COMPAGNI
DI SCUOLA
Esco dalla cucina portando la moka e le tazzine ben disposte su di un
vassoio a fiori. Sono così affezionato alla mia moka che non la cambierei per
niente al mondo con una di quelle assurde macchinette elettriche.
Il caffè si fa con la moka, da sempre. E poi servo Cubita, ricordo di frequenti
viaggi a L'Avana, un caffè che ti fa sentire vivo, ti
risveglia e ti scalda dentro. Porto anche l'immancabile bottiglia di rum,
naturalmente Havana Club sette anni. Non ne conosco
di migliori.
C'è Franco da me ed è comodamente
seduto sul divano della sala, sotto braccio stringe una cartellina consumata
ricolma di fogli.
E' rimasto solo lui di quel gruppo di amici che voleva cambiare il
mondo, quei ragazzi che correvano in fretta fuori dalla
scuola per andare al mare e che si ritrovavano alla sala giochi del Corso al
pomeriggio o per lo struscio serale.
Accade che adesso ci vediamo sempre più spesso e con la scusa del giornale ci
fermiamo volentieri a rammentare il passato. Quasi fossimo dei vecchi, come se
fosse passato un secolo…
“Ti va bene se parlo dei cannibali
nel prossimo numero?” mi domanda.
“Credo di sì – dico – non li sopporto ma è un
argomento di attualità. E poi ai giovani piacciono.”
Franco si occupa di critica letteraria nel nostro giornale. Non
sceglie mai l'argomento se prima non ha il mio benestare. L'indecisione è una
caratteristica che lo accompagna in quasi tutte le cose della vita.
Sorseggia il caffè lentamente.
“Buono” mi fa.
Sorride, è un'espressione del volto che non l'abbandona mai.
Il giornale non è il nostro lavoro, nel senso che non ci dà da vivere.
E' solo una passione che portiamo avanti con impegno, niente di più.
Io lavoro in banca anche se avrei voluto fare
tutt'altro in vita mia, odio con tutto il cuore
numeri e problemi economici, ma a volte le cose accadono senza che noi ce ne
accorgiamo e un bel giorno ti trovi dentro un ingranaggio e non sai perché, ma
ormai è tardi. E poi la banca mi permette di vivere. Però accade che dai tempi
del liceo mi porti dentro la passione di scrivere e ancora adesso, nel tempo
che rubo al lavoro, invento storie e racconti che pubblico su qualche rivista.
Ho dato alle stampe anche qualche libro che in pochi hanno letto. Forse Franco,
forse qualche vecchio compagno. Però c'è sempre la speranza che qualcosa cambi.
Un editore, un colpo di fortuna.
Lo so che sono sogni, ma si vive anche di questo.
Ho coinvolto anche Franco nell'impresa del giornale. E Franco, che mi
è stato sempre vicino sin dai tempi della scuola, ci si è buttato con
entusiasmo.
Adesso il rito del caffè è anche un modo per ordinare le idee e
impostare il lavoro in redazione. Non so come farei senza di lui, preciso e
pignolo nel correggere bozze e valutare articoli.
Termino anch'io il mio caffè. Franco ha già posato la tazzina sul
tavolo.
“Chi l'avrebbe detto…” mi fa.
“Cosa?” rispondo incuriosito.
“…che tutto sarebbe cambiato così…che succedesse tutto questo…”
Indica mia moglie Celia.
E' stato anche lui con me a L'Avana qualche
volta e mi ha fatto da testimone al matrimonio. Penso che è vero. Tante cose
sono cambiate.
Celia sorride e viene a sedersi sulle mie gambe. Ha vent'anni e una
dolcezza infinita. Ha sempre un sorriso per ogni parola.
Felice di niente. Tranquilla. Viene da un mondo dove tutto è mancanza.
“Tu almeno riesci a buttarti, a decidere. Non pensi a quel che dice la
gente. Hai divorziato, sei scappato a L'Avana, ti sei
sposato di nuovo. E lei ha vent'anni di meno. E se tu avessi sbagliato ancora?”
“C'era il rischio. Ma dovevo provare, non credi?”
Dovevo provare sì. O sarei rimasto in eterno nel dubbio d'aver perso
un'occasione importante. Franco pare leggermi nel pensiero.
“Io invece ho perduto troppe occasioni e non so più decidere” dice.
Ci guardiamo negli occhi e sorseggiamo il caffè.
Celia è accanto a noi e ascolta con interesse. Ha appreso bene l'italiano ma spesso quello che non afferra è il senso dei
nostri ricordi. E' normale. Tutto il nostro passato non le appartiene e ci sono
cose che non si possono imparare da un libro se non si
sono vissute. Come sono strani questi italiani, penserà, quanti problemi si
fanno per nulla, se solo avessero la metà dei nostri
guai…
Ha perfettamente ragione. Da quando sono stato al suo paese non riesco
più a capire le angosce che abbiamo, lo stress, la fretta di raggiungere
qualcosa che non arriverà mai. L'ingranaggio che stritola la nostra vita giorno
dopo giorno, a ritmi di cellulare, fax, posta elettronica, auto rombanti che
corrono su strade impazzite.
“Le occasioni si presentano di nuovo. E anche l'amore. Basta essere
disposti ad accettarlo. E' ancora la cosa più importante, credimi” rispondo.
Franco scuote la testa. Si vede che non è convinto.
“Fai tutto facile” mi dice.
Io non aggiungo niente. Verso un poco di rum nei bicchieri e lo mandiamo
giù con un cubetto di ghiaccio. E' settembre, ma fa ancora caldo e lo scirocco
pesante di questa terra di mare talvolta sa colpire duro. Ricordo il caldo
secco a L'Avana. Penso che un giorno o l'altro me ne
scapperò laggiù, magari quando sarò in pensione, con
la mia Celia.
E' un pensiero che mi aiuta a superare un quotidiano fatto di
abitudini.
“Quante volte abbiamo parlato di Cuba ai tempi della scuola. Quante
assemblee per la guerra fredda, i missili americani, la Baia dei Porci…” dico.
“Era un simbolo di lotta. Che Guevara era
morto da poco. C'era aria di cambiamento in tutto il mondo. E adesso?” aggiunge
Franco.
“Adesso è tutto più difficile e sono diventate troppe le cose che non
comprendo” concludo.
“I ricordi però non ce li possono cambiare” dice lui.
E' vero penso. E' vero che i ricordi ci restano dentro e continuano a
farsi sentire e che ancora siamo capaci di emozionarci ascoltando certe
canzoni. Guccini, Venditti,
De Andrè, le nostalgie della scuola. E il pensiero vola verso quei giorni di
fedi convinte e passioni violente. Giorni in cui potevamo andare orgogliosi di
usare tra noi la parola compagno. Ricordo il disprezzo con cui davamo del
fascista al compagno di scuola figlio di papà, quello che aveva sempre tutto
facile e vestiva con i jeans firmati e guidava la moto
di moda e le ragazzine gli cadevano ai piedi. Eravamo anche un
poco invidiosi, lo ammetto, ma quella parola diceva ancora molto e
sapeva colpire come un maglio sul ferro bollente. So che abbiamo entrambi gli
stessi pensieri. Non c'è bisogno di dirlo, basta guardarsi negli occhi.
“Tutto cambia in fretta. Le piccole cose e le grandi” aggiunge Franco.
“Cosa vuoi dire?” domando.
“Che anche la mia vita sta cambiando” risponde.
Io poso il bicchiere di rum sul tavolo, anche Celia si avvicina per
comprendere meglio. Sembra il momento di una notizia importante, di quelle da
ascoltare con attenzione.
“Tra qualche giorno parto. Mi hanno assunto in quell'ufficio
legale a Milano. Finalmente dopo tanti concorsi e domande ho trovato un lavoro”
dice.
Franco si è laureato in legge insieme a me,
abbiamo passato tanti anni nella stessa casa di Pisa, abbiamo fatto le
levatacce il lunedì mattina per prendere il treno delle sei e trenta, le stesse
interminabili code alla mensa dello studente e abbiamo avuto gli stessi timori
nel cortile della Sapienza prima di un esame. Adesso siamo ancora qui,
nonostante tutto, a raccontarci i giorni del nostro passato. E ora lui se ne
va, mi lascia solo con i ricordi che abbiamo sempre diviso a metà e tutto questo
fardello pare d'improvviso troppo pesante.
“Sono contento” dico. Ed è vero ma non fino in fondo.
Lui sorride e forse comprende.
“Mi mancheranno queste giornate. Mi mancheranno i ricordi, il
giornale, questa città di mare tranquilla e tutto il nostro passato…”
Lo interrompo.
“Quello non lo puoi perdere, Franco”.
“Non avrò più con chi parlarne e allora non esisterà più. I nostri
ricordi vivono solo perché ogni tanto li rituffiamo in questa tazzina di
caffè”.
Sono parole amare come i pensieri che si voltano indietro.
I miti perduti, le discussioni in classe con i professori, le
assemblee di istituto, la voglia di contestare un mondo e di rifarlo nuovo.
E' vero che a volte gli scioperi erano solo una scusa e che le
bandiere restavano a casa e noi scappavamo sul mare, specialmente ai primi
giorni di primavera. E' vero che non tutti credevamo di cambiare il mondo, però
volava libera nell'aria quella voglia di cambiarlo ed era l'aria che tutti
respiravamo. C'era Il Male con le sue
vignette al veleno, Lotta Continua
che leggevamo di nascosto, Il Manifesto
che metteva in discussione molte certezze. E tante falci e martello sulle
schede elettorali.
Tutti quei sogni di rivolta. Tutte quelle cose perdute.
Abbiamo entrambi gli stessi ricordi.
La stessa scuola sul mare, gli stessi scogli d'estate, le gite di
classe e l'ultimo abbraccio su d'una spiaggia renosa. Il compagno secchione e
la ragazzina più bella, che tutti guardavamo quando si
alzava per l'interrogazione. L'amico vittima di
scherzi feroci, tanto era timido e strano. L'esame finale così temuto e dopo
sognato come incubo ricorrente. Rimbaud e Pasolini letti sotto il banco durante l'ora di religione e
poi Pavese, Moravia e letture proibite al posto di Dante e Manzoni.
E la voglia di cambiare tutto domani, di fare qualcosa di grande. Abbiamo gli
stessi ricordi. E ci basta un sorriso. Un sorriso che mi mancherà e non so dire
quanto. Un sorriso per dirci che non ci siamo riusciti. Ma che c'è ancora
tempo, in fondo.