Il melograno
Il
vecchio tese la mano verso l'albero ma non ce la fece
a cogliere il frutto, ritornò verso casa, mesto, appoggiandosi al bastone.
Si buttò nella sua poltrona, sentì le voci dei
bambini correre nell'orto, guardò da dietro i vetri, vide null'altro che
l'albero dai frutti vermigli e la nebbia che lenta andava ricoprendo la
campagna: si assopì.
Il professore entra nell'aula, gli studenti si alzano
causando un trambusto unisono tra i banchi di legno. Il luminare sale in
cattedra, fa cenno
con la mano che si va ad iniziare. Lo stesso trambusto accompagna i giovani che
si siedono e preparano i loro blocchi dalla copertina nera e i fogli bordati di
rosso. La lezione di retorica dura un'ora, la fine del monologo del professore
è salutato da uno scroscio d'applausi e voci impostate dal fondo dell'aula :”Bravo!”- “Bene”-…-“Deus!”- L'uscita dalla sala è
accompagnata, come al solito, da un capannello di giovani che desiderano avere
un contatto quasi fisico con il docente. Improvvisamente, tra quelle voci si
sentono urla di bimbi che s'inseguono, e tra esse,
quella del bimbo dai riccioli d'oro.
Il vecchio si ridestò, guardò di nuovo dalla
finestra, cercò. La campagna era tutta ricoperta dalla nebbia, nonostante il
Giugno inoltrato l'umido penetrava fin nelle ossa. Scrutò per vedere il suo albero, nulla.
Ritornò a sedersi. Il capo si abbassò più volte e si rialzò fino a rimanere
adagiato sulla spalla.
Le ruote del calesse filano rumorose sui sassi
sconnessi del viale che da Bòlgheri porta a San
Guido. Una doppia fila di cipressi, ai lati della strada, ossequia il passaggio
del papà e del figlio che si recano al cimitero per onorare i morti. Il cavallo
viene legato alla staccionata sul piazzale antistante
l'ingresso. L'uomo prende per mano il bambino ed entrano, si fermano di fronte
ad una tomba di marmo grigio. Il papà abbandona la mano del fanciullo e si
lascia andare ad un gesto di disperazione, dopo aver guardato la foto sulla
tomba del bimbo dai lunghi boccoli d'oro. La sua attenzione è richiamata dal
figlio che gli tira il mantello, l'uomo lo fissa, il bimbo è lì, non è nella
tomba, sotto la terra negra, sotto la terra fredda. Il fanciullo prende la mano
del genitore e lo tira, portandolo fuori da quel posto
tetro dove non hanno motivo per restare.
Il vecchio alzò il capo dalla spalla, il collo
indolenzito lo indusse a ruotare la testa più volte a destra e a sinistra. Vide
attraverso i vetri che la nebbia si stava diradando. Si alzò barcollando, si
portò verso il camino e fece scivolare un altro ceppo sulla fiamma, si aggiustò
la giacca di flanella e andò a riprendere posto sulla poltrona. La pendola
rintoccò per dieci volte, mancavano ancora due ore al pranzo che il buon Giulio
gli avrebbe portato, si augurò un gustoso brodo caldo. Le palpebre si
richiusero sui suoi occhi azzurri, cerchiati da una patina bianca.
Il
suo nome riecheggia nel salone affollato di gentiluomini e dame. Fa fatica a
decifrarlo scandito nel duro accento scandinavo. Si alza, si aggiusta il
papillon e vola col pensiero a ricevere il premio dalle mani del re di Svezia,
il premio più ambito, presente, anche se solo con il cuore. Scruta tra la folla, cerca lo sguardo del suo
bimbo, ma non lo trova, il figlio è altrove, nell'orto ad allungare la mano
verso il verde melograno.
Il vecchio si alzò, vide che il sole aveva
rischiarato la campagna e decise di uscire. Impugnò il bastone e si avviò verso
il solito albero. Un frutto più grande degli altri, maturo al punto da essersi
spaccato mettendo in mostra i chicchi rubini lo attrasse. Si allungò per
prenderlo, lo afferrò, lo strinse e lo tirò. Il bastone gli cadde e lui
perdendo l'equilibrio si ritrovò per terra, sulla terra umida. Tentò di alzarsi
più volte, ma non ci riuscì e restò lì, in attesa
degli eventi….
I bambini, mano nella mano, fanno il girotondo
intorno all'albero, cantando un'allegra canzoncina. Il papà guarda dalla
finestra dello studio il suo tesoro dai riccioli d'oro. Stanco per le lunghe
corse il bimbo si ferma, cerca ristoro e tende la mano per prendere il bel
frutto vermiglio, ma non ci riesce e cade, si rialza, allunga di nuovo la mano,
salta, lo sfiora, poi… si lascia andare esausto sulla terra che si apre e lo
inghiotte pian piano, ricoprendolo di zolle.
“Cosa ci fa
qui per terra? Siamo alle solite, lei non deve uscire da solo, venga
professore, le ho portato il pranzo.-
“ Oh! Giulio, Giulio caro”.
“ Sì, sono io professor Carducci, andiamo”.