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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Lettera appassionata delle rose, di massimolegnani 27/03/2017
 

Lettera appassionata delle rose

di massimolegnani



Si fa presto a dire rosa, come bastasse il nome ad evocare la bellezza e la passione. Ma il nome è assurdo, contraddetto dal colore, e il fiore è ovvio, come la sua declinazione, unico residuo rimasto in testa del latino. 
Non mi va di dire rosa, sai quel gambo che s’arrampica con altri uguali sopra il ferro arrugginito a far da raffinata volta, che una volta forse, ma ora fa tanto giardinetto abbandonato della zia Tina. O quel gambo che svetta solitario dopo un’attenta potatura per recare in cima il bocciolo regina, il bocciolo imperdibile che anche lo zotico più zotico sia costretto a dire che bella rosa. 
Mi disturba della rosa il lavoro che c’è dietro, le forbici a sfoltire e la zappetta a rimuoverle le erbacce intorno e il concime a farla crescere, per non parlare degli innesti e degli incroci, che ci vorrebbe il genetista a progettare la variante che alla fine sembri più spontanea. Vuoi mettere il papavero, ormai ridotto a sporadica comparsa a bordo campo come un guardalinee cui nessuno bada se non per dargli addosso se segnala un fuorigioco? Ho stima sconfinata per quel fiore che mi riempie la memoria, rosso era il grano un tempo, sai. 
Questo per dirti che non entrerò in negozio, che troppo mi ripugna chiedere una dozzina di rose rosse e assistere smarrito al rito delle spine strappate via come facevano i nazisti con le unghie. E poi il cellophane a soffocare, la pinzatrice perfida e la stagnola come un lutto. 
No, non posso partecipare alla finzione. 
Piuttosto questa notte andrò, acquattato come una volpe, a sgozzare le rose del vicino, come fossero galline, e nella tela di un sacchetto raccoglierò corolle ancora palpitanti. E una volta a casa, ad uno ad uno i petali scarlatti staccherò come un tempo si faceva con le piume, prima di passare il pollo sulla fiamma. Li ammasserò sul tavolo, con il profumo che avrà perso la superbia e il colore che sarà tornato ad essere colore. E nelle conche d’ottone dove tieni la farina metterò i petali a mucchi, come ossa dei santi nelle teche. Il giallo contro il rosso, non saranno rose rosse ormai, ma odori da vedere. 

 
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