C’era
una volta un re
di
Marina Pasqualini
C’era
una volta un re, che aveva vissuto la sua vita nell’agiatezza,
ma aveva anche conosciuto periodi di povertà, prima di
diventare re. Aveva conosciuto la prigione, ma non quella con le
sbarre di ferro, bensì di un tipo ancora più doloroso,
che era fatta con i limiti della sua mente. E poi la libertà,
che ora gli esplodeva nel petto. Questo re aveva conosciuto tutto e
il contrario di tutto, ed un bel giorno, affacciato alla finestra del
suo palazzo, si fece una domanda, che lo lasciò interdetto:
“Ma io cosa desidero davvero, e soprattutto, ho ancora
desideri?”. Allora scavò nella sua mente e nel suo
cuore, ma non ne trovò. Era come se un cerchio, alle sue
spalle, si fosse chiuso, e lui non sapesse che farsene del tempo che
si presentava al suo cospetto e che esigeva di essere vissuto al
meglio. Rimase ore a contemplare il cielo, gli alberi, i fili d’erba
e gli uccelli che volavano ignari dei suoi pensieri, dei suoi
interrogativi. Temette che, se non avesse trovato una risposta, la
sua vita futura avrebbe potuto snocciolarsi ed avvolgersi su se
stessa, senza un vero scopo, senza sale e senza entusiasmo. Non era
né triste né felice. Esisteva e basta, in quei lunghi
momenti in cui si chiedeva: “Se mi chiedessero di esprimere ora
un desiderio, anche il più improbabile, non saprei che dire”
E questa cosa gli sembrava davvero molto grave. Ma niente, il tempo
passava, quello strano giorno che aveva tutta l’aria di una
resa dei conti, di un inventario, e nessuna ipotesi gli si affacciava
alla mente. Poi, all’improvviso, si accorse che sì, un
desiderio ce l’aveva, ed era quello di desiderare. Si vestì
allora con abiti dimessi, liquidò le guardie, e si diresse fra
la sua gente. Era giorno di mercato, i colori, i suoni e i profumi
erano accesi, e parlavano di vita. E si mise ad osservare…C’erano
i venditori che a squarciagola chiamavano probabili clienti,
desiderando vendere loro le loro mercanzie. C’erano dei poveri
che desideravano ricevere elemosine. C’erano bambini che per il
solo fatto di esserlo, bambini, erano già felici. E il re si
ritrovò a sorridere, contagiato da tale e tanta semplicità.
Come invidiava i suoi sudditi, in quel momento, avrebbe quasi voluto
essere uno di loro, per essere pervaso dal fuoco del desiderio, che
in lui pareva ormai spento. A sera, il re dovette tornare nel suo
palazzo, i suoi doveri lo reclamavano. Ma quella notte non chiuse
occhio o, se lo fece per brevi momenti, sognò il mercato con
le sue luci e il suo vociare, e si vide là in mezzo, uno dei
tanti. Passarono i giorni ma il re non potè mai scordare le
sensazioni provate in mezzo alla sua gente semplice. Si immaginò
il resto della sua vita in mezzo agli agi, ai suoi cortigiani ben
vestiti, alle sue suppellettili d’oro. Si chiese se mai
qualcuno lo avesse amato e rispettato per il solo fatto di essere
lui, e non un re da temere e osannare. Ma questo non avrebbe mai
potuto saperlo, se lì fosse rimasto. Scrisse una lettera,
quella notte, ove annunciò di voler abdicare, raccolse pochi
abiti e pochi denari, e lasciò il palazzo reale. La sua vita
senza desideri gli stava ormai stretta, e sentiva che era priva di
senso. Lo aspettava un futuro incerto, ma nel preciso istante in cui
si incamminava verso la sua nuova vita, sentì come uno
sfarfallio d’ali in pectore: il fuoco nel camino del suo cuore
si stava riattizzando e la sua età sembrò non avere
età. Lo attendeva la leggerezza dell’imprevisto. E
divenne finalmente re, sovrano della sua vita.
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