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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Del Gattinara e d'altri demoni, di massimolegnani 12/05/2017
 

Del Gattinara e d’altri demoni

di massimolegnani





Mi piace la sua forma stramba, sembra sghemba come lo stare incerto dell’ubriaco, ma mi piace soprattutto il rosso che contiene. Il Nebbiolo è un vitigno generoso, ha disseminato vini come figli in ogni terra di Piemonte, piccoli fiumi, fumi d’ebbrezza. E tra tutti il Gattinara è il mio preferito, dopo i nobili di Langa, s'intende. È una conoscenza piuttosto recente ma che parte da lontano, da un racconto antico di Mario Soldati. Lui, la sciarpa al collo, un basco in testa, il sigaro tra i denti, interrogava ai primordi televisivi contadini e pescatori nel suo viaggio lungo il Po, biascicando parole intellettuali dal sentore vinoso che gli intervistati raramente comprendevano, se non per quel sentore. Soldati era un sognatore di cultura e una buona penna, capace di tradurre in un racconto lo sgomento di non ritrovare, perso com'era tra le nebbie del paesone e della sua stessa testa, l'osteria dove aveva bevuto tempo addietro uno Spanna mitico, come allora si chiamava il nostro vino. Così un pomeriggio d’inverno sono andato a Gattinara, ma ho fatto la fine di Soldati: davvero è un paese che ti confonde, buio, nebbia e poche strade, quasi rettilinee, che però non ti portano dove vorresti come se il paese fosse un po’ più in là, disassato rispetto alle vie principali. E peggio, le rivendite di vino risultano nascoste, mimetizzate in un’apparenza anonima, la cantina sociale una villetta come tante che ci puoi passare davanti dieci volte senza il minimo sospetto e quello che poi si è rivelato il miglior Gattinara è un portone qualsiasi che lo puoi scoprire solo dall’etichetta sotto il campanello.

Il primo viaggio è quindi andato a vuoto, ma ci son tornato col bel tempo e questa volta la mia cocciutaggine è stata premiata. L’unico problema è stata la strada del ritorno, che tra degustazioni, acquisti e assaggi degli acquisti ben prima dell’arrivo a casa, il Gattinara mi era ormai entrato nel sangue come un diavolo tentatore. E da allora non ne è più uscito.

A proposito di diavolo, e gli altri demoni?, mi chiederà forse qualcuno. Gli altri demoni sono i suoi fratelli, perchè muovendoti dal paese, in un fazzoletto di pochi chilometri in qualunque direzione, t’imbatti in altri luoghi e in altri vini, tutti figli del Nebbiolo, e come parenti stretti s’assomigliano tra loro pur mantenendo ciascuno un elemento distintivo, così il Lessona coltivato già da Quintino Sella, il Bramaterra dal nome evocativo, il Boca che io chiamo fantasma tanto fu difficile trovarlo, il Fara, il Ghemme. Io non sono un intenditore, non so dire il profumo di violetta né il sentore d’erba appena falciata, tantomeno il retrogusto di terra umida, per me un vino è buono quando m’impasta la bocca. E questi, tutti, mi ricamano ragnatele delicate tra palato e lingua, ognuno una trama sua particolare.

 
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