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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Lettera di un figlio alla madre (lunga una vita), di Marina Pasqualini 10/04/2017
 

Lettera di un figlio alla madre (lunga una vita)

di Marina Pasqualini



Cara mamma, so che mi ami e mi hai amato e non ti scrivo per muoverti dei rimproveri, ma semplicemente per comunicarti come io ho vissuto, quando ancora non sapevo esprimermi né a voce né per iscritto. Ora sono cresciuto, ho un buon lavoro e la mia vita, ma devo dirti alcune cose, dopodichè girerò pagina, per sempre.

Parto da lontano, dal primo massaggio, dalla prima carezza che ho percepito al momento del tuo parto e della mia nascita, da quel passaggio dal tuo liquido amniotico, a questo mondo, che mi ha fatto percepire per la prima volta di avere un corpo. Certo, ho pianto perché stavo meglio in quel mondo ovattato ove tu mi nutrivi e mi proteggevi, mentre i miei organi andavano costituendosi per nove lunghi e meravigliosi mesi. Poi, improvvisamente, ho dovuto imparare a respirare e a nutrirmi come individuo a parte. Tu mi hai cullato e tenuto stretto al tuo seno, affinchè si affievolisse in me il trauma della nascita, della nostra separazione. Ma quell’idillio durante il quale io percepivo che tu c’eri ancora, attraverso il tuo odore e il tuo calore, è durato poco. Troppo poco. Sono stato presto affidato ad una balia, poi ad un asilo nido, ove persone esperte si prendevano cura di me, è vero. Ma tu non c’eri già più. Eri dovuta (o voluta) tornare al lavoro e venivi a prendermi la sera, ed insieme tornavamo a casa. Quello era il momento più bello, per me, che ti avevo atteso per tutto il giorno, un tempo che mi sembrava interminabile. Oltre all’aria, al cibo, ai pannolini puliti, che non mi sono mai mancati, nonché qualche “coccola” da parte del personale addetto, io soffrivo una mancanza: la tua. Tu eri, e sei, unica e insostituibile. Nessuna donna, nonna o zia, avrebbe mai potuto prendere il tuo posto. Quel valore aggiunto, costituito dal tuo amore costante, così rassicurante e indispensabile alla mia crescita armoniosa, mi mancava ogni giorno, ogni lungo istante in cui io ti cercavo, e non ti trovavo. Poi la sera, finalmente, arrivavi, e con te la mia consolazione, la mia pace. E avrei voluto che tu non mi lasciassi più, ma il mattino dopo ero costretto a rivivere la dolorosa esperienza della separazione. E alla sera, ma ti capisco, tu eri stanca e oberata dai mille impegni che la casa e la famiglia ti richiedevano. E non potevi certo stare tutto il tempo con me. Io non avrei voluto addormentarmi presto, ma anche le mie piccole forze venivano a mancare, e sprofondavo nel sonno, che avvicinava troppo presto il sorgere di un nuovo giorno. Un nuovo giorno di attesa. Poi sono cresciuto e mi hai portato alla Scuola Materna. Sì, lì mi divertivo a giocare con i bambini, ma alla chiusura tu non potevi ancora venire a riprendermi. Eri ancora lontana, ovviamente, quindi venva la nonna, che mi intratteneva fino al tuo arrivo. E la scena si ripeteva, uguale a se stessa: tu che preparavi la cena, che stiravi, che pulivi sommariamente casa, cercando di intermediare quei gravosi compiti, per te già sfinita, con qualche abbraccio e qualche domanda, che per me avevano un valore incommensurabile: sentivo il tuo amore. Poi ho frequentato le scuole dell’obbligo e mi sono diplomato. Poi l’Università, in una città lontana. E ci vedevamo solo nei fine settimana. Ora sono laureato ed ho sposato una cara ragazza. Mi sono trasferito, come sai, per opportunità di lavoro, in una città diversa dalla nostra. E i nostri incontri si sono ulteriormente diradati. Per fortuna, grazie al web, possiamo vederci su Skype, nonché alle feste di rito. Ma ormai sono un uomo, sono strutturato: sono la famosa freccia dell’arco che tu hai scoccato e che è andata a parare dove il destino ha voluto. Tu sei ormai anziana e la vita è naturalmente andata avanti. Ma penso a come sarebbe stato bello averti potuto “gustare” di più, quando ero piccolo e ne avevo un impellente bisogno. Come mi sarebbe piaciuto trovarti, al mio rientro da scuola, con il tuo sorriso e il tuo abbraccio, con le tue domande interessate su come era andata la mia giornata scolastica, e non solo.. Avrei voluto che mi chiedessi più spesso come stavo, se ero felice o no, quali erano i fantasmi che mi tormentavano, per aiutarmi a fronteggiarli allo scopo di sconfiggerli. Invece di scappare e farmi inseguire, come ho dovuto fare, dando loro una forza maggiore. Ma ti capisco, tu dovevi portare a casa i soldi per fare progredire meglio la famiglia. Non mi sono mai mancate le scarpe e i vestiti alla moda e il decoro che si conviene in una società come la nostra, improntata al valore dell’immagine. La colpa non è sicuramente tua, ma della nostra società che impone a tutti di correre, per esserne all’altezza. Nessuno cammina, pena l’essere lasciato indietro. Nessuno ascolta, se non la propria voce, e il dialogo diventa perloppiù un monologo fra persone che hanno bisogno di essere ascoltate. Pochi osservano, non ve n’è il tempo. Si corre perdendo per strada il valore del viaggio, l’importanza dei dettagli, che a volte contengono il tutto, ma che si trascurano per guardare al grosso, all’evidente. Una casa di proprietà, una o più macchine, vestiti firmati, regali ai compleanni. Ma si perdono, in questa forsennata corsa che non si può definire vita, ma sopravvivenza, i valori più profondi, che vengono seppelliti sotto montagne di superficialità. Avrei voluto una mamma a casa, con me, che mi abbracciasse quando piangevo, che giocasse con me, che mi rassicurasse con il suo sorriso esclusivo, che mi facesse sentire l’essere più importante dell’universo, il più degno d’amore. E questo al solo scopo di darmi delle fondamenta solide, mentre andavo edificando a fatica la mia persona. Certo, sono cresciuto lo stesso, sono un uomo, ma solo io conosco le mie insicurezze, la mia bassa autostima, le mie paure. Forse tu, mamma, avresti potuto costituirne l’antidoto. Ma forse nemmeno lo sapevi: la tua cultura semplice ti impediva di vedere cosa albergava nel mio cuore, nella mia anima. Io ti perdono e ti assolvo.

Un abbraccio infinito

Tuo figlio

 
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