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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  C'era una volta un re, di Marina Pasqualini 29/07/2017
 

C’era una volta un re

di Marina Pasqualini



C’era una volta un re, che aveva vissuto la sua vita nell’agiatezza, ma aveva anche conosciuto periodi di povertà, prima di diventare re. Aveva conosciuto la prigione, ma non quella con le sbarre di ferro, bensì di un tipo ancora più doloroso, che era fatta con i limiti della sua mente. E poi la libertà, che ora gli esplodeva nel petto. Questo re aveva conosciuto tutto e il contrario di tutto, ed un bel giorno, affacciato alla finestra del suo palazzo, si fece una domanda, che lo lasciò interdetto: “Ma io cosa desidero davvero, e soprattutto, ho ancora desideri?”. Allora scavò nella sua mente e nel suo cuore, ma non ne trovò. Era come se un cerchio, alle sue spalle, si fosse chiuso, e lui non sapesse che farsene del tempo che si presentava al suo cospetto e che esigeva di essere vissuto al meglio. Rimase ore a contemplare il cielo, gli alberi, i fili d’erba e gli uccelli che volavano ignari dei suoi pensieri, dei suoi interrogativi. Temette che, se non avesse trovato una risposta, la sua vita futura avrebbe potuto snocciolarsi ed avvolgersi su se stessa, senza un vero scopo, senza sale e senza entusiasmo. Non era né triste né felice. Esisteva e basta, in quei lunghi momenti in cui si chiedeva: “Se mi chiedessero di esprimere ora un desiderio, anche il più improbabile, non saprei che dire” E questa cosa gli sembrava davvero molto grave. Ma niente, il tempo passava, quello strano giorno che aveva tutta l’aria di una resa dei conti, di un inventario, e nessuna ipotesi gli si affacciava alla mente. Poi, all’improvviso, si accorse che sì, un desiderio ce l’aveva, ed era quello di desiderare. Si vestì allora con abiti dimessi, liquidò le guardie, e si diresse fra la sua gente. Era giorno di mercato, i colori, i suoni e i profumi erano accesi, e parlavano di vita. E si mise ad osservare…C’erano i venditori che a squarciagola chiamavano probabili clienti, desiderando vendere loro le loro mercanzie. C’erano dei poveri che desideravano ricevere elemosine. C’erano bambini che per il solo fatto di esserlo, bambini, erano già felici. E il re si ritrovò a sorridere, contagiato da tale e tanta semplicità. Come invidiava i suoi sudditi, in quel momento, avrebbe quasi voluto essere uno di loro, per essere pervaso dal fuoco del desiderio, che in lui pareva ormai spento. A sera, il re dovette tornare nel suo palazzo, i suoi doveri lo reclamavano. Ma quella notte non chiuse occhio o, se lo fece per brevi momenti, sognò il mercato con le sue luci e il suo vociare, e si vide là in mezzo, uno dei tanti. Passarono i giorni ma il re non potè mai scordare le sensazioni provate in mezzo alla sua gente semplice. Si immaginò il resto della sua vita in mezzo agli agi, ai suoi cortigiani ben vestiti, alle sue suppellettili d’oro. Si chiese se mai qualcuno lo avesse amato e rispettato per il solo fatto di essere lui, e non un re da temere e osannare. Ma questo non avrebbe mai potuto saperlo, se lì fosse rimasto. Scrisse una lettera, quella notte, ove annunciò di voler abdicare, raccolse pochi abiti e pochi denari, e lasciò il palazzo reale. La sua vita senza desideri gli stava ormai stretta, e sentiva che era priva di senso. Lo aspettava un futuro incerto, ma nel preciso istante in cui si incamminava verso la sua nuova vita, sentì come uno sfarfallio d’ali in pectore: il fuoco nel camino del suo cuore si stava riattizzando e la sua età sembrò non avere età. Lo attendeva la leggerezza dell’imprevisto. E divenne finalmente re, sovrano della sua vita.

 
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