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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  La musica del bosco, di Gordiano Lupi 02/03/2007
 
LA MUSICA DEL BOSCO

 

Accarezzo la tastiera del piano con mani morbide.

Lui mi risponde, vibrando dolcemente e la musica si diffonde per la stanza, inseguendo ricordi e rincorrendo le note del passato. Davanti ai miei occhi rivedo un bambino per mano a suo padre.

“Il bosco ha una musica intensa, che non tutti sono in grado di sentire”, sussurra il vecchio.

Parole che si affacciano alla memoria a ogni concerto, oppure quando mi siedo alla tastiera e compongo melodie nuove. Suono il piano da anni, ma da tempo faccio solo piano bar. Ho smesso di credere che la strada dell'arte possa essere la mia strada. Ho tentato di affermarmi come pianista classico, ma non ce l'ho fatta.

Il piano resta la mia grande passione, anche se produce solo musica leggera, emozioni da regalare a coppie di innamorati e brevi sensazioni per occhi distratti.

Compongo in silenzio, nel mio studio, canzoni d'amore e brani classici, anche se soltanto le prime riescono a darmi di che vivere. E tra una nota e l'altra la voce di mio padre, quando ancora era vivo e mi portava a passeggio nel bosco. E' stato proprio allora che ho appreso ad amare la musica. Perché la sentivo la musica del bosco.

L'avevo sempre sentita.

Da piccolo i solfeggi della povertà avevano accompagnato i miei passi. Cercavamo legna e funghi. Cacciavamo animali. E mio padre diceva: “La senti la musica della povera gente?”. E io giuravo di sentirla quella musica triste e dimessa. Passerotti e fringuelli facevano da sottofondo armonico alla nostra vita.

Il tempo passava e io crescevo, ma continuavo spesso a  vagare per il bosco vicino alla mia casa. Avevo diciassette anni e preparavo gli esami del conservatorio. Mio padre lavorava molto, come taglialegna. Io lo accompagnavo nel bosco. Non eravamo più così poveri, perché anche mia madre si era impiegata come cuoca in un ristorante del paese. Il bosco produceva la musica di sempre e io continuavo a sentirla. Erano le note della solitudine, che avevo scelto per compagna dei miei momenti d'ispirazione. Studiavo e passavo giornate lunghissime nel bosco. Conoscevo piante e animali a menadito, ma soprattutto ascoltavo i suoni. Intensi e mutevoli con il passare delle stagioni.

Nei giorni tristi della malattia di mio padre il bosco cominciò a intonare un canto funebre, come un nefasto presagio. E mio padre diceva: “La senti questa musica? Tra poco dovrò lasciarti”.

“Che dici, papà?”, rispondevo con gli occhi pieni di lacrime. Ma la sentivo anch'io e ne avevo paura.

Mio padre morì e io divenni uomo. Continuavo ad andare nel bosco per assaporare la musica della mia vita.

Spesso ho ascoltato la sinfonia del fallimento. Troppe volte la canzone del dolore. Di tanto in tanto ho udito note di amari ricordi. Adesso, da un po' di tempo, sento una musica nuova. Le mie dita corrono leste sul piano e passano da una nota all'altra, dando via libera a dolci sensazioni. Le mie serate di piano bar sono accompagnate dagli occhi di Lucia, che indugia sui movimenti delle mie dita e sulle mie parole, comodamente seduta in una poltroncina della prima fila. E' un'esperienza nuova della mia vita. Giorni fa siamo andati insieme al limitare del bosco e giuro di averla sentita ancora quella musica intensa. Ma erano suoni nuovi, inconsueti, che le mie mani a lungo si sforzano di riprodurre.

Volano sulla tastiera percuotendola ripetutamente.

Note che prendono il loro posto senza chiedere il permesso. Parole che si sovrappongono ad altre parole.

E sono le sole che riesco ad afferrare.

Il mio piano accompagna la musica del bosco.

La musica che ho sentito in compagnia di Lucia.

E' vero papà. E' vero. Io la sento da sempre la musica della mia vita. Come la sentivi tu.

E da un po' di tempo riesco a comporre soltanto canzoni d'amore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
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