La
Settimana Santa
di
Vincenzo D’Alessio
Nel
villaggio felice arriva la Settimana Santa, in vista della Santa
Pasqua.
In
questi mesi c’è l’usanza di macellare i maiali;
c’è anche il maiale del buon curato alloggiato dietro il
complesso canonico, accanto all’abside, di modo che non
giungesse il cattivo odore del letame in chiesa.
Ogni
anno provvedeva alla macellazione il comprovato “maestro dei
suini” che tra l’altro procedeva anche a castrarli in
modo da farli giungere più spediti all’ingrasso e
disporre l’animale ad essere meno aggressivo.
L’operazione
si doveva eseguire, non si poteva attendere.
Così
le brave massaie di casa, sorella e nipote del curato, misero a
bollire molta acqua calda, pulirono l’aia, disposero il mezzo
tino rovesciato in posizione, presero le funi per legare i piedi
dell’animale.
Una
delle donne che era solita dare da mangiare al maiale si pose
all’ingresso del porcile invitandolo ad uscire. Ignaro del
pericolo che correva il maiale seguì la donna e gli uomini
appostati lo raggiunsero velocemente e iniziarono a legarlo per le
zampe.
Non
fu impresa facile: l’animale pesava più di un quintale e
per quanto avesse acconsentito a seguire la donna non era propenso a
subire le violenze dei quattro energumeni.
Con
molta fatica e gli alti grugniti il coltello raggiunse il collo
dell’animale e iniziò l’operazione nel vapore che
saliva dalle caldaie colme d’acqua poste sul focolare.
Pochi
minuto dopo il risultato era raggiunto. Si procedette alla
sezionatura del maiale e si raccolsero pezzi di carne intorno al
collo per cucinarli nella grande padella di rame con peperoni
sott’aceto per preparare la cena.
Le
brave massaie apparecchiarono il lungo tavolo della cucina con una
tovaglia, il buon pane fatto in casa, il vino preso in cantina e
delle noci conservate in un sacco.
Il
maestro che aveva eseguito l’operazione lavate le mani e gli
affilati coltelli, mentre le due parti del maiale e la testa erano
state portate in cantina dai suoi aiutanti, si soffermò un
attimo a pensare: siamo nel corso della Settimana Santa, mica
possiamo contravvenire alla regola del non consumare carne? E poi,
siamo nella canonica del buon curato, meglio tornare a casa.
Il
buon curato che aveva celebrato la Messa Vespertina, tolse i
paramenti sacri in sagrestia chiuse le porte della piccola chiesa e
si avviò verso la parte interna della canonica dove lo
attendevano i famigliari.
La
sorella era rimasta vedova dieci anni prima, la nipote aveva sposato
un bravo operaio che lavorava in una fabbrica al Nord e tornava solo
tre mesi all’anno, i due nipotini crescevano in famiglia ed
erano piccoli d’età.
I
quattro addetti alla macellazione avevano raccolte le loro cose e con
le borse a tracolla si erano avviati verso l’uscita del
giardino della canonica.
La
sorella del buon curato li raggiunse e sottovoce disse: “ Dove
andate? Venite in cucina il curato vi deve parlare ”.
Il
maestro rivolto alla donna esclamò: “ Non vi
preoccupate, non vogliamo alcun compenso, ci basta la benedizione del
nostro curato ”.
La
donna insistette: “ Venite, per favore, altrimenti il curato
sicuramente la prenderà a male ”.
I
quattro si diressero in cucina dove il curato li aspettava seduto al
tavolo dove avevano trovato posto anche i bambini.
“Consumate
con noi la cena ”, soggiunse sorridendo, nel profumo del
cucinato che si spandeva nell’aria, “ Sedetevi che
benediciamo insieme quanto il Signore ci ha voluto donare ”.
Gli
operai presero posto dove le donne indicavano in attesa di consumare
il pasto preparato per la circostanza.
Il
maestro non riuscendo a trattenere il pensiero che rimbombava nella
sua mente prima di immergere la forchetta nel piatto fumante rivolto
al buon curato sottovoce soggiunse: “ Monsignore, siamo nella
Settimana Santa, non è che commettiamo peccato verso il
Signore Gesù? ”
Le
donne ristettero ferme con i piatti tra le mani sorprese da quella
domanda.
Il
curato saggiamente rivolse lo sguardo al maestro e replicò: “
Ricordatevi che i peccati non entrano dalla bocca ma escono
dall’anima quando è rivolta al peccato. Poi le cose da
mangiare non sono peccati da confessare, fanno parte delle esigenze
della vita.”
Rincuorati
dalle parole del buon curato iniziarono a consumare la cena
benedicendo l’accoglienza riservata loro e l’assoluzione
da ogni eventuale peccato.
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