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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  La scrittrice di romanzi gialli, di Marina Pasqualini 23/06/2017
 

La scrittrice di romanzi gialli

di Marina Pasqualini





Uscì per una passeggiata. Il tramonto era il momento della giornata che preferiva, allorché gli affanni si acquietavano e la luce del sole cedeva il posto al calore dell’imbrunire. Sorrise tra sé e respirò a fondo il profumo del mare, che tanto amava. Era il suo primo giorno di vacanza, che avrebbe trascorso nella piccola casa sulla spiaggia di proprietà della sua migliore amica.

Aveva accettato di fare questa esperienza in solitaria, sia per mettersi alla prova che per cercare di scrivere, lontano dal frastuono cittadino.

Si incamminò verso il centro del piccolo paese di pescatori, in cerca di giornali, sigarette e qualche genere alimentare, visto che era da poco arrivata, a bordo della sua auto, e aveva già ripulito ogni stanza e disfatto la valigia.

Era eccitata ed anche un po' spaventata. Non sapeva quale potesse essere la sua reazione alla solitudine che si era voluta imporre, per la prima volta nella sua vita. Vide un bar con tavolini e decise di concedersi un aperitivo. Pochi gli avventori, ma la cosa contribuì a confermare la bontà della sua decisione: aveva bisogno di pace, dopo il periodo di forte stress che aveva appena attraversato.

Si recò alla cassa per pagare, e il suo sguardo cadde casualmente su un ragazzo che sedeva, solo, a uno dei tavolini con vista mare. Notò che egli la guardava con un certo interesse, anche perché lei non era certo un tipo di ragazza che potesse passare inosservata, nonostante i suoi sforzi per rendersi quasi invisibile.

La sua figura slanciata, i suoi capelli di seta e la profondità dei suoi occhi attiravano l’altro sesso come un nettare per le api. E siccome questa cosa la infastidiva, si era imposta un abbigliamento il più neutro possibile, nonché un comportamento sobrio e distaccato, quasi altezzoso, suo malgrado.

Passò al supermercato, fece i suoi acquisti e si accinse a tornare alla casetta che costituiva il suo nuovo rifugio.

In cucina trovò ogni cosa per prepararsi una bella cenetta e, mentre canticchiava, si ripropose di recarsi di buon’ora alla spiaggia, il mattino successivo, alla ricerca di pescatori al rientro dalla pesca, per acquistare il pesce più fresco che si possa immaginare. Sì, aveva fatto bene ad accettare questa offerta e ringraziò mentalmente la sua amica.

Dopo cena, rassettò, si infilò un comodo pigiama ed accese il computer. Era una scrittrice di romanzi gialli e godeva di un più che discreto successo. Si concentrò a tal punto, che non si accorse dell’ora tarda. Scrivere la catapultava in altri mondi, ove lei dava vita a personaggi e vicende che poteva manovrare come un burattinaio. Non come nella vita reale, ove spesso quello che accade è indipendente dalla nostra volontà.

Si versò un brandy ed accese l’ennesima sigaretta, mentre rileggeva con soddisfazione il frutto della sua fantasia. I libri erano le sue creazioni ed i personaggi diventavano le sue creature: dava loro un nome, delle sembianze a suo piacimento e caratteri variegati. Aveva letto che il grande Alessandro Manzoni, al mattino, non vedeva l’ora di incontrare i suoi personaggi. Forse i pescatori avrebbero dovuto aspettare: pregustava, infatti, un lungo sonno ristoratore.

Si coricò, ma il sonno tardava ad arrivare. Forse era la troppa stanchezza che le impediva di rilassarsi, o forse il fatto che quella casa era sì accogliente, ma anche estranea. Decise quindi di tenere una lampada accesa: non che avesse timore, tuttavia si accorse di non sentirsi così tranquilla, come aveva auspicato in pieno giorno.

E si mise in ascolto del silenzio, con tutti i suoi rumori…Qualche mobile iniziò a scricchiolare, un cane ad abbaiare. La sua sicurezza cominciò a vacillare e si accorse di sudare. Si alzò ed andò a prendere il cellulare che teneva in borsa e lo posizionò sul comodino, per sicurezza. Guardò le ore: le due e dieci. Nella sua mente prese vita un carosello nel quale si avvicendavano i personaggi dei suoi racconti: tutte quelle storie di omicidi le si presentarono implacabili: la burattinaia diventava spettatrice.

Si alzò ed accese tutte le luci della casa, rammaricandosi di aver preso quella decisione, che ora le sembrava assurda: come aveva potuto immaginare di sentirsi a proprio agio in una casa estranea, in riva al mare, in perfetta solitudine? No, il mattino dopo avrebbe rifatto la valigia e sarebbe ripartita. Il suo accogliente appartamento in città le sembrava ora un miraggio. O forse erano state tutte quelle maledette sigarette, unite all’alcol, a rendere i suoi nervi così scoperti? O magari la storia che aveva appena scritto, ove la protagonista era stata aggredita all’interno della propria abitazione?

Si ripropose di smettere di fumare e, magari, di dedicarsi alla stesura di romanzi rosa. Ma la notte incombeva e l’alba sembrava ancora un miraggio. E fu in quel preciso istante, in cui pregava per il sopraggiungere rapido del mattino, che quel cane intensificò i suoi latrati: che ci fosse qualcuno là fuori che provocava il suo senso di guardia?

Il solo pensiero ruppe gli argini della sua ormai precaria ragionevolezza e permise alla paura di inondare la sua mente e di paralizzare il suo corpo. Aveva voluto mettersi alla prova, grazie alla stupida presunzione di bastare a se stessa. E se ciò non fosse bastato, una persiana cominciò a sbattere, a causa del vento che si era alzato e del fatto che lei non aveva provveduto a chiudere bene le finestre, tutta presa dalla scrittura.

Scostò la tenda e lo vide: il viso di quel ragazzo che aveva visto al bar, la stava fissando oltre il vetro. Lanciò un urlo terrificante e si sentì svenire, ma non svenne. Corse invece ad afferrare il cellulare per comporre il numero delle emergenze, ma constatò con orrore di non aver provveduto a ricaricarne la batteria. Maledisse la sua scelleratezza.

Nel panico, non sapeva cosa fare. Ma una cosa la fece: con la forza della disperazione, spinse un mobile per impedire l’accesso dalla porta d’ingresso. Ma rimaneva quella finestra aperta, il cui vetro avrebbe potuto essere rotto con un semplice sasso, dall’esterno, senza che lei potesse farci niente per impedirlo. Si ricordò allora che nella porta del bagno vi era una chiave e corse quindi a rifugiarsi lì. Girò la chiave nella toppa, si assicurò che almeno quella persiana fosse chiusa, e si sedette sul bordo della vasca. Tremava come una foglia al vento dell’incertezza. Finchè udì il più spaventoso dei rumori: i vetri che andavano in frantumi, come aveva sospettato nella peggiore delle sue ipotesi.

Ora quel matto, quel potenziale maniaco o assassino si aggirava per quella che, fino a poco fa, era la sua camera da letto. Trattenne il respiro udendo i suoi passi, e cercò affannosamente qualcosa che potesse trasformarsi in un’arma di difesa. Trovò un paio di forbici, e le impugnò, mentre pregava Dio di salvarla. Se fosse uscita indenne da quell’incubo, avrebbe fatto qualsiasi cosa, sarebbe potuta persino diventare una suora. Si sa che di fronte al pericolo, si farebbe ogni cosa per scongiurarlo.

Lo sentì rovistare fra le sue cose, aprire e richiudere cassetti finché sentì i suoi passi strascicati dirigersi e fermarsi di fronte alla porta del bagno, dove lei si era barricata. Dapprima l’uomo cercò di aprire con la maniglia ma, vedendo che la porta era chiusa dall’interno, iniziò a bussare, sempre più forte. Non avendo risposta, iniziò ad inveire, con una voce stridula che rivelava la sua evidente condizione di ubriaco.

Come se ciò non bastasse, proseguì dando calci alla porta, nonché a spingerla, dopo aver preso la rincorsa. Si domandò cosa volesse da lei, e l’unica risposta che le sovvenne fu che volesse violentarla. O ucciderla, per poi fare scempio del suo corpo. Tutti i peggiori incubi dei suoi personaggi immaginari erano lì, oltre quella porta, e chiedevano udienza.

Poi lui si ricordò di quel sasso e tornò a recuperarlo. Iniziò a dare colpi a quella vecchia maniglia che ben presto dovette soccombere all’usura del tempo, e a tanta violenza. Dapprima la porta si aprì impercettibilmente per spalancarsi subito dopo, grazie al più potente calcio che egli riuscì ad infliggerle.

Gli occhi sbarrati dal terrore, la ragazza strinse quelle forbici che rappresentavano la sua unica salvezza e, mentre sentiva quell’alito puzzolente sul suo collo, e quelle mani avide sul suo corpo, chiuse gli occhi e iniziò a sferrare colpi al suo aggressore. Sentì il caldo umido del suo sangue tutto intorno a lei, aprì gli occhi esterefatti, e si svegliò in un lago di sudore.

Fece subito la valigia e ripartì.

 
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