La
scrittrice di romanzi gialli
di
Marina Pasqualini
Uscì
per una passeggiata. Il tramonto era il momento della giornata che
preferiva, allorché gli affanni si acquietavano e la luce del
sole cedeva il posto al calore dell’imbrunire. Sorrise tra sé
e respirò a fondo il profumo del mare, che tanto amava. Era il
suo primo giorno di vacanza, che avrebbe trascorso nella piccola casa
sulla spiaggia di proprietà della sua migliore amica.
Aveva
accettato di fare questa esperienza in solitaria, sia per mettersi
alla prova che per cercare di scrivere, lontano dal frastuono
cittadino.
Si
incamminò verso il centro del piccolo paese di pescatori, in
cerca di giornali, sigarette e qualche genere alimentare, visto che
era da poco arrivata, a bordo della sua auto, e aveva già
ripulito ogni stanza e disfatto la valigia.
Era
eccitata ed anche un po' spaventata. Non sapeva quale potesse essere
la sua reazione alla solitudine che si era voluta imporre, per la
prima volta nella sua vita. Vide un bar con tavolini e decise di
concedersi un aperitivo. Pochi gli avventori, ma la cosa contribuì
a confermare la bontà della sua decisione: aveva bisogno di
pace, dopo il periodo di forte stress che aveva appena attraversato.
Si
recò alla cassa per pagare, e il suo sguardo cadde casualmente
su un ragazzo che sedeva, solo, a uno dei tavolini con vista mare.
Notò che egli la guardava con un certo interesse, anche perché
lei non era certo un tipo di ragazza che potesse passare inosservata,
nonostante i suoi sforzi per rendersi quasi invisibile.
La
sua figura slanciata, i suoi capelli di seta e la profondità
dei suoi occhi attiravano l’altro sesso come un nettare per le
api. E siccome questa cosa la infastidiva, si era imposta un
abbigliamento il più neutro possibile, nonché un
comportamento sobrio e distaccato, quasi altezzoso, suo malgrado.
Passò
al supermercato, fece i suoi acquisti e si accinse a tornare alla
casetta che costituiva il suo nuovo rifugio.
In
cucina trovò ogni cosa per prepararsi una bella cenetta e,
mentre canticchiava, si ripropose di recarsi di buon’ora alla
spiaggia, il mattino successivo, alla ricerca di pescatori al rientro
dalla pesca, per acquistare il pesce più fresco che si possa
immaginare. Sì, aveva fatto bene ad accettare questa offerta e
ringraziò mentalmente la sua amica.
Dopo
cena, rassettò, si infilò un comodo pigiama ed accese
il computer. Era una scrittrice di romanzi gialli e godeva di un più
che discreto successo. Si concentrò a tal punto, che non si
accorse dell’ora tarda. Scrivere la catapultava in altri mondi,
ove lei dava vita a personaggi e vicende che poteva manovrare come un
burattinaio. Non come nella vita reale, ove spesso quello che accade
è indipendente dalla nostra volontà.
Si
versò un brandy ed accese l’ennesima sigaretta, mentre
rileggeva con soddisfazione il frutto della sua fantasia. I libri
erano le sue creazioni ed i personaggi diventavano le sue creature:
dava loro un nome, delle sembianze a suo piacimento e caratteri
variegati. Aveva letto che il grande Alessandro Manzoni, al mattino,
non vedeva l’ora di incontrare i suoi personaggi. Forse i
pescatori avrebbero dovuto aspettare: pregustava, infatti, un lungo
sonno ristoratore.
Si
coricò, ma il sonno tardava ad arrivare. Forse era la troppa
stanchezza che le impediva di rilassarsi, o forse il fatto che quella
casa era sì accogliente, ma anche estranea. Decise quindi di
tenere una lampada accesa: non che avesse timore, tuttavia si accorse
di non sentirsi così tranquilla, come aveva auspicato in pieno
giorno.
E
si mise in ascolto del silenzio, con tutti i suoi rumori…Qualche
mobile iniziò a scricchiolare, un cane ad abbaiare. La sua
sicurezza cominciò a vacillare e si accorse di sudare. Si alzò
ed andò a prendere il cellulare che teneva in borsa e lo
posizionò sul comodino, per sicurezza. Guardò le ore:
le due e dieci. Nella sua mente prese vita un carosello nel quale si
avvicendavano i personaggi dei suoi racconti: tutte quelle storie di
omicidi le si presentarono implacabili: la burattinaia diventava
spettatrice.
Si
alzò ed accese tutte le luci della casa, rammaricandosi di
aver preso quella decisione, che ora le sembrava assurda: come aveva
potuto immaginare di sentirsi a proprio agio in una casa estranea, in
riva al mare, in perfetta solitudine? No, il mattino dopo avrebbe
rifatto la valigia e sarebbe ripartita. Il suo accogliente
appartamento in città le sembrava ora un miraggio. O forse
erano state tutte quelle maledette sigarette, unite all’alcol,
a rendere i suoi nervi così scoperti? O magari la storia che
aveva appena scritto, ove la protagonista era stata aggredita
all’interno della propria abitazione?
Si
ripropose di smettere di fumare e, magari, di dedicarsi alla stesura
di romanzi rosa. Ma la notte incombeva e l’alba sembrava ancora
un miraggio. E fu in quel preciso istante, in cui pregava per il
sopraggiungere rapido del mattino, che quel cane intensificò i
suoi latrati: che ci fosse qualcuno là fuori che provocava il
suo senso di guardia?
Il
solo pensiero ruppe gli argini della sua ormai precaria
ragionevolezza e permise alla paura di inondare la sua mente e di
paralizzare il suo corpo. Aveva voluto mettersi alla prova, grazie
alla stupida presunzione di bastare a se stessa. E se ciò non
fosse bastato, una persiana cominciò a sbattere, a causa del
vento che si era alzato e del fatto che lei non aveva provveduto a
chiudere bene le finestre, tutta presa dalla scrittura.
Scostò
la tenda e lo vide: il viso di quel ragazzo che aveva visto al bar,
la stava fissando oltre il vetro. Lanciò un urlo terrificante
e si sentì svenire, ma non svenne. Corse invece ad afferrare
il cellulare per comporre il numero delle emergenze, ma constatò
con orrore di non aver provveduto a ricaricarne la batteria.
Maledisse la sua scelleratezza.
Nel
panico, non sapeva cosa fare. Ma una cosa la fece: con la forza della
disperazione, spinse un mobile per impedire l’accesso dalla
porta d’ingresso. Ma rimaneva quella finestra aperta, il cui
vetro avrebbe potuto essere rotto con un semplice sasso,
dall’esterno, senza che lei potesse farci niente per impedirlo.
Si ricordò allora che nella porta del bagno vi era una chiave
e corse quindi a rifugiarsi lì. Girò la chiave nella
toppa, si assicurò che almeno quella persiana fosse chiusa, e
si sedette sul bordo della vasca. Tremava come una foglia al vento
dell’incertezza. Finchè udì il più
spaventoso dei rumori: i vetri che andavano in frantumi, come aveva
sospettato nella peggiore delle sue ipotesi.
Ora
quel matto, quel potenziale maniaco o assassino si aggirava per
quella che, fino a poco fa, era la sua camera da letto. Trattenne il
respiro udendo i suoi passi, e cercò affannosamente qualcosa
che potesse trasformarsi in un’arma di difesa. Trovò un
paio di forbici, e le impugnò, mentre pregava Dio di salvarla.
Se fosse uscita indenne da quell’incubo, avrebbe fatto
qualsiasi cosa, sarebbe potuta persino diventare una suora. Si sa che
di fronte al pericolo, si farebbe ogni cosa per scongiurarlo.
Lo
sentì rovistare fra le sue cose, aprire e richiudere cassetti
finché sentì i suoi passi strascicati dirigersi e
fermarsi di fronte alla porta del bagno, dove lei si era barricata.
Dapprima l’uomo cercò di aprire con la maniglia ma,
vedendo che la porta era chiusa dall’interno, iniziò a
bussare, sempre più forte. Non avendo risposta, iniziò
ad inveire, con una voce stridula che rivelava la sua evidente
condizione di ubriaco.
Come
se ciò non bastasse, proseguì dando calci alla porta,
nonché a spingerla, dopo aver preso la rincorsa. Si domandò
cosa volesse da lei, e l’unica risposta che le sovvenne fu che
volesse violentarla. O ucciderla, per poi fare scempio del suo corpo.
Tutti i peggiori incubi dei suoi personaggi immaginari erano lì,
oltre quella porta, e chiedevano udienza.
Poi
lui si ricordò di quel sasso e tornò a recuperarlo.
Iniziò a dare colpi a quella vecchia maniglia che ben presto
dovette soccombere all’usura del tempo, e a tanta violenza.
Dapprima la porta si aprì impercettibilmente per spalancarsi
subito dopo, grazie al più potente calcio che egli riuscì
ad infliggerle.
Gli
occhi sbarrati dal terrore, la ragazza strinse quelle forbici che
rappresentavano la sua unica salvezza e, mentre sentiva quell’alito
puzzolente sul suo collo, e quelle mani avide sul suo corpo, chiuse
gli occhi e iniziò a sferrare colpi al suo aggressore. Sentì
il caldo umido del suo sangue tutto intorno a lei, aprì gli
occhi esterefatti, e si svegliò in un lago di sudore.
Fece
subito la valigia e ripartì.
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