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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Come le mele, di Gloria Venturini 15/03/2017
 

Come le mele

di Gloria Venturini



Mi guardo di sfuggita allo specchio e mentre mi rado, dico tra me e me: "Non sono poi tanto vecchio". In realtà la mia campana ha suonato settantadue volte.

Mi accorgo che il tempo delle parole è scivolato via, tra le risate cristalline dei miei figli e la voce lieve come un sussurro di mia moglie. Ora è rimasto il tempo "dell'accorgersi", di sentire che la vecchiaia riempie la vita di tanti silenzi. Gli impulsi ardenti della giovinezza, l'indisciplina a scuola, la fragile timidezza dei primi incontri, l'ingenuità sbrigliata dell'acerbo amore, delle urla rabbiose gridate in riva al mare, la musica a manetta sparata dalla radio della vecchia 500, sono ricordi dimenticati e deposti nello scatolone "dell'inutilizzabile" giù in cantina. I grandi sogni si sono spenti, lasciando il posto a una lanterna a petrolio che mi conduce verso il cammino obbligato della vecchiaia. Ascolto la mente e le memorie, il crepuscolo spietato del mio corpo, il rumore degli acciacchi che aumentano, i mezzi toni delle emozioni, la percezione del senso di ogni singola parola e mi accorgo che sono riverberi di una spietata e precisa schiettezza.

La verità è che sembro l'ombra di un altro uomo. Intravvedo tra le rughe del volto, tra il candore dei capelli diradati, tra il luccicore dello sguardo, una figura che non conosco, che non mi appartiene; eppure non sono mai stato così intimamente vicino a me stesso.

Nel giardino fioriscono silenzi, appassiti dalle solitudini.

Cammino tra le stanze della casa come il rintocco delle ore di un orologio a pendolo, alla ricerca di un qualcosa che dimentico. Passi fiacchi e lenti come il mio udito che ancora vuole afferrare un rumore, una voce, una parola, una sbiadita passione, una sensazione che mi parli di lei.

Il borbottare della caffettiera riempie la cucina di un aroma delizioso.

Il calendario appeso alla parete mi ricorda che sta per finire un altro anno.

Quanti calendari abbiamo cambiato lei ed io, quanta vita abbiamo scorso e perso, tra le corse al lavoro e le faccende, tra la nascita dei nostri figli e gli addii, alternando dolorosi momenti ad attimi di semplice serenità.

Mi mancano i pianti e le grida dei bambini, le loro risate argentine, le marachelle che lei chiamava malanni. Mi manca il noi, le litigate accese e il poi, la pace, la tenerezza del suo sorriso, la carezza sul viso, mi manca lei.

Ora sono continuamente solo.

Nella notte ascolto il crepitio dei mobili, il fruscio del vento, le canzoni della pioggia.

Non so se alla mia età è bene avere ancora la facoltà di pensare nella testa.

Un figlio è andato dall'altra parte del mondo, per inseguire il suo sogno, la sua missione, e grazie a Dio, ci è riuscito. Mi chiama ogni mese, per me è una festa ascoltare le storie dei suoi viaggi, sentire che sta bene, mi sembra felice, o almeno così pare. Mia figlia, infuriata come un maroso, ha seguito la sua indole di paciere del mondo. Adesso vive in un campo di volontariato in America meridionale. Per fortuna mi chiama per Natale.

Mia moglie è scivolata via in una notte di settembre, una decina d'anni fa, non mi sono scordato di lei. La sua immagine è incisa ancora dentro il mio cuore. Le fotografie sono sbiadite, come i ricordi. Non è rimasto acceso solo il lume al cimitero, la fiamma del mio amore arde tuttora, anche se sono vecchio. Vecchio e solo.

Nei silenzi che mi avvolgono e mi fanno compagnia, ondeggiano impercettibili carezzevoli sensazioni d'amore. Nell'aria sottile vibrano sussurri di melodie, il delicato effluvio del suo profumo.

Declinano lentamente i giorni. Al fare stanco della sera cerco d'interpretare le indicazioni dei silenzi, dove mi vogliono accompagnare, ed ecco che la malinconia diventa preghiera; la tristezza, un leggero gemito; la gioia, un sorriso e la tenerezza, una dolce ninna nanna. Guardo fuori dalla finestra, la luna illumina soffusamente l'ulivo che abbiamo interrato tanti anni fa, sembra siano passati dei secoli, mi assomiglia, è contorto e incurvato come me. Il pino cresce ancora solenne, la quercia invece perde le sue foglie come coriandoli al vento.

Una sera io e mia moglie ballammo in giardino, le sue fragili braccia flettevano nell'aria come esili rami, come deboli ossa consumate dalla malattia.

Lo schianto della perdita è un assolo senza voce, ne sono conferma le vecchie tracce di lei, un rossetto lasciato in cucina, il grembiule da stirare; le memorie chiuse in un cassetto come le poesie d'amore che scriveva. Versi così delicati da sfiorare la luna, un tocco leggero in una notte senza stelle.

Credo che gli alberi di mele che abbiamo piantato per la nascita dei nostri figli, germoglino ancora, fioriscano e facciano molti frutti. E anche se io sono stato un genitore disattento, e lei una mamma di corsa, sono certo che abbiamo seminato il seme dell'amore nel loro cuore, il principio del rispetto per la vita.

Forse le tempeste, i tuoni e i lampi, la furia delle tormente, hanno aumentato le loro fragilità, le inquietudini, ma noi abbiamo a nostro modo tentato di guarire e ricucire le loro ferite.

Li aspetto ancora, nella nostra casa, speriamo non il giorno della mia morte.

Mi piace pensare che ogni volta che mangeranno una mela sentiranno il sapore di noi, della loro infanzia, dei momenti allegri che hanno sicuramente nutrito il loro modo di essere.

Domani sarà domenica, assaggerò un po' di torta di mele… "per sentirvi tutti più vicino".


 
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