Del
Gattinara e d’altri demoni
di
massimolegnani
Mi
piace la sua forma stramba, sembra sghemba come lo stare incerto
dell’ubriaco, ma mi piace soprattutto il rosso che contiene. Il
Nebbiolo è un vitigno generoso, ha disseminato vini come figli
in ogni terra di Piemonte, piccoli fiumi, fumi d’ebbrezza. E
tra tutti il Gattinara è il mio preferito, dopo i nobili di
Langa, s'intende. È una conoscenza piuttosto recente ma che
parte da lontano, da un racconto antico di Mario Soldati. Lui, la
sciarpa al collo, un basco in testa, il sigaro tra i denti,
interrogava ai primordi televisivi contadini e pescatori nel suo
viaggio lungo il Po,
biascicando parole intellettuali dal sentore vinoso che gli
intervistati raramente comprendevano, se non per quel sentore.
Soldati era un sognatore di cultura e una buona penna, capace di
tradurre in un racconto lo sgomento di non ritrovare, perso com'era
tra le nebbie del paesone e della sua stessa testa, l'osteria dove
aveva bevuto tempo addietro uno Spanna mitico, come allora si
chiamava il nostro vino. Così un pomeriggio d’inverno
sono andato a Gattinara, ma ho fatto la fine di Soldati: davvero è
un paese che ti confonde, buio, nebbia e poche strade, quasi
rettilinee, che però non ti portano dove vorresti come se il
paese fosse un po’ più in là, disassato rispetto
alle vie principali. E peggio, le rivendite di vino risultano
nascoste, mimetizzate in un’apparenza anonima, la cantina
sociale una villetta come tante che ci puoi passare davanti dieci
volte senza il minimo sospetto e quello che poi si è rivelato
il miglior Gattinara è un portone qualsiasi che lo puoi
scoprire solo dall’etichetta sotto il campanello.
Il
primo viaggio è quindi andato a vuoto, ma ci son tornato col
bel tempo e questa volta la mia cocciutaggine è stata
premiata. L’unico problema è stata la strada del
ritorno, che tra degustazioni, acquisti e assaggi degli acquisti ben
prima dell’arrivo a casa, il Gattinara mi era ormai entrato nel
sangue come un diavolo tentatore. E da allora non ne è più
uscito.
A
proposito di diavolo, e gli altri demoni?,
mi chiederà forse qualcuno. Gli altri demoni sono i suoi
fratelli, perchè muovendoti dal paese, in un fazzoletto di
pochi chilometri in qualunque direzione, t’imbatti in altri
luoghi e in altri vini, tutti figli del Nebbiolo, e come parenti
stretti s’assomigliano tra loro pur mantenendo ciascuno un
elemento distintivo, così il Lessona coltivato già da
Quintino Sella, il Bramaterra dal nome evocativo, il Boca che io
chiamo fantasma
tanto fu difficile trovarlo, il Fara, il Ghemme. Io non sono un
intenditore, non so dire il profumo di violetta né il sentore
d’erba appena falciata, tantomeno il retrogusto di terra umida,
per me un vino è buono quando m’impasta la bocca. E
questi, tutti, mi ricamano ragnatele delicate tra palato e lingua,
ognuno una trama sua particolare.
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