Un
paese immaginario
di
Marina Pasqualini
C’era,
in un luogo della sua immaginazione, un paese dove regnava la calma.
Le persone che si incontravano, si sorridevano prima di salutarsi. E
se leggevano tristezza negli occhi dell’altro, si fermavano a
parlare un po' per rincuorarlo, a ricordare lui che a volte le
avversità della vita appaiono per farci cambiare una direzione
altrimenti errata e farci intraprendere una strada più consona
ai nostri bisogni.
In
questo immaginario paese, ciascuno riceveva in base ai propri
bisogni, a patto che mettesse a frutto della collettività i
propri talenti. Niente cibo e niente alloggio per gli indolenti o i
nullafacenti. Nulla di nulla agli egoisti o ai ladri. Dare per avere,
era il motto.
In
questo idilliaco paese la giustizia imperava. Era impossibile trovare
un bimbo denutrito ed un vecchio con le tasche stracolme di denaro.
Nelle scuole, poi, i ragazzi imparavano un mestiere, in base alle
loro inclinazioni e non alle aspettative di nessuno, se non le
proprie. Così diventavano adulti sereni ad appagati, come solo
l’esercizio di un lavoro che appassiona può permettere.
I
lavori più faticosi, come il minatore ad esempio, venivano
retribuiti maggiormente. Per compensare almeno in parte il fatto che
queste persone venivano private del legittimo diritto di vivere alla
luce del sole. Mentre chi si guadagnava da vivere praticando uno
sport, in cui eccelleva, veniva pagato meno, per il semplice fatto
che la sua professione permetteva lui di divertirsi. Come i
calciatori o altri.
Non
esisteva la categoria dei politici super pagati e super pensionati,
ma chi voleva intraprendere l’attività di governante
doveva avere caratteristiche importanti: forte senso della giustizia
e amore per il bene della collettività. Questa cosa
gratificava loro così tanto, che i loro stipendi erano a
livello dei comuni operai. Anche loro, in fondo, erano operatori.
Era
convinta che questo paese potesse piacere ai più: ai genitori
che vedevano aggirarsi figli disoccupati e depressi per casa, ai
padri di famiglia che si dissanguavano per pagare mutui per tutta la
lunghezza della loro vita, ad anziani costretti a pagare cifre
esorbitanti nei ricoveri per essere assistiti eccetera eccetera.
Era
anche consapevole che il denaro che le nazioni spendevano per
costruire armamenti, che ormai avrebbero potuto distruggere sette
volte la terra, sarebbe potuto servire per ristrutturare e far
guarire questa terra ormai vecchia e malata, per la trascuratezza
perpetrata da chi il bene comune lo aveva gettato nella spazzatura.
Era
una sognatrice? Forse. Ma il suo sogno, pur utopistico agli occhi dei
più, avrebbe potuto avverarsi…
O
no?
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