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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  La spiaggia, di Gordiano Lupi 09/02/2007
 

LA SPIAGGIA

 

Non c'è niente di peggio per uno scrittore di non saper che cosa scrivere. Ed è un po' di tempo che mi accade, purtroppo.

Il mio ultimo romanzo è andato bene e  l'editore ne vuole un altro per la fine dell'anno. Ha già fatto sapere cosa si aspetta. Scenario di provincia degradata, personaggi presi dalla vita di tutti i giorni, un pizzico di noir che va tanto di moda. Parla bene lui, tanto non deve mica scrivere. Deve solo stampare. E ordina libri come se venisse a comprare il pane. Io mica sono un fornaio. Sono uno scrittore. Non troppo famoso, ma pur sempre uno scrittore. E se mi prende la fobia da pagina bianca è un problema. Va bene che ho un lavoro normale che mi dà da vivere, però è dura trovarsi senza idee così da un giorno all'altro. Dicono che capiti a tutti, anche ai più bravi. Ma la cosa non mi consola neanche un po'.

In ogni caso quando le parole non vengono è inutile insistere. Meglio staccare per un po' e riposare. Magari uscire e cercare una storia in mezzo alla gente. E' la che si nascondono le storie non scritte. E' là che riesco sempre a trovarle, prima o poi. E allora, visto che il caldo mi ha massacrato abbastanza, decido di uscire per andare giù in spiaggia. Al diavolo le bozze e il romanzo da consegnare. Per un giorno faccio il bagnante alla spiaggia di Salivoli.

Il mare non è lontano da casa mia. Vivo solo in un appartamento con un'ampia terrazza sul mare affacciata sulle isole lontane e gli ombrelloni del piccolo stabilimento balneare. Poco distante c'è un panorama innaturale di barche ormeggiate al molo di un porto turistico che nei giorni di scirocco riempie l'aria di cattivi odori. Nafta, benzina, gas di scarico frammisti al caldo appiccicoso. In questa città lo scirocco è come una vecchia maledizione che non si può scacciare, dà tregua per pochi giorni poi torna all'assalto e opprime togliendo la voglia di fare.  Spengo il computer, accatasto senza ordine i fogli sulla scrivania, cerco un vecchio costume e un telo da mare, tra le cose che la donna di servizio mi nasconde nei cassetti, e me ne vado in spiaggia. Non lo faccio spesso. Proprio no. Infatti la mia pelle ha un colore bianco pallido che pare quella di un uomo abituato a vivere dopo il tramonto. Sembro un vampiro uscito da uno dei miei racconti dell'orrore. In realtà è proprio così. Non amo lavorare di notte, per scrivere preferisco i lunghi pomeriggi e le prime ore del mattino, quando riesco ad alzarmi prima di mezzogiorno.

Di notte faccio altro. Quest'angolo di provincia non offre molte occasioni ma mi sono fatto i miei giri, ormai. Non voglio una donna in casa a dire quello che devo e non devo fare. Tanto meno dei figli a condizionarmi la vita. Ma scopare ogni tanto bisogna, per Dio. E per quello basta organizzarsi.

Al mio arrivo in spiaggia vedo solo famiglie e ragazzini. Da sempre Salivoli è ritrovo estivo di studenti che non hanno l'età per l'auto e non possono raggiungere località fuori porta. Non è un luogo chic. Non è alla moda. Oggi più che mai. Non posso fare a meno di ricordarla quando ero un bambino, con quella rena fine e bianca, la palafitta sul mare, il ristorante, il venditore di granite. Salivoli fa pensare a una donna di mezza età che è stata molto bella e che adesso non prova neppure a truccarsi per nascondere il passare del tempo. Uno stabilimento balneare si è ritagliato uno spazio vitale tra i ciottoli portati a riva dalla corrente, file di ombrelloni puntellano la spiaggia sino alla battigia, la rena è stata sostituita da terra che emana un odore penetrante.Cerco un posto tra residui di alghe e scogliere. Mi sdraio.

Ho portato con me i racconti di Carver ma so già che non li leggerò.

Non sono lettura da mare e poi oggi non ho una gran voglia di stare a pensare. Preferisco osservare.

 

Il sole a picco del pomeriggio di luglio cuoce la mia carne.

Non sono abituato, è questo il problema. Credo che mi farà anche male starmene qui al sole a crogiolare. Mi immergo nell'acqua. Provo una sensazione di sollievo, anche se il mare è limaccioso e manda un odore fetido. Vedo da vicino la scogliera artificiale che racchiude quel tratto di spiaggia per dare riparo alle barche ormeggiate in un porto turistico. Ricordo che scrissi qualcosa a suo tempo, quando decisero di costruire quella inutile cattedrale. Lo feci per dovere di cronaca e anche per quel bambino che veniva al mare con suo padre, una volta. Adesso in fondo non me ne importa niente. Quando voglio fare una vacanza al mare non vado certo a Salivoli. Ho le mie mete tropicali un paio di volte all'anno.

Affondo qualche bracciata e mi porto a largo. Non è profonda l'acqua di quel tratto di mare e posso spingermi avanti senza timore. Non sono un gran nuotatore. Non lo sono mai stato. E poi mi affatico subito. Mi dico sempre che avrei bisogno di fare sport, andare un po' a correre per smaltire la pancetta. Ma lo dico per accademia, tanto lo so che non lo farò mai. Mi sembrano così ridicoli gli uomini di mezza età che fanno footing per le strade della periferia, arrancando a fatica e di tanto in tanto asciugandosi il sudore. In ogni caso oggi un po' di movimento me lo concedo. Penso alla mia schiena e ai dolori che mi terranno compagnia sino al risveglio, però la voglia di rinfrescarmi è troppo forte e un bagno adesso è l'unica cosa che desidero.

Quando esco dall'acqua mi sdraio sul telo ad asciugarmi.

Sono stanco, bruciato dal sole e pizzicato dal salmastro.

Nascosto dalle lenti scure degli occhiali da sole osservo la spiaggia in movimento. E' un'abitudine da scrittore, ormai. Una sorta di malattia professionale. Analizzo caratteri in cerca di personaggi. Setaccio la varia umanità che popola quell'angolo di mondo. Persone che si riparano dal sole sotto un ombrellone, bambini che giocano, genitori che sgridano. Per distrarmi mi dedico a una vecchia abitudine. Osservo il fondoschiena delle donne, li catalogo con cura e poi li paragono l'uno con l'altro. Il culo è la parte che più mi attrae in una donna. Mi piacciono rotondi e sodi, anche un po' abbondanti a dire il vero. Non quei culi da modella anoressica che si vedono spesso in televisione. Mi passa davanti il sedere d'una ragazzina, agile e scattante. Non male, mi dico, anche se potrebbe essere mia figlia. Poi quello d'una donna sui quarant'anni che indossa un perizoma rosso davvero provocante. Un gran bel culo, devo dire. Avrei difficoltà  a scegliere tra la ragazzina e la quarantenne. Poco distante un gruppo di studentesse dimenano i loro sederi in compagnia dei rispettivi ragazzi, altre giocano a pallavolo nell'acqua, altre ancora sono al bar a mangiarsi un gelato. Mi piace vedere le donne che leccano il gelato, mi fanno venire in mente pensieri particolari.

Non è il momento, mi dico. Non è proprio il momento.

Abbandono con lo sguardo gelati e bar e torno sulla spiaggia.

E' ancora quel culo lasciato scoperto dall'audace perizoma che stuzzica la mia fantasia. Non è da tutte avere il coraggio di indossarlo a Salivoli, una spiaggia per famiglie. Oltre tutto la quarantenne è là con suo figlio, la vedo alzarsi e intimargli di uscire dall'acqua. Si muove con eleganza, dimena il posteriore guardandosi intorno per vedere se qualcuno la osserva, richiama il bambino, lo prende con sé e lo conduce all'ombrellone. Sorride. Forse ha capito che la sto osservando. Ha un po' di cellulite, un poco di grasso di troppo. Ma può andare, per Dio se può andare. Si sdraia supina mentre il bambino, avvolto in un telo di spugna, si asciuga al riparo dal freddo. Mi concede la vista di un sedere pieno e sodo con un filino rosso infilato nel solco tra le natiche. Lei finge di dormire, ma sono convinto che sta guardando intorno per vedere quanti occhi ci sono puntati sul suo culo. Di sicuro i miei. Non l'ho mollata un instante da quando sono qui. Ho trascurato persino le ragazzine per lei. E le ragazzine sono sempre state la mia passione, le quindicenni con i loro corpi acerbi che ti gettano in faccia quei culetti provocanti.

Una passione solo teorica, in fondo. Non sono un pedofilo.

Sono soltanto uno che gli piace guardare.

Ho dimenticato anche Carver nella borsa, ma era previsto.

Sapevo che non l'avrei letto. Non questo pomeriggio.

Non con quello stupendo culo davanti agli occhi.

Ci sono giorni che un culo vale più di Carver, è inutile dire.

Dipende dalla condizione d'animo. Dipende anche dal tempo.

Vivo solo e quando sento il bisogno di una donna devo cercare l'occasione. E tutto sommato va bene così, mi annoierei di una presenza continua e rassicurante. Non fa per me. Non sono il tipo. A me piace osservare e cambiare, scovare qualcosa di nuovo. E quel culo andrebbe davvero bene per la notte, mi dico. Sarebbe un bel cambiamento. Anche perché sono dei giorni che non scopo. Lavoro troppo e con il caldo non va bene. Dovrei rallentare, concedermi qualche pomeriggio di svago, un po' di relax, qualche passeggiata in centro. Lo dice anche il medico. E qualche donna in più, soprattutto. Questo il medico non lo dice però lo aggiungo io. In questo periodo ne avrei proprio bisogno, per Dio.

Cambio posizione e termino di asciugarmi al sole, proprio nel momento in cui un ragazzo alto e ricciolo posteggia la sua moto davanti alla spiaggia e si avvicina al culo che mi ha riscaldato il pomeriggio. E' arrivato il marito, mi dico.

In ogni caso ero venuto per riposare. Riposare e osservare. Non altro.

Mi addormento pensando a Esopo e a quella favola che da bambino mi piaceva tanto. Mio padre me la raccontava ogni sera.

Allora non la capivo mica quella storia dell'uva…

 

Quando mi sveglio ho il corpo arrostito dal sole.

Addormentarsi in spiaggia è una delle cose peggiori che possono accadere se non si possiede un ombrellone. Mi sveglio con il corpo indolenzito e i miei dolori alla schiena mi ricordano che questa notte sarà dura prendere sonno. Altro che donne! Altro che culo con il perizoma! Vado al bar e ordino dell'acqua minerale ben fredda. Ne mando giù un paio di bicchieri. Adesso sto meglio.

Mi siedo fuori dal locale, una pergola di edera e uva selvatica rinfresca per un attimo i miei pensieri. Sono qui per cercare una storia, rubare un'idea alla vita di tutti i giorni. Il mare è soltanto una scusa. E quella pagina bianca che non si fa colorare di sogni mi fa troppa paura.

Vedo poco distante un gruppo di ragazzi sui quindici anni.

Ripenso ai miei quindici anni e ai sogni d'un tempo. Difficile dire se possono avere qualcosa in comune. I miei quarant'anni sono troppi più dei loro. Mi colpisce soprattutto uno che non ha il costume da bagno ma è sulla spiaggia vestito, quasi andasse a una festa. Scarpe da tennis, maglietta e pantaloni corti. Pettinatura curata. Non è uguale agli altri. Non sembra ben integrato nel gruppo. Infatti lo deridono. Uno dei ragazzi, quello con la corporatura più atletica, lo sbeffeggia a lungo. Non comprendo cosa gli dice. Dal mio posto non distinguo bene le parole, però posso immaginare. Gli sfottò sono sempre stati gli stessi, in fin dei conti. Il ragazzino vestito di tutto punto ha in mano un libro. Sta leggendo. Volta le pagine con cura e non risponde alle risate degli amici. Un personaggio difficile da costruire, mi dico. Un personaggio reale. Mi sforzo di pensare a quello che non vedo e dall'apparenza esteriore cerco di capire ciò che tiene dentro. Lo immagino a scuola. Un ragazzo che tutti giudicano strano. Non legge fumetti, non ama i videogames e la playstation, usa il computer solo per scrivere poesie e anche quelle prima le butta giù su di un quadernetto con la copertina nera e le pagine ingiallite. Legge molto. Cita a memoria titoli e pagine di Thomas Mann e Proust. I suoi compagni lo evitano come un appestato. E lui in fondo è triste perché sa che non può essere come loro, il suo sogno è quello di diventare un poeta o un giornalista, vorrebbe cambiare il mondo e non sarà mai in grado di farlo. I suoi compagni si accontenterebbero di essere Totti o di accarezzare le cosce della Marcuzzi. E non lo comprendono. Non possono farlo. Lo sfottono spesso all'uscita di scuola, mentre attende l'autobus che lo porta a casa. Il ragazzo è figlio di operai e vive nella città vecchia, tra lo spolverino delle acciaierie e l'odore intenso del mare. Lui li lascia fare e sorride. Ma è un sorriso amaro. Ha tra i denti parole che posso solo immaginare e sono parole terribili. Se solo dicesse: “Un giorno o l'altro ve la farò pagare, brutti bastardi…” potrebbe avere il tempo di far vedere che si può essere come lui e resistere alla vita. Se solo lo dicesse. Ma è un personaggio perdente, purtroppo. E' di quelli che si arrendono. “Quando mi ritroveranno con quella corda appesa nel bagno forse capiranno…”, sono le sue parole. Terribili come una condanna a morte.

Non sa che non serve morire per far capire qualcosa agli altri. Questo lo capirebbe se solo avesse la forza di continuare a vivere e lasciasse passare gli anni. Ma lui non ce l'ha. Di questo sono sicuro.

In un mio futuro racconto quel ragazzino è destinato a fare una brutta fine. Esigenze di trama, volontà dell'editore. Una storia nera in una provincia degradata, mi ha detto. Avrei una gran voglia di scrivere una bella storia d'amore. Già lo sento come mi risponderebbe: “Vuoi scherzare? Chi pensi che legga ancora storie d'amore? Le casalinghe guardano le telenovelas su retequattro e il pubblico vuole solo storie nere, ricorda. Conosci la ricetta. Un po' di sesso, qualche coltellata, confondi appena un po' le idee con qualche divagazione sociale, ma non esagerare. Hai visto la Teodorospi quanto vede con quelle storie di sesso e sangue al femminile? Vuoi essere da meno?”

No che non voglio. E farò come dice lui.

In fin dei conti anche per quel ragazzo ciò che conta è la vita.

Tutto il resto è musicol, come dice Jannacci.

 

Torno sulla spiaggia anch'io, mi siedo sul telo e guardo il mare.

Fa caldo e in molti sono a bagnarsi per trovare ristoro, altri preferiscono il fresco dell'ombrellone. Una voce squillante e decisa attrae la mia attenzione. Appartiene a una donna grassoccia dai capelli corti e l'età indefinibile, tra i quaranta e i cinquanta direi. Mi accorgo solo adesso della sua presenza, deve essere tutto il pomeriggio che parla senza mai fermarsi. Io ero troppo distratto da culi e trame immaginarie per rendermene conto. C'è anche il marito accanto a lei, silenzioso, annichilito, non prova neppure a replicare alle parole della moglie. Ascolta il monologo e di tanto in tanto si limita a un cenno del capo per assentire. Mi metto in ascolto senza farlo capire.

“Ci fregano sempre, per Dio. Ci fregano sempre, c'è poco da fare. Non serve a niente votare o protestare. Rossi o neri sono tutti uguali. A noi poveracci non ci pensa nessuno…”

Parla di politica come la maggior parte della gente. Dal parrucchiere o in spiaggia fa poca differenza. I discorsi sono quelli. Il povero marito si limita ad ascoltare e di tanto in tanto dice: “Eh, sì. E' proprio vero”.

Quello che leggo nei suoi occhi è disperazione. Desiderio di fuga. Ma non può. Un fiume di parole lo investe e non accenna a finire.

“Tu guarda questa spiaggia. Ti ricordi com'era? Adesso pare una fogna da quant'è sudicia. E ci fanno fare anche il bagno ai bambini. Sai che malattie che prendono…”

Il marito prova a intervenire ma lei è già passata oltre.

“D'altra parte che ti vuoi aspettare da questa gente? E gli hai dato anche il voto. Quanti anni sono che glielo dai il voto?”

Lui prova ancora ad aprire bocca. Ma non ce la fa.

“Non che gli altri siano meglio, certo. Quel Berlusconi ride sempre ma chissà quante ne studia. Di sicuro non pensa a noi. Con tutti i soldi che ha gli interessa assai di noi…”

E' un torrente in piena. Irrefrenabile. Non tace un secondo. Nonostante il caldo. Il marito, ormai rassegnato, ha finito per sdraiarsi sul telo e adesso finge di dormire. Lei torna alla carica.

“Lo sai cosa bisognerebbe fare?”

E' una domanda retorica. Di certo lei non attende risposta.

Però ha bisogno di un pubblico. E allora si guarda intorno e alza la voce come per chiedere l'approvazione dei vicini di ombrellone.

“Te lo dico io cosa. Mandarli a lavorare. A zappare la terra però, mica un lavoro qualsiasi. Questa gente non sa nemmeno cosa voglia dire lavorare”. I vicini, me compreso, evitano di incrociare il suo sguardo. Nessuno vuole essere coinvolto in una discussione politica da spiaggia. Meglio il sole e la tranquillità. Meglio un bel gelato. Meglio questo panorama di culi che mi passano davanti.

Il marito ormai è addormentato, o sta fingendo davvero bene.

Lei, visto che nessuno la considera, lo scuote per svegliarlo.

“Ma tu non mi ascolti? Non dici niente? Lo vedi che con te non c'è dialogo? Non si può neppure parlare. Se proprio come tuo figlio”.

Lui si sveglia, scuote un poco la testa, prova a rispondere per l'ennesima volta. La moglie è già partita per un nuovo attacco.

“Tuo figlio. Lui sì che ha visto un bel mondo. Io alla sua età ero già sposata e dovevo pensare alla famiglia. Lui invece studia. Si gingilla all'università e fa la bella vita. Un vagabondo come suo padre, ecco cos'è. Voglio vedere dove se la caccerà quella laurea, se mai la prenderà. E' tutta colpa tua. Io lo avrei mandato a lavorare da tempo”.

Il marito non accenna risposta. E' un discorso vecchio. Sa già come andrà  finire. In fondo invidia suo figlio che va all'università e qualche giorno a settimana se lo passa lontano. Lui invece deve sopportare la moglie ogni giorno. L'ha sposata, ormai. Ed è troppo tardi per tornare indietro. Pensa sconfortato che una volta non era così.

Adesso quella donna ha stancato anche me. La schiafferei volentieri in un racconto noir, magari di violenza urbana. Una moglie assillante e logorroica. Una madre noiosa e iperprotettiva. Sarebbe un piacere farla trucidare dal figlio in uno dei tanti rientri dall'università senza aver sostenuto esami. Mi appassionerebbe descrivere quell'eccidio liberatorio e poi la scena notturna dell'occultamento del cadavere. Padre e figlio complici della mattanza farebbero a pezzettini il corpo e lo seppellirebbero in giardino tra le erbacce velenose, come in un vecchio racconto di Lovecraft.

Fantasie d'un pomeriggio d'estate. Nulla di più.

Poco lontano c'è un altro discorso interessante e mi va di ascoltare.

 

Un gruppo di persone riunite a un ombrellone parla di invenzioni.

Un tipetto piccolo e con gli occhiali tiene banco e racconta.

“Io ho inventato un metodo sicuro per non far pisciare e cacare il cane in spiaggia. Lo sapete? Adesso lo devo brevettare”.

Interessante, mi dico. L'idiozia non ha limiti. Chissà se il tipo sarebbe capace di inventare un sistema per farmi portare a letto quel culo con il perizoma rosso. Gli amici lo guardano meravigliati.

“E come fai?” chiede uno.

“Questo non te lo posso dire. Se no mi porti via il brevetto. E' un'invenzione che può cambiare la vita a tutti i padroni di cani”.

“Questo è vero” ammette un altro.

“Ma non ho fatto solo quello. Ho inventato tante di quelle cose in vita mia che non le ricordo neppure. Quando lavoravo in fabbrica gli ingegneri venivano da me a chiedere consiglio e facevano sempre come dicevo io”.

“Sei davvero in gamba. Ma come fai? Non hai mai avuto voglia di studiare…” gli chiede sorridendo uno degli amici.

“Non lo so neppure io. Di certo so che la scuola non serve a  niente. Ho fatto appena la quinta elementare e quando ero militare gli ufficiali mi chiedevano di scrivere per loro le lettere a casa. Io so fare tutto senza bisogno di avere conoscenze. Sono un povero ignorante ma non c'è laureato che mi stia al passo”.

Ecco, anche questo sarebbe un bel personaggio.

E ci sarebbe una gran soddisfazione a farlo massacrare in un sorprendente finale noir. Magari proprio da uno dei suoi marchingegni inventati da poco che non ha funzionato al momento giusto. Lo potrei inserire in una storia ambientata in fabbrica, con lui che si è preso la briga di inventare un macchinario che velocizzi il ritmo della produzione. E il piacere di farlo finire stritolato dalle rotelle di quell'ingranaggio e soprattutto dalla sua presunzione sarebbe tutto mio. Scrivere è catarsi. Scatenare desideri repressi e farli fluire sulla pagina bianca. Pensare che nella vita di tutti i giorni sono un tipo tranquillo, non farei del male a nessuno. E' questa moda del noir che mi ha contagiato. E quel fottuto editore che non chiede altro.

Abbandono il dialogo sulle invenzioni, anche se resto con la curiosità di sapere quale sia il meccanismo per non far cacare e pisciare il cane in spiaggia. Una sorta di tappo tecnologico? Chissà…

 

Posso vagare con lo sguardo per gli ombrelloni di Salivoli quanto voglio, però alla fine gli occhi si posano là. Sulla quarantenne e il suo culo esposto ai raggi del sole, appena coperto da un perizoma rosso. Non è sola adesso. Il ragazzo che le sta accanto pare anche un poco più giovane di lei e l'abbraccia con passione. La tiene stretta a sé e l'accarezza, incurante degli sguardi di disapprovazione che cadono su di loro. Incurante anche del figlio che gioca poco lontano. Adesso si stanno baciando. Sono proprio una bella coppia, penso. Un marito e una moglie che conservano la passione dopo anni di matrimonio non è facile trovarli. Io poi sono il meno adatto a capire. Non ci ho mai provato a sposarmi. Le donne mi stancano dopo un paio di mesi che le frequento. Non reggo di più. Però mi fa piacere vedere che ad altri non capita. Sono contento quando scopro che l'amore esiste. E questi due hanno un bambino di quasi cinque anni, quindi è da un po' di tempo che stanno insieme. Prima si saranno frequentati da fidanzati, come usa. Vuoi vedere che si conoscono da una decina d'anni e ancora si vogliono bene come due ragazzini? Mi dispiace per le idee che mi ero fatto su quel culo, però sono contento di scoprire una realtà insolita. L'amore non si logora sempre, a quanto pare.

Le parole di un'anziana signora distolgono la mia attenzione.

“Che schifo si deve vedere in una spiaggia. Ci manca che si mettano a  fare l'amore e poi siamo arrivati”.

La guardo, al riparo dei miei occhiali da sole con le lenti scure.

Ci mancava la ventata di perbenismo. Come se lei non l'avesse mai fatto quando era giovane. Come se non le piacerebbe ancora poterlo fare. L'ipocrisia è una cosa che non sopporto.

“Di questo passo il mondo diventerà un casino” continua.

Parla tra sé a voce alta. Il marito è seduto su di una poltrona di plastica e tela e non interviene. Sta leggendo la Gazzetta dello Sport e la sua maggior preoccupazione è la campagna acquisti della Fiorentina.

I culi non lo entusiasmano più, ormai. Sono cose d'altri tempi.

Lei invece insiste.

“Ci sono i bambini. E' una vergogna!”

Ecco un altro personaggio che truciderei volentieri. La vecchia bigotta scandalizzata dall'amore. Un bel finale noir anche per lei e magari con qualche accenno di splatter, anche se non lo sopporto.

Quando ci vuole, ci vuole.

Proprio mentre sto studiando una fine congeniale e drammatica per la vecchia impicciona sento delle grida provenire dal posteggio vicino all'ingresso della spiaggia. In molti si voltano a guardare.

Vedo la figura di un uomo scendere dall'auto e dirigersi verso la spiaggia a passo rapido e sicuro. Adesso è vicino. Sta urlando e comprendo bene le sue parole. Non sono più un gridare indistinto.

“Puttana! Maledetta puttana!” urla.

Ha una pistola in mano. Non ho neppure il tempo di vedere il modello.

Pare una pistola di quelle in uso alla polizia o all'esercito.

Forse è un militare di professione.

“Puttana!” ripete.

E' vicino a lei, adesso. Alla quarantenne con il perizoma rosso e al suo fantastico culo. E non ho neppure il tempo di capire. Nessuno ce l'ha. La donna è spaventata. Si alza. Tenta di parlare. Si avvicina al figlio come per proteggerlo. Ma non riesce a far niente. L'uomo scarica su di lei tre colpi in rapida successione. L'odore della polvere da sparo si confonde al puzzo della nafta perduta dalle imbarcazioni e il rumore dell'arma da fuoco rompe il silenzio irreale di quella giornata d'estate. Poi passa al compagno. Lui accenna una fuga impossibile. Ha paura. Vedo il bambino che piange. Non comprende niente di quello che accade. Nessuno comprende. Altri colpi. Altro sgomento e paura. Un lago di sangue colora di rosso quell'angolo di spiaggia. Un miscuglio di sangue e di rena.

Non erano moglie e marito, mi scopro a pensare.

Il marito è arrivato adesso, purtroppo.

La spiaggia è in subbuglio. Gente che corre, che grida.

La vecchia signora accanto a me chiede aiuto, i ragazzini sbigottiti non sanno che fare, qualcuno di loro è rimasto nell'acqua con la palla in mano e pare adesso una statua di pietra, la moglie logorroica si è finalmente zittita e l'inventore forse sta pensando al brevetto di un silenziatore per pistole, a vantaggio della quiete dei bagnanti.

Dal bar qualcuno avrà avvisato la polizia, spero.

Il marito intanto si è seduto accanto ai due amanti trucidati e attende.

In silenzio. Ha preso il bambino con sé. Accarezza il corpo della moglie sporcandosi di sangue, poi stringe forte il figlio con quelle mani lorde e piange. Forse solo adesso comprende quello che ha fatto.

Da lontano si odono le sirene della polizia.

Ho trovato la mia storia, mi dico.

E un finale che di sicuro farà la gioia dell'editore.

 

 
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