SeGreta
di
massimolegnani
Non
saprei dire quando la incrociai per la prima volta, non era una
bellezza memorabile che ti segni sul calendario il giorno in cui
l’hai vista. No, lei per essere apprezzata aveva bisogno di
ripetuti occhi, come una pagina dalla scrittura impegnativa che
solamente poco alla volta rilascia il proprio fascino. So però
che a un certo punto mi resi conto che la incontravo quasi tutte le
mattine sui marciapiedi di via Mazzini, che a quell'ora sono più
affollati delle strade. Ci muovevamo nelle due direzioni opposte, io
con l’andatura annoiata di chi sa già che nel suo studio
da immobiliarista indipendente non troverà la coda di clienti
ad aspettarlo, lei che camminava con un passo deciso, stretto e
affrettato, non una falcata superba semmai difensiva, come volesse
scoraggiare sguardi e approcci. Una cautela davvero eccessiva in
quello scampolo di mattino in cui i milanesi hanno una frenesia da
api operaie. Ma io non sono milanese e mattino dopo mattino la
guardavo sempre più accuratamente rallentando di proposito per
dilatare i pochi istanti a mia disposizione. Eravamo in quelle
giornate di fine marzo che a volte assomigliano all’inverno,
altre a una precoce estate. La prima cosa che notai fu che il suo
abbigliamento spesso risultava poco in armonia con il clima del
momento, o troppo leggero o troppo pesante. Probabilmente sceglieva
alla sera come vestirsi sull’esperienza della giornata appena
trascorsa e al mattino seguente non aveva animo di verificare se
nella notte fosse cambiato il tempo, ne subiva l’eventuale
mutamento con rassegnazione. Oppure era anche lei vittima della
fretta, quel timore ancestrale di essere in ritardo che ti porta a
raccattare la prima cosa che ti capita a tiro e una volta in strada
ti fa accelerare il passo e il cuore, e il buffo è che poi
finisci con l’arrivare immancabilmente prima degli altri.
Tenera
ragazza, oggi infreddolita, ieri accaldata. Questa sua sfasatura
climatica mi aveva incuriosito, ed era una curiosità che
giorno dopo giorno si ampliava dentro di me come una chiazza d’olio.
Sì, avrei voluto conoscere di lei altri dettagli, niente di
intimo intendiamoci, roba banale, le preferenze in cucina, le
abitudini nel dopo cena se una lettura o una serie televisiva, i
gusti preferiti di gelato, quale il colore di fiducia, insomma quei
segreti spiccioli che però delineano un carattere, tracciano
una vita. E galoppavo con la fantasia a darmi risposte, ma in
realtà di lei non sapevo nulla, nemmeno il nome, mi sarebbe
piaciuto Greta, dovevo accontentarmi del poco che potevo desumere nei
brevi istanti di quell’incrociarci mattutino.
Per
fortuna non è una al passo coi tempi, ricordo che pensai,
alludendo anche al suo aspetto, elegante ma non alla moda, e avrei
voluto dirglielo, ma non sono il tipo che ferma la gente per strada,
ho bisogno di costruirmi l’occasione. Una volta mi voltai,
forse per vedere se potevo agguantare un’occasione per la coda
ma lei era una lucertola, pronta a sacrificare la sua coda pur di non
offrire appigli a nemici immaginari. Eppure non fu un girarmi invano
perchè feci in tempo a vedere che si stava infilando in un
bar. Ecco l’occasione, bastava che io cambiassi bar. E così
feci.
Il
locale era un tintinnio convulso di tazzine tazze cucchiaini, un
vociare scomposto di ordinazioni, saluti e conversazioni urlate al
cellulare. Tre giorni a starle appresso senza essere andato oltre un
incolore le chiedo scusa, l’ avevo urtata mentre
posavo la tazzina. In quella calca lei nemmeno se ne accorse e tanto
meno diede cenno di aver sentito le mie parole. Sembrava una
situazione senza sbocco, e cominciavo ad avere nostalgia del mio bar
dove Osvaldo conosceva per nome i pochi clienti. Disperavo, ma il
quarto giorno mi sentii toccare su una spalla. Era lei che, con uno
sguardo tra l’imbarazzato e l’implorante, mi chiedeva se
potevo posarle la tazza del cappuccino sul bancone, non riusciva a
superare il muro umano. Attorno al labbro superiore un vago alone di
schiuma.
Greta?,
le chiesi speranzoso prendendole dalle mani la tazza e il
piattino. E prima che mi rispondesse le sorrisi, come si sorride a un
lieto fine. Ma era solo un inizio.
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