Un
uomo, una vita
(a
mio marito)
di
Marina Pasqualini
Era
l’ultimo di sei figli. Erano venuti al Nord per cercare una
migliore condizione di vita. Ma la prima casa che trovarono era un
grande stanzone, sopra una chiesa sconsacrata, per raggiungere il
quale utilizzavano una lunga scala di legno. Non c’era
riscaldamento, né acqua corrente. E lui ricordava quel dormire
tutti vicini, e il ghiaccio sul finestrone. E la madre che, per
colare la pasta, doveva recarsi alla fontanella, giù nel
cortile.
Ora
era un uomo adulto, aveva creato la sua bella famiglia, la sua casa
più che dignitosa, e svolgeva una professione artigianale che
tanto amava. Ai suoi tre figli, tutti maschi, aveva dato il meglio:
da ogni tipo di confort, ai vestiti firmati, al dentista alla prima
comparsa di carie: era infatti memore dei suoi mal di denti, in
occasione dei quali la madre esortava il figlio più grande a
portarlo in giro in ‘vespa’, per fargli scordare il
dolore. E l’intervento estrattivo da parte del medico della
mutua, senza anestesia, quando ormai restava solo la radice del dente
malato.
Ricordava,
poi, l’orgoglio che aveva provato, da ragazzo, per essere
entrato a far parte della ditta di imbianchini, assieme ai suoi
fratelli più grandi. Era sempre il primo a presentarsi, in
magazzino, al mattino, e l’ultimo a rincasare. Ed era anche
colui che eseguiva i lavori più pesanti, nonché più
distanti da casa. Mentre era il fratello più grande a gestire
gli introiti, a modo suo. Ma lui era felice così, di nome e di
fatto. Voleva infatti soddisfare i genitori, in particolare la madre,
che li voleva tutti insieme, a lavorare. Non importava la gestione
del denaro, lui non era ammesso a farne parte; decideva tutto ‘il
capo’. Prendere o lasciare. E lui aveva preso. Salvo poi
capire, troppo tardi, che le cose non erano state eque come lui si
immaginava. Ma quel che era fatto, non si poteva cambiare. Fiducia
malriposta. Pazienza. Così era andata, troppo tardi per
recriminare.
Poi,
un bel giorno, la ditta si disfò e lui dovette ricominciare
daccapo, avendo dovuto lasciare camion e mezzi al fratello maggiore
(ricordate? Prendere o lasciare). E daccapo, senza mezzi, contando
solo sulle sue forze, cioè le sue mani, riuscì a far
laureare i suoi tre figli, a dispetto di quanto gli era sempre stato
detto, e cioè che ‘senza di lui’ egli ‘non
era nessuno’ e non avrebbe fatto tanta strada.
Ma
qui giunti, si abbattè la crisi economica, che azzerò i
suoi migliori clienti: chi chiudeva, chi falliva, e il telefono non
squillava più. Ed ecco che la Provvidenza era intervenuta, una
volta di più. Il suo figlio maggiore, infatti, insoddisfatto
di lavori precari, si rimboccò le maniche e fece risorgere,
nel giro di pochi anni, la ditta paterna, grazie al suo lavoro sulla
rete.
Ma
niente riuscì mai a togliergli la sua voglia di vivere, di
ridere, di scherzare. Non aveva potuto studiare, ma era dotato di una
intelligenza viva, di una grande memoria e di un ancor più
grande voglia di lavorare. Era un uomo grande e grosso, che si
commuoveva di fronte a scene, in televisione, di bimbi maltrattati o
soli. Lui era sempre pronto ad intervenire di fronte ad ingiustizie e
soprusi, che capitavano sul suo cammino. Mentre non era riuscito a
difendere se stesso. Ma non gli importava, lui difficilmente
recriminava, era sua moglie a farlo: “Avremmo potuto avere di
più” insisteva lei, “se tu non fossi stato così
ingenuo!”
Ma
erano ricchi ugualmente, avevano i loro tre splendidi ‘gioielli’,
tre belle persone che avevano creato ed edificato insieme.
Cosa
volere di più dalla vita? Bisognava solo pregare per un po' di
protezione, ma soprattutto era doveroso ringraziare, all’infinito…
|