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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Lui che non aveva mai visto il mare, di massimolegnani 29/07/2017
 

Lui che non aveva mai visto il mare

di massimolegnani





Albert, per quanto si sforzasse, non riusciva a immaginare il mare.

Conosceva a malapena quell’angolo di Fiandra dov’era nato e il suo sguardo non andava oltre il primo crinale di colline. Sapeva che esistevano distese d’acqua enormi, ma a questa enormità non era in grado di dare confini e consistenza. Spesso, appena i lavori alla fattoria glielo permettevano, sgattaiolava fino allo stagno delle anatre, al di là della torbiera e lì, seduto su un bordo erboso, fissava l’acqua, increspando con la fantasia la sua superficie troppo ferma e cercando di moltiplicare all’infinito l’estensione per capirne la grandezza. Ma s’inceppava quasi subito nel calcolo, non arrivava che a figurarsi un laghetto appena un po’ più grande e un po’ più mosso. Allora stava lì inebetito, come a metà di un guado impossibile tra la voglia di sapere e l’incapacità d’immaginare. Poi la voce incarognita del padrone che gli prometteva cinghiate e calci in culo lo riportava ai suoi doveri. 

Una sera, mentre rigovernava le bestie, Albert vide una figura sulla paglia in un angolo buio della stalla. Gli si avvicinò brandendo il forcone. L’uomo rise: 

Ehi, ragazzo, di che hai paura? Ti sembro pericoloso? 

In effetti Conrad aveva un aspetto mite, capelli arruffati, barba bianca, abiti laceri e un puzzo non diverso da quello delle capre e delle vacche che gli stavano intorno. E quando rideva, come ora, mostrava una bocca mezzo sdentata, assai poco minacciosa. Aveva ripreso a sbucciare una pera, senza badare all’avanzare del ragazzo. 

Che ci fai qui? 

Per ora mangio una pera, poi ho intenzione di dormire al caldo delle bestie. 

Da dove vieni? 

Da Namur. Ma sono stato ovunque mi hanno portato le gambe e il cuore. 

Hai visto anche il mare? 

Certo, ragazzo. Sono stato marinaio sui vascelli per le Indie. 

Albert abbassò il forcone: 

Raccontami com’è. 

Conrad si pulì le mani nei pantaloni, rise e prese una specie di fisarmonica di legno con pochi tasti e il mantice in cartone. Si mise a suonare una musica strana, dapprima lenta e poi vorticosa, infine sommessa. 

Eccoti servito, ora lasciami dormire. 

Ma non mi hai detto niente! 

Ti ho portato al mare, scemo. Ma tu sei ancora bendato e sordo. 

Dai, dimmi qualcosa, fammi capire. 

No, voglio dormire. Avremo tempo quando tornerò da queste parti. 

Albert rimase lì appoggiato al forcone a guardare il vecchio che dormiva. In testa gli rintronava la musica, come il brandello di una stoffa sconosciuta. 



Conrad compariva senza preavviso, dopo un mese o un anno o per tre volte di seguito nella stessa settimana. Si stendeva sulla paglia, mangiucchiava qualcosa e come promesso raccontava il mare. Parole di stupore accompagnate sempre dalla musica. Le onde e la bonaccia, le coste scoscese, le spiagge con le palme, il nulla all’orizzonte, lo smeriglio del sale sulla pelle, la sete in mezzo a tanta acqua, i salti dei delfini, i voli sfiniti degli albatros, il sole la pioggia il vento, così diversi quando sei per mare, i mille colori dell’acqua, la noia lunga, il pericolo che arriva all’improvviso, e a volte dopo il pericolo, di noi restavano solo i relitti che lenti arrivavano a riva. Ogni parola accompagnata da un suono e da una smorfia che ora sottolineavano la malizia del marinaio che si fa femmina per necessità, ora il terrore degli uomini per le onde troppo alte, finiremo in pasto ai pesci, disse alla fine con occhi spiritati, e non si capiva se si trattasse di una previsione generica o se l’uomo fosse ancora immerso nel tumulto del racconto. Albert ascoltava sgranando gli occhi e poi non ci dormiva la notte a cercare di mettere insieme quei tasselli, gli mancava un piano solido su cui poggiarli. Allora la volta successiva, che poteva essere il giorno seguente o mesi dopo, tempestava il vecchio di domande, le più disparate e le più ingenue: ma se avete sete non potete bere l’acqua del mare? Cosa vuol dire che il marinaio si fa femmina? Quanto è lontana l’altra sponda del mare? L’uomo non sempre gli rispondeva, quasi non volesse sciupare con troppi dettagli lo stupore confuso del ragazzo. Ma Albert aveva bisogno di comprendere, correva a guardare la chioma degli alberi piegarsi nelle giornate di vento e si chiedeva se allo stesso modo si piegassero gli alberi che reggevano le vele, guardava l’erba alta dei pascoli scompigliata dalle folate, sono così le onde? Guardava ma non veniva a capo di nulla. Confessò al vecchio di andare spesso allo stagno in cerca di una risposta, senza che questo lo aiutasse a capire. 

Lo stagno non ti serve. Guardati dentro e capirai. Aiutati col vento di questa notte che fa tremare le travi della stalla. Chiudi gli occhi, sei sulla tolda. Questo è lo stesso scricchiolio del legno del veliero, lo stesso gemito delle assi pressate dall’acqua e la banderuola sul tetto cigola allo stesso modo del sartiame. Ascolta i rumori e immagina una notte di tempesta in mare. Tu sei il mozzo al primo viaggio su questo bastimento che galleggia per miracolo.

Albert chiuse gli occhi mentre l’amico aveva ripreso a suonare. Incominciò a barcollare come gli mancasse il pavimento sotto i piedi. Beccheggiava ubriaco al suono ossessivo della fisarmonica. All’improvviso si afferrò alla bassa paratia che separava i cavalli dagli altri animali e vomitò la cena. Stava male ed era finalmente felice. 

Ahahah, questo è il tuo battesimo. Benvenuto a bordo, ragazzo. 

Conrad guardò divertito il ragazzo che si dimenava allegramente tra la paglia come se nuotasse. 

Quella notte non dormirono, troppe cose da raccontarsi. Perché ora anche il ragazzo raccontava e soprattutto ora “vedeva” con certezza ogni parola che l’uomo gli diceva, la distesa d’acqua piatta come l’olio più insidiosa delle mareggiate, perché se non c’è vento non ti muovi, stai lì, fermo e impotente, in mezzo al mare, la magia delle maree, devi aspettare che il mare si alzi tanto da sembrare un mostro prima di entrare in porto sennò t’incagli sui fondali, tutti i colori del mare, dal nero della notte al verde della bottiglia, dal blu del cielo al trasparente del vetro, e per ogni colore cavava una nota differente e precisa dal suo strumento, per il trasparente scelse il silenzio, solo occhi sbarrati che scrutavano il fondo del mare.



Il vecchio sparì così come era apparso. Andato altrove o forse morto poco lontano da lì, senza aver mai confessato al giovane amico il suo segreto: nemmeno lui aveva mai visto il mare. 




 
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