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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Un paese immaginario, di Marina Pasqualini 09/06/2017
 

Un paese immaginario

di Marina Pasqualini



C’era, in un luogo della sua immaginazione, un paese dove regnava la calma. Le persone che si incontravano, si sorridevano prima di salutarsi. E se leggevano tristezza negli occhi dell’altro, si fermavano a parlare un po' per rincuorarlo, a ricordare lui che a volte le avversità della vita appaiono per farci cambiare una direzione altrimenti errata e farci intraprendere una strada più consona ai nostri bisogni.

In questo immaginario paese, ciascuno riceveva in base ai propri bisogni, a patto che mettesse a frutto della collettività i propri talenti. Niente cibo e niente alloggio per gli indolenti o i nullafacenti. Nulla di nulla agli egoisti o ai ladri. Dare per avere, era il motto.

In questo idilliaco paese la giustizia imperava. Era impossibile trovare un bimbo denutrito ed un vecchio con le tasche stracolme di denaro. Nelle scuole, poi, i ragazzi imparavano un mestiere, in base alle loro inclinazioni e non alle aspettative di nessuno, se non le proprie. Così diventavano adulti sereni ad appagati, come solo l’esercizio di un lavoro che appassiona può permettere.

I lavori più faticosi, come il minatore ad esempio, venivano retribuiti maggiormente. Per compensare almeno in parte il fatto che queste persone venivano private del legittimo diritto di vivere alla luce del sole. Mentre chi si guadagnava da vivere praticando uno sport, in cui eccelleva, veniva pagato meno, per il semplice fatto che la sua professione permetteva lui di divertirsi. Come i calciatori o altri.

Non esisteva la categoria dei politici super pagati e super pensionati, ma chi voleva intraprendere l’attività di governante doveva avere caratteristiche importanti: forte senso della giustizia e amore per il bene della collettività. Questa cosa gratificava loro così tanto, che i loro stipendi erano a livello dei comuni operai. Anche loro, in fondo, erano operatori.

Era convinta che questo paese potesse piacere ai più: ai genitori che vedevano aggirarsi figli disoccupati e depressi per casa, ai padri di famiglia che si dissanguavano per pagare mutui per tutta la lunghezza della loro vita, ad anziani costretti a pagare cifre esorbitanti nei ricoveri per essere assistiti eccetera eccetera.

Era anche consapevole che il denaro che le nazioni spendevano per costruire armamenti, che ormai avrebbero potuto distruggere sette volte la terra, sarebbe potuto servire per ristrutturare e far guarire questa terra ormai vecchia e malata, per la trascuratezza perpetrata da chi il bene comune lo aveva gettato nella spazzatura.

Era una sognatrice? Forse. Ma il suo sogno, pur utopistico agli occhi dei più, avrebbe potuto avverarsi…

O no?

 
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