Lui
che non aveva mai visto il mare
di
massimolegnani
Albert,
per quanto si sforzasse, non riusciva a immaginare il mare.
Conosceva
a malapena quell’angolo di Fiandra dov’era nato e il suo
sguardo non andava oltre il primo crinale di colline. Sapeva che
esistevano distese d’acqua enormi, ma a questa enormità
non era in grado di dare confini e consistenza. Spesso, appena i
lavori alla fattoria glielo permettevano, sgattaiolava fino allo
stagno delle anatre,
al di là della torbiera e lì, seduto su un bordo
erboso, fissava l’acqua, increspando con la fantasia la sua
superficie troppo ferma e cercando di moltiplicare all’infinito
l’estensione per capirne la grandezza. Ma s’inceppava
quasi subito nel calcolo, non arrivava che a figurarsi un laghetto
appena un po’ più grande e un po’ più
mosso. Allora stava lì inebetito, come a metà di un
guado impossibile tra la voglia di sapere e l’incapacità
d’immaginare. Poi la voce incarognita del padrone che gli
prometteva cinghiate e calci in culo lo riportava ai suoi doveri.
Una
sera, mentre rigovernava le bestie, Albert vide una figura sulla
paglia in un angolo buio della stalla. Gli si avvicinò
brandendo il forcone. L’uomo rise:
Ehi,
ragazzo, di che hai paura? Ti sembro pericoloso?
In
effetti Conrad aveva un aspetto mite, capelli arruffati, barba
bianca, abiti laceri e un puzzo non diverso da quello delle capre e
delle vacche che gli stavano intorno. E quando rideva, come ora,
mostrava una bocca mezzo sdentata, assai poco minacciosa. Aveva
ripreso a sbucciare una pera, senza badare all’avanzare del
ragazzo.
Che
ci fai qui?
Per
ora mangio una pera, poi ho intenzione di dormire al caldo delle
bestie.
Da
dove vieni?
Da
Namur. Ma sono stato ovunque mi hanno portato le gambe e il cuore.
Hai
visto anche il mare?
Certo,
ragazzo. Sono stato marinaio sui vascelli per le Indie.
Albert
abbassò il forcone:
Raccontami
com’è.
Conrad
si pulì le mani nei pantaloni, rise e prese una specie di
fisarmonica di legno con pochi tasti e il mantice in cartone. Si mise
a suonare una musica strana, dapprima lenta e poi vorticosa, infine
sommessa.
Eccoti
servito, ora lasciami dormire.
Ma
non mi hai detto niente!
Ti
ho portato al mare, scemo. Ma tu sei ancora bendato e sordo.
Dai,
dimmi qualcosa, fammi capire.
No,
voglio dormire. Avremo tempo quando tornerò da queste parti.
Albert
rimase lì appoggiato al forcone a guardare il vecchio che
dormiva. In testa gli rintronava la musica, come il brandello di una
stoffa sconosciuta.
Conrad
compariva senza preavviso, dopo un mese o un anno o per tre volte di
seguito nella stessa settimana. Si stendeva sulla paglia,
mangiucchiava qualcosa e come promesso raccontava il mare. Parole di
stupore accompagnate sempre dalla musica. Le onde e la bonaccia, le
coste scoscese, le spiagge con le palme, il nulla all’orizzonte,
lo smeriglio del sale sulla pelle, la sete in mezzo a tanta acqua, i
salti dei delfini, i voli sfiniti degli albatros, il sole la pioggia
il vento, così diversi quando sei per mare, i mille colori
dell’acqua, la noia lunga, il pericolo che arriva
all’improvviso,
e a volte dopo il pericolo, di noi restavano solo i relitti che lenti
arrivavano a riva.
Ogni parola accompagnata da un suono e da una smorfia che ora
sottolineavano la malizia del marinaio che si fa femmina per
necessità, ora il terrore degli uomini per le onde troppo
alte,
finiremo in pasto ai pesci, disse
alla fine con occhi spiritati,
e
non si capiva se si trattasse di una previsione generica o se l’uomo
fosse ancora immerso nel tumulto del racconto.
Albert
ascoltava sgranando gli occhi e poi non ci dormiva la notte a cercare
di mettere insieme quei tasselli, gli mancava un piano solido su cui
poggiarli. Allora la volta successiva, che poteva essere il giorno
seguente o mesi dopo, tempestava il vecchio di domande, le più
disparate e le più ingenue: ma
se avete sete non potete bere l’acqua del mare? Cosa vuol dire
che il marinaio si fa femmina? Quanto è lontana l’altra
sponda del mare?
L’uomo non sempre gli rispondeva, quasi non volesse sciupare
con troppi dettagli lo stupore confuso del ragazzo. Ma Albert aveva
bisogno di comprendere, correva a guardare la chioma degli alberi
piegarsi nelle giornate di vento e si chiedeva se allo stesso modo si
piegassero gli alberi che reggevano le vele, guardava l’erba
alta dei pascoli scompigliata dalle folate, sono
così le onde?
Guardava ma non veniva a capo di nulla. Confessò al vecchio di
andare spesso allo stagno in cerca di una risposta, senza che questo
lo aiutasse a capire.
Lo
stagno non ti serve. Guardati dentro e capirai. Aiutati col vento di
questa notte che fa tremare le travi della stalla. Chiudi gli occhi,
sei sulla tolda. Questo è lo stesso scricchiolio del legno del
veliero, lo stesso gemito delle assi pressate dall’acqua e la
banderuola sul tetto cigola allo stesso modo del sartiame. Ascolta i
rumori e immagina una notte di tempesta in mare. Tu sei il mozzo
al primo viaggio su questo bastimento che galleggia per miracolo.
Albert
chiuse gli occhi mentre l’amico aveva ripreso a suonare.
Incominciò a barcollare come gli mancasse il pavimento sotto i
piedi. Beccheggiava ubriaco al suono ossessivo della fisarmonica.
All’improvviso si afferrò alla bassa paratia che
separava i cavalli dagli altri animali e vomitò la cena. Stava
male ed era finalmente felice.
Ahahah,
questo è il tuo battesimo. Benvenuto a bordo, ragazzo.
Conrad
guardò divertito il ragazzo che si dimenava allegramente tra
la paglia come se nuotasse.
Quella
notte non
dormirono, troppe cose da raccontarsi. Perché ora anche il
ragazzo raccontava e soprattutto ora “vedeva” con
certezza ogni parola che l’uomo gli diceva, la distesa d’acqua
piatta come l’olio più insidiosa delle mareggiate,
perché
se non c’è vento non ti muovi, stai lì, fermo e
impotente, in mezzo al mare,
la magia delle maree, devi
aspettare che il mare si alzi tanto da sembrare un mostro prima di
entrare in porto sennò t’incagli sui fondali,
tutti i colori del mare, dal
nero della notte al verde della bottiglia, dal blu del cielo al
trasparente del vetro,
e per ogni colore cavava una nota differente e precisa dal suo
strumento, per il trasparente
scelse il silenzio, solo occhi sbarrati che scrutavano il fondo del
mare.
Il
vecchio sparì così come era apparso. Andato altrove o
forse morto poco lontano da lì, senza aver mai confessato al
giovane amico il suo segreto: nemmeno lui aveva mai visto il mare.
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