome?

Lei rise delicatamente e rispose con voce armoniosa: – Mi chiamano Belladinotte da tanto tempo che ho scordato quale sia. Ma Belladinotte mi piace e vorrei essere sempre chiamata così.

– Vivi sola?

Non rispose. Si sollevò e cominciò sapientemente a coprire il suo corpo di baci. Daniele ne fu inebriato. Volle baciarla anche lui, ma una pesante sonnolenza si impadronì dei suoi sensi.

 

Un raggio di sole lo svegliò. Sbadigliò stirandosi poi si sollevò a sedere chiedendosi dove fosse. Lentamente il ricordo si fece strada in lui. E l'avvolse in un piacere ovattato mentre con un sorriso quasi ebete si riadagiò sul letto. – Che ragazza! – mormorò tra sé e sé. Così girò lo sguardo per cercarla. Non c'era, vide solo il suo slip da bagno adagiato ai piedi del letto. Velocemente lo indossò e scese la scala di legno. Nessuno. – Belladinotte. – Chiamò. La sua voce si perse lontano. – Dove sei? – Riprovò. Ancora nulla. Uscì all'aperto. Il sole caldissimo lo investì quasi con violenza. Sulla spiaggia soltanto il suo windsurf. Dell'altro nessuna traccia. La sabbia era liscia e senza un'orma. Per un istante il panico l'assalì: che avesse sognato? No, impossibile. Se si fosse ritrovato nella sua tenda… ma lui era lì, in quella cala sconosciuta, presso un piccolo faro mai visto. Poi… poi quella notte piacevolissima non si poteva sognare, ne immaginare. Ne era certo.

Si guardò intorno, avrebbe ritrovato quel luogo, ora doveva rientrare. Salì sulla tavola, sollevò la vela e nonostante la leggerissima brezza riuscì a prendere il largo. Presto sarebbe tornato. Ma mentre si allontanava la botola si sollevò e attraverso la porta aperta due occhi giallastri su un volto rugoso lo guardarono stagliarsi nel cielo azzurro chiaro.

 

Nel fresco della pineta si riposò cercando di riordinare le idee. Fece una doccia fredda e una robusta colazione. Poi sistemò la Land Rover e uscì dal camping. Doveva esserci un modo per raggiungere il faro via terra, Sulla strada principale girò a sinistra e guidando lentamente seguì la costa. Vide lo sperone roccioso oltre il quale doveva esserci la cala. E la trovò subito. Col cuore che pulsava più del normale lasciò l'auto in un viottolo e si avvicinò al faro. La porta era chiusa. Bussò: – C'è nessuno?

Un occhio lo fissò da uno spioncino senza che lui potesse accorgersene. Bussò ancora poi fece alcuni passi indietro sollevando il capo nel vano tentativo di sbirciare oltre la finestrella troppo alta. Chiamò ancora per nulla intenzionato ad andarsene. Con una leggera spallata saggiò la consistenza della porticina. Sapeva di star facendo qualcosa di illegale, ma doveva capire. Il rumore del catenaccio che scorreva sulle guide arrugginite lo fece sobbalzare. – Cosa vuoi?

 Daniele chinò il capo sorpreso. Una vecchia grinzosa lo fissava con uno sguardo carico di rimprovero. – Cerco... – balbettò, – cerco una ragazza.

Con voce stridula la vecchia rise. Doveva avere un'ottantina d'anni, forse di più. Si reggeva curva e rinsecchita a un bastone nodoso. – Alcuni anni fa, anzi, tanti… anch'io ero una bella ragazza. Ma il tempo non ha pietà. Sono l'unica persona che vive qui e non credo di essere colei che cerchi.

– Ma... ma ieri notte.. io sono stato in questo faro con una ragazza.

Lo sguardo della vecchia si accese interessato: – Di notte, hai detto?! – Poi a mezza voce – Per caso si chiamava. Belladinotte?! 

– Proprio lei.

Ancora risata stridula delle vecchia lo infastidì. Finalmente la smise e disse: – Anche tu… È una pazzia collettiva. Quanti ragazzi, quanti come te hanno bussato a questa porta in cerca di lei. Ma nessuno ti ha detto che Belladinotte è… è una specie di fantasma?

– Non è possibile. L'ho vista... l'ho seguita e...

  ...e amata? Ragazzo, questa Belladinotte è stata creata dai tuoi sogni e da quelli di decine di altri giovani. E si può essere tanto ingannati dai propri sentimenti da crederla vera. – Sospirò. – Pensaci, ragazzo, hai qualche prova che esista veramente?

– Ma…

– Ma niente, – troncò la vecchia seccata. – Qui non c'è nessuna Belladinotte e basta. Non tornare. Sono anziana e faccio molta fatica a camminare. Addio.-  E quasi gli sbatté la porta in faccia.

Daniele scosse il capo. Le sue speranze svanivano come acqua nella sabbia. Sconsolato tornò al camping.

Forse un altro avrebbe rinunciato. Lui no. Tornò la sera stessa a osservare il mare stando sempre all'erta col windsurf. Tre giorni dopo la vide. Con decisione entrò in acqua. E questa volta non si sarebbe lasciato scappare la ragazza di sotto il naso. Puntò sulla vela celeste. La luna era al primo quarto. La visibilità scarsa. Il mare era più furioso del solito. Daniele non mollò mai, neanche quando sentì i muscoli dolergli, neanche quando capì che la violenza delle onde metteva in pericolo la sua stessa vita, neanche quando lei parve svanire dietro spume ribollenti che lo schiaffeggiavano quasi a voler difendere la fanciulla. E infine vinse. La cala lo accolse in un tranquillo abbraccio. E arenata sulla sabbia c'era la tavola a vela. Con ansia lasciò la sua e corse al faro. La porticina era aperta, la stanza vuota. Salì gli scalini di legno a due a due e guardò il letto con la paura di vederlo vuoto. Ma lei c'era. Meravigliosa più che mai.

 – Sono felice che tu sia tornato. 

E l'amore si aggiunse ad amore, passione alla passione. Come un uragano sconvolge la terra, così quel sentimento lo scosse profondamente. E s'accorse d'amarla. Non era un'infatuazione passeggera, era anzi una sensazione dolorosa perché veniva offuscata dall'ansia di doverla lasciare. Senza saperne il perché.

– Sono stato qui tre giorni fa, ma tu non c'eri. – Belladinotte pareva non ascoltarlo. – C'era una vecchia che mi ha quasi convinto d'esser matto – e, mormorando come a se stesso, – Tu… un fantasma.! È una pazzia.- La fissò – Tu sei reale. E sei mia. Io non ti lascerò più.

Fu allora che la ragazza, come scossa da un torpore in cui pareva caduta rispose preoccupata: – No... non puoi...

– Perché? Forse non ti piaccio? Ho un lavoro e…

Lei sorrise amaramente: – Ora devi riposare…

 – Non voglio.

Belladinotte non disse altro. Cominciò a coprire il suo corpo di baci. Daniele cercò di resistere non riuscendovi. In quelle labbra c'erano la dolcezza d'Afrodite e la forza di Morfeo. Le sue palpebre si chiusero in un mare di piacere.

Quando il solito raggio di sole lo svegliò fu ripreso da una sorda rabbia. Ancora una volta il silenzio rispose ai suoi richiami, ancora una volta girò vanamente alla sua ricerca. Riprese il mare con nella mente un solo pensiero: tornerò.

 

La terza volta Belladinotte lo accolse un po' sorpresa: – Nessuno ha mai sfidato tre volte il mare per me.

– Nessuno ti ha mai amata come ti amo io.

Fecero l'amore fino a stancarsi. Ancora le propose di restare insieme. Lei scosse il capo tristemente e lo baciò. Poi baciò il suo corpo inebriandolo di piacere. Questa volta però Daniele si era preparato. Prima di scendere in acqua aveva preso alcuni stimolanti, neanche un ipnotizzatore sarebbe riuscito a farlo addormentare. Finse di prender sonno e attese. Aveva gli occhi semichiusi. Nell'oscurità lei non poteva accorgersene, del resto era troppo sicura delle sue arti. Attese qualche istante poi si alzò. La luna avvolse il suo corpo meraviglioso nella nudità. Restò un attimo a guardarlo con una strana espressione, poi raccolse il costume e scese giù.

Daniele si alzò da letto e silenziosamente si stese sul pavimento per sporgere il capo giù dalle scale. Appena in tempo per vederla uscire. Corse alla finestrella e, facendo ben attenzione a non farsi scorgere, la vide prendere il windsurf e trascinarlo dentro, poi con una coperta cancellare le impronte sulla sabbia. Aveva indossato una lunga tonaca che la ricopriva sino ai piedi. Quando rientrò, Daniele si ridistese sul pavimento e la scorse mentre sollevava il coperchio della botola. Fece scivolare giù la tavola e la vela arrotolata, poi si calò agilmente richiudendo con cura l'apertura.

‘Ecco dove si nasconde,' pensò ‘che stupido a non capirlo.'

Cercando di non far scricchiolare le assi di legno scese al piano inferiore. Di sotto provenivano alcuni rumori. Si decise. Lentamente sollevò la ribalta. Quello che vide lo lasciò senza fiato.

C'erano alambicchi e ampolle e fumo e gorgoglii e strani odori pungenti. E torce tremolanti. Era un ambiente molto più ampio delle stanze circolari del faro e le mura parevano molto antiche. In alcuni punti la parete umida e gocciolante mostrava come fosse difficile tener a freno l'acqua del mare che si intrudeva nella costa. Belladinotte si muoveva agevolmente in quell'atmosfera d'antica alchimia. Afferrò una brocca che conteneva un liquido verde smeraldo, riempì un piccolo bicchiere poi se lo portò alle labbra e bevve con avidità.

E la ragazza si immobilizzò. Per bere aveva sollevato il capo, giusto quel po' sufficiente perché il suo sguardo incrociasse quello di Daniele che la stava osservando dall'alto. Un grido le morì in gola mentre il bicchiere le sfuggiva di mano andando in frantumi. Gli occhi le si dilatarono.

Lui non batté ciglio. Sollevò del tutto la ribalta e si calò dentro. – Cosa significa tutto questo?

Per tutta risposta lei guardò fuori dalla botola spalancata accorgendosi che la notte si stava rischiarando.

– Vuoi spiegarmi? – insiste il ragazzo.

– Tu… tu dovevi essere addormentato... tu... o Giove, perché sei sveglio? -  C'era una nota di disperazione nella voce.

– Perché ogni volta che sparisci ho il dubbio d'esser matto. Perché questa volta non voglio perderti.

– Tu sei pazzo! – e quasi con ira – Non ti bastava il mio corpo, non ti bastava la mia pelle vellutata, non ti bastava il piacere che riuscivo a darti? Tu sei due volte pazzo. – Il respiro si era fatto affannoso, pareva sul punto di piangere. – Hai rovinato tutto? Io non posso essere tua, né di nessuno. Io appartengo al tempo. È lui il mio unico padrone.

– Non capisco.

– Non puoi, né devi farlo. Vattene e non tornare più.

Daniele era però deciso. – Voglio una spiegazione. Non puoi mandarmi via in questo modo.

VA' VIA. – urlò con disperazione mentre retrocedeva sino a poggiare la schiena sul muro. – VATTENE, NON PUOI RESTARE QUI.

Il suo sguardo tornò alla botola aperta. Attraverso la porticina socchiusa il giorno stava entrando. – Va' via... –  mormorò sconfitta.

Ma era tardi. Un raggio di sole entrò nella stanza. Belladinotte si accasciò sul pavimento. – Non devi... non devi vedermi così

– Così come?!

Fu allora che cominciò a mutare.

La sua pelle si raggrinzì, il bellissimo volto si coprì di rughe mentre i denti candidi si scurivano. Rosse venature solcarono gli occhi ingialliti. E la schiena si curvò come sotto il peso del mondo e i capelli s'incanutirono. La carne divenne flaccida e la pelle si ricoprì di macchie scure. Le stupende e abili mani divennero scheletriche con pelle liscia e tirata e le unghie crebbero come artigli.

Daniele ebbe paura. Cos'era quella… Ma a sbalordirlo fu un pianto sommesso. La vecchia piangeva. Si avvicinò per aiutarla anche se l'impulso di scappar via era forte, ma la paura aveva lasciato il posto alla pietà. Tese le mani per sollevarla da terra.

– Non mi toccare. – scattò lei con voce roca, poi – Perché… perché hai rovinato tutto! – scosse il capo.

– Se non l'avessi visto con i miei occhi…– mormorò Daniele, – Ma cos'è… o perché… o chi. ..? Maledizione, cosa ti è successo? 

Finalmente lei sollevò gli occhi. Nello sguardo c'era una profonda umiliazione. – Vuoi una spiegazione? Eccotela. Alcuni anni prima di Cristo un ricco senatore romano aveva qui una dimora estiva. Ormai essa è andata distrutta, tranne questo sotterraneo. Allora il mare era più lontano e sopra, sopra c'era un tempietto dedicato a Giove nel quale tutto l'anno veniva tenuto acceso un fuoco sacro. Il senatore soleva bruciare un legno molto aromatico che proveniva direttamente dall'oriente. Quando bruciava faceva poco fumo ed emanava un dolcissimo profumo. E non solo questo. Secerneva un liquido verde smeraldo. Io ero la figlia di uno dei guardiani del fuoco.

Ci vollero alcuni secondi prima chela mente di Daniele assorbisse quell'affermazione. La fissò: – Tu eri…cosa?

Lei non gli fece caso e continuò: – Quasi per scherzo un giorno intrisi un dito nel liquido e affascinata dal colore e dal profumo lo portai alle labbra. Aveva il sapore del miele e mi riempì di energia e d'una voglia pazza d'amore. Così ne raccolsi parecchio in una coppa e, all'insaputa di mio padre, ne bevvi un gran sorso.

– Cosa accadde? – si sorprese a chiedere Daniele.

La vecchia appoggiandosi ad una seggiola si alzò faticosamente, guardò in giro e riuscì a raggiungere un bastone nodoso al quale si appoggiò con un sospiro di sollievo. – Divenni quello che vedi ora. Invecchiai di colpo e ne fui terrorizzata. Non che temessi la morte o la vecchiaia, ero stata abituata sin da piccola ad accettare la loro venuta, ma, ma invecchiare così… all'improvviso, quando i vent'anni sono lontani a venire... Fu un dramma. Corsi a nascondermi in una legnaia nel bosco che allora era rigogliosissimo e decisi di uccidermi.

– Stai dicendo d'avere duemila anni! – mormorò incredulo Daniele.

– Di più. Anche se non li conto da molto tempo.

– Quello che dici è assurdo.

– È tutto vero, ne hai avuto la prova, mi hai vista invecchiare di colpo.

Sconfitto mormorò tra i denti: – Continua.

La voce di Belladinotte era fioca: – Non ne ebbi il coraggio. Giurai a me stessa che l'avrei fatto di notte, quando minore era il pericolo d'essere vista e la disperazione avrebbe fatto sentire di più il suo peso. Ma quella notte... Quando il sole si tuffò nel mare, quando le tenebre vinsero la quotidiana battaglia con la luce le mie mani tornarono lisce, la mia pelle fresca e giovane. Ero più bella che mai. E avevo un fortissimo desiderio d'amore. Allora capii. Ecco perché il mio nome... come quei fiori. Un pescatore della Fenicia creò la mia tavola con la vela e da allora il mare è stato il mio unico eterno amico. Il mare e, a volte, qualcuno che riesce a raggiungermi. Ora sai tutto. Ora puoi andartene e non tornare più.

– Incredibile!

– È la verità.

– Io… Santo Cielo!, ho sempre creduto a certi fenomeni strani, ma... ma vederne uno è un'altra cosa, viverlo...

– Va' via. E che nulla si sappia in giro.

– Ma... ma io ti amo...

La risata amara lo scosse: – Tu ami Belladinotte, tu ami un simulacro, un corpo fatto dei tuoi sogni. IO SONO BELLADINOTTE, guarda il mio volto, guarda il mio corpo: mi ameresti forse?

La domanda gli fu letteralmente sbattuta in faccia. Lei certo voleva fargli male, voleva dissuaderlo da quell'assurda e pazza idea, ma Daniele cercò di reagire: - Perché non la smetti? Ti ho vista ancora bere quell'intruglio. Cessa di farlo e vivi la tua vita una sola volta come un comune essere umano. Hai detto di non temere la morte.

– Una volta ci ho provato. Mi ero accorta che quel nettare era al pari di una droga che s'impadroniva di me – ogni ruga pareva carica d'amarezza. – Avevo quindici anni quando la bevvi per la prima volta. Dieci anni dopo cercai di smettere e per una sola notte mi tenni lontana da quel liquido magico. L'indomani il mio fisico acerbo divenne maturo e dimostrava dieci anni di più. E vidi una piccola ruga al lato della mia bocca. Ne fui terrorizzata e ripresi a bere. Se oggi dovessi smettere di me resterebbe soltanto polvere. E forse un giorno lo farò.

NO.

La vecchia fu sorpresa: – Hai detto di no?! Mi ami... nonostante la mia mostruosità?!

– Io amo Belladinotte. E resterò sempre con lei.

– Ora sono io a non capire. Non puoi fare una cosa simile.

Daniele girò lo sguardo e lo poggiò sulla grossa ampolla che conteneva il liquido verde smeraldo. – Tra poco ti sarà tutto chiaro.

 

La luna sorse tra le onde spumeggianti. Al camping quasi tutti dormivano tranne un gruppo di ragazzi che avevano deciso di bivaccare all'aperto per guardare le stelle d'agosto. E il vento giocava con le fiamme del fuoco che si riflettevano nelle iridi sognanti. Poi improvvisamente qualcuno, indicando il mare, esclamò: – Belladinotte.

Tutti gli occhi fissarono quel punto. Una vela volava sulle onde.

Ma non era più sola.

 

 

 
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