STELLE
La giornata era stata veramente uno
schifo. Appena uscito di casa già trovare quattro gomme tranciate fa
“indispettire”. Essere costretto ad attendere un autobus che non passa mai, stracolmo
di chissacchì che ti tossisce e ti starnuta in faccia
è decisamente fastidioso. Dell'esame in quella cosa che spacciano per facoltà
universitaria con quei presunti professori non ne parliamo per buona
educazione. Tornare a casa e non riuscire a dialogare con i propri vecchi fa
star male. Rispondere al telefono per la quattordicesima volta in una settimana
a quella che cerca di sbolognarti l'alice adsl telecom dopo che le tredici precedenti le hai detto di no,
è una roba che mi contraria. Uscire col motorino e trovare uno che ti tampona perché in una mano aveva il telefonino, in un'altra
la sigaretta, in un'altra ancora la leva del cambio e con l'ultima teneva il
volante credo che sia piuttosto seccante. Avere a che fare con un gommista che
per un intervento a domicilio ti chiede uno stipendio è una cosa che mi
indispone. Un temporale che ti coglie, ovviamente senza ombrello, dalla parte
opposta della città dopo che il mio amico Giuliacci
aveva giurato sole, tutto sole, nient'altro che sole è abbastanza irritante.
Tornare verso la cuccia col mio cinquantino e
rimanere in riserva è cosa senz'altro scocciante. Accorgersi di avere nel
cellulare un credito residuo inferiore allo zero prima
di una telefonata che forse potrebbe salvarti è molto sgradevole. Ma arrivare
davanti al cancello di casa è realizzare solo allora che hai perso il marsupio
con le chiavi e il portafoglio mi fa veramente imbestialire. Eppure c'è chi
stava peggio senza segni apparenti.
“Chissà,
forse c'incastrava qualcosa il fatto che era venerdì diciassette? O magari sono
io che voglio per forza vedere coincidenze dappertutto?”
Mentre
arrovello i neuroni con questo imperscrutabile dubbio mi collego al server per
vedere se ci sono messaggi.
“Porc… ma quanto è lento questo modem…” pensavo tutte le
volte che mi collegavo.
“Per
scaricare un messaggio di trenta Kb ci mette un
quarto d'ora. Va a finire che a quella della telecom
la prossima volta che mi romp… ehm… che mi richiama
le dico di si che voglio entrare in pieno godimento
della vantaggiosissima offerta generosamente riservata ai fedeli abbonati che
non hanno ancora scelto infostrada o teledue. Però l'alice la prendo solo se mi danno anche la gnoccona che fanno vedere in televisione, altrimenti come
si fa a entrare in pieno godimento ecc. ecc.? Bisogna
che glielo chieda a quella centralinista. Speriamo che il pacchetto sia tutto
compreso…”
“Uffa!
Quattro messaggi su cinque di spam! E pure con gli
allegati! Prima la spazzatura arrivava in cassetta, ora che ci siamo evoluti
arriva sul computer. Bella cosa il progresso, la globalizzazione,
l'Europa unita, questo bisogno incontrollabile di comunicare con tutti e in
tutti i modi possibili anche le peggio fregnacce… naturalmente con la
convinzione assoluta che la tecnologia semplifica la vita… Ma
lo sanno questi programmatori che solo il manuale di word più quello di excel
più quello di access più quello di powerpoint più quello di frontpage messi
insieme sono il doppio di uno Zingarelli?”
Mentre
cincischio con queste elucubrazioni sui massimi sistemi dell'iperuranio leggo le due righe che mi ha mandato il mio amico Stecca. Lo chiamiamo così non perché gioca a
biliardo, ma perché sa rollare certi cannoni che una volta realizzati
costituiscono un'arma impropria. E la cosa strana è che lui nemmeno li usa.
Metteva questa sua abilità al servizio di chi glielo chiedeva. Egli però sapeva
dove fermarsi. Conosceva il limite oltre il quale non andare. Ce lo aveva sempre ripetuto: l'erba si, tutto il resto… E la nostra cerchia di amicizie si era sempre
mantenuta grazie a questa sua filosofia, forse mediocre, ma sicuramente più
funzionale di tante corbellerie di stampo radicaldiessinforzistarifondarolmissinleghiero.
Il suo
messaggio mi ha fatto star male: “A mezzanotte di oggi mi ammazzo, non devo spegazioni a nessuno, non so neanche perché te l'ho detto,
forse tu puoi comprendere. Andrea”.
Panico
totale. Per qualche minuto non ho capito nulla. Poi, meno ancora.
“Che
accidenti vuol dire che si ammazza? Lui? Dov'è il senso in questo fottuttissimo messaggio? Studente come me, neanche poi
tanto fuori corso; nessuna stupidaggine esagerata nel corso della sua vita. Un
appartamento, un padre operaio una madre in pensione, un mezzo di trasporto
cinquanta cc, qualcuno che lo aspetta a casa la
sera…”
“A
mezzanotte mancano quattro ore. Che faccio? Ne parlo con i miei? Non è il caso.
Con i suoi? Peggio ancora, sarebbe la paranoia. Con gli altri ragazzi? Troppo
tempo per contattarli uno a uno e per riunirli. E poi una volta insieme il
tempo per prendere una decisione sarebbe stato biblico. No, dovevo fare da
solo. Una volta ho letto che il modo migliore per capire l'altro è entrare
nella sua testa, assumere il suo punto di vista, pensare, parlare e agire come
lui. Già. Come fosse facile. Riflettere alla svelta e
trarre le conclusioni giuste al primo tentativo non mi è mai riuscito”.
“Cosa
farei io se volessi suicidarmi? Si, forse avviserei qualcuno. Perché? Non lo
so. Forse per essere distolto dal mio intento? Non è questo il punto. Ecco, ho
trovato. Sceglierei un bel posto. Si, un posto che mi piace. Che per me ha
significato qualcosa. Gia, ma quale? Un posto bello per lui può essere uno
schifo per me. E poi? Come mi ucciderei? Anche il metodo ha la sua importanza.
Una lama? Un cappio? Veleno? Lancio nel vuoto? O un colpo alla testa? Non lo
so, non lo so, Chissenefrega. Ora il casino è un
altro. Pensa. Pensa in fretta. Ti avrà detto qualcosa? In fondo è una vita che
lo conosci. O che credi di conoscerlo? I dubbi si accavallano e il tempo non mi
aspetta. Che cosa lo interessava? Cosa faceva quando
aveva qualche ora di tempo libero? Ma perché parlo al passato? Sono proprio stronzo. Andrea è ancora vivo. Certo, ne sono sicuro. O lo
spero? Non starò cercando di autoconvincermi? Bastaaaaa! Non devo pensare a me, ma a lui, o meglio, come
lui. Quali sono le sue ambizioni? Ti avrà raccontato qualche suo sogno? No,
cioè si, cioè boh, non lo so... Ah,
non lo sai? E chi lo deve sapere? Il pesce rosso? Ora non me li ricordo. Non mi
vengono a mente. Una volta mi ha detto che la sera adora osservare le stelle
nel cielo. Si, ma dove? Dove? Spesso mi parlava di solitudine. La nominava
sempre nelle sue poesie, quelle poesie che qualche volta ha fatto leggere anche
a me quando mi portava…”
Un attimo
di vuoto poi capisco tutto. Esco di casa come una furia. Non ho il tempo di
spiegare ai miei che vado a salvare un amico. Spero solo che il motorino ce la
faccia a percorrere quei cinque chilometri che mi separano da quel posto che
gli piaceva tanto.
Intanto
il temporale è diventato un alluvione e il buio pesto
di una strada deserta è allucinante. Manca poco. Troppo poco a quell'orario assurdo che mi ha dato lui. Il motorino mi
tradisce, ma sono quasi arrivato. Corro. Corro come non ho mai fatto prima.
Cado. Mi rialzo. Cado ancora. Continuo a correre. Mi strappo la giacca di dosso
per fare più in fretta. Respiro la pioggia che mi scende sulla faccia. Il
vecchio faro è ancora più rovinato di come me lo ricordavo. Da anni in disuso,
nessuno ci metteva quasi mai piede. Entro al buio e inizio a gridare il nome di
Andrea. Se avessi sbagliato ragionamento non me lo sarei mai perdonato. Forse
ci sarebbe stato un altro suicidio… Prendo a calci una sedia e qualche scatola
di cartone per aprirmi la strada. Lui era lì, poco più avanti, seduto sulle
assi sconnesse di quel pavimento che conoscevo bene anch'io. Guardava oltre
l'unico vetro rimasto intatto e piangeva, in silenzio. Mi sono seduto accanto a
lui senza dire niente. Era intirizzito. Tremava. Stringeva in mano una penna e
un foglio stinto dalle lacrime. Il vento entrava da ogni fessura, così come la
pioggia. A mezzanotte in punto una folgore ha squarciato il cielo illuminando i
nostri volti per un istante. Andrea ha puntato un dito in alto e mi ha detto:
“Guarda lassù. Sapevo che te riesci a vedere le
stelle”.