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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Un uomo, una vita, di Marina Pasqualini 03/05/2017
 

Un uomo, una vita

(a mio marito)

di Marina Pasqualini



Era l’ultimo di sei figli. Erano venuti al Nord per cercare una migliore condizione di vita. Ma la prima casa che trovarono era un grande stanzone, sopra una chiesa sconsacrata, per raggiungere il quale utilizzavano una lunga scala di legno. Non c’era riscaldamento, né acqua corrente. E lui ricordava quel dormire tutti vicini, e il ghiaccio sul finestrone. E la madre che, per colare la pasta, doveva recarsi alla fontanella, giù nel cortile.

Ora era un uomo adulto, aveva creato la sua bella famiglia, la sua casa più che dignitosa, e svolgeva una professione artigianale che tanto amava. Ai suoi tre figli, tutti maschi, aveva dato il meglio: da ogni tipo di confort, ai vestiti firmati, al dentista alla prima comparsa di carie: era infatti memore dei suoi mal di denti, in occasione dei quali la madre esortava il figlio più grande a portarlo in giro in ‘vespa’, per fargli scordare il dolore. E l’intervento estrattivo da parte del medico della mutua, senza anestesia, quando ormai restava solo la radice del dente malato.

Ricordava, poi, l’orgoglio che aveva provato, da ragazzo, per essere entrato a far parte della ditta di imbianchini, assieme ai suoi fratelli più grandi. Era sempre il primo a presentarsi, in magazzino, al mattino, e l’ultimo a rincasare. Ed era anche colui che eseguiva i lavori più pesanti, nonché più distanti da casa. Mentre era il fratello più grande a gestire gli introiti, a modo suo. Ma lui era felice così, di nome e di fatto. Voleva infatti soddisfare i genitori, in particolare la madre, che li voleva tutti insieme, a lavorare. Non importava la gestione del denaro, lui non era ammesso a farne parte; decideva tutto ‘il capo’. Prendere o lasciare. E lui aveva preso. Salvo poi capire, troppo tardi, che le cose non erano state eque come lui si immaginava. Ma quel che era fatto, non si poteva cambiare. Fiducia malriposta. Pazienza. Così era andata, troppo tardi per recriminare.

Poi, un bel giorno, la ditta si disfò e lui dovette ricominciare daccapo, avendo dovuto lasciare camion e mezzi al fratello maggiore (ricordate? Prendere o lasciare). E daccapo, senza mezzi, contando solo sulle sue forze, cioè le sue mani, riuscì a far laureare i suoi tre figli, a dispetto di quanto gli era sempre stato detto, e cioè che ‘senza di lui’ egli ‘non era nessuno’ e non avrebbe fatto tanta strada.

Ma qui giunti, si abbattè la crisi economica, che azzerò i suoi migliori clienti: chi chiudeva, chi falliva, e il telefono non squillava più. Ed ecco che la Provvidenza era intervenuta, una volta di più. Il suo figlio maggiore, infatti, insoddisfatto di lavori precari, si rimboccò le maniche e fece risorgere, nel giro di pochi anni, la ditta paterna, grazie al suo lavoro sulla rete.

Ma niente riuscì mai a togliergli la sua voglia di vivere, di ridere, di scherzare. Non aveva potuto studiare, ma era dotato di una intelligenza viva, di una grande memoria e di un ancor più grande voglia di lavorare. Era un uomo grande e grosso, che si commuoveva di fronte a scene, in televisione, di bimbi maltrattati o soli. Lui era sempre pronto ad intervenire di fronte ad ingiustizie e soprusi, che capitavano sul suo cammino. Mentre non era riuscito a difendere se stesso. Ma non gli importava, lui difficilmente recriminava, era sua moglie a farlo: “Avremmo potuto avere di più” insisteva lei, “se tu non fossi stato così ingenuo!”

Ma erano ricchi ugualmente, avevano i loro tre splendidi ‘gioielli’, tre belle persone che avevano creato ed edificato insieme.

Cosa volere di più dalla vita? Bisognava solo pregare per un po' di protezione, ma soprattutto era doveroso ringraziare, all’infinito…

 
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