Al
di là del cancello bianco
di
massimolegnani
Corrado
aveva occhi chiari e sguardo seducente ma era troppo timido per
sfruttare questa dote con le donne.
Agata
aveva il talento del sorriso che gli uomini ancora non erano riusciti
a spegnere del tutto.
Loro
due avevano in comune l’altezza non eccelsa e l’appartenenza
a quel sottobosco della vita dove è raro e faticoso un raggio
di sole. Per il resto erano distanti per storia personale, un marito
cacciato al primo sgarro, una donna inseguita a lungo e invano, si
trovavano agli antipodi quanto a carattere, schivo uno, schietta
l’altra, vivevano fedi differenti, lui ancora a servir messa la
domenica come un chierichetto fuori corso, lei l’unica fede era
in se stessa, ed erano opposti anche per origine, Corrado radici
profonde nel paese, Agata un trapianto attecchito bene dalla Puglia,
di cui aveva mantenuto la passionalità solare ma non le
tradizioni soffocanti.
Due
individui del genere avessero abitato in città non si
sarebbero mai incontrati, ma in paese le vite disegnano orbite
piccine, spesso sovrapposte, così capitava non di rado che
loro s’incrociassero per via o si ritrovassero in attesa
nell’ambulatorio del medico condotto o al bar del Gino ad
ascoltare in un silenzio teso il gracchiare quasi incomprensibile
della radiocronaca del Giro. Un ciao più o meno sostenuto ma
poi ciascuno stava muto sulle sue, non che si evitassero ma di sicuro
non facevano nulla per approfondire la conoscenza. Forse avevano ben
presenti le tante diversità o erano troppo presi dal tentare
una sopravvivenza dignitosa in quei tempi duri per potersi accorgere
di altro.
Poi
un giorno, casualmente, furono chiamati entrambi a servire in Villa.
La Signora, così in paese la chiamavano da sempre senza mai
aggiungere né nome né cognome (e la riverivano e
temevano più del parroco o del podestà), aveva
l’abitudine di rivolgersi ai paesani ogni volta che aveva
bisogno di personale supplementare. Non c’era abitante che non
avesse varcato almeno una volta la cancellata bianca che si schiudeva
su un mondo dorato in cui i paesani erano semplici prestatori
d’opera: frutteti, prati, un laghetto, il bosco di faggi, la
Villa. Il viale d’accesso risaliva in eleganti tornanti
fino alla dimora liberty che dalla cima della collina dominava le
case di Cettignè come un castello feudale il suo contado. I
prescelti andavano di volta in volta ad aggiungersi ai dipendenti
fissi per eseguire lavori straordinari di giardinaggio, la
falciatura, soprattutto, con una schiera di uomini che procedevano
cantando al ritmo affilato della falce. Oppure erano piccole
riparazioni alla casa, qualche tegola malmessa, le foglie che
ostruivano una grondaia, o, per le donne, un aiuto in cucina o in
lavanderia. Agata veniva chiamata spesso come stiratrice o per
servire in sala e la Signora, che apprezzava le sue doti quanto la
sua discrezione, le aveva proposto più volte un’assunzione
in pianta stabile, ma lei aveva sempre rifiutato, si sentiva più
libera a lavorare un po’ qui e un po’ là piuttosto
che alle dipendenze di un’unica padrona. Corrado, al contrario,
era convocato raramente ed esclusivamente per lavori di manovalanza
in giardino. In pratica non aveva mai messo piede nella casa e ora,
all’improvviso, gli veniva chiesto di servire in sala durante
una cena con numerosi ospiti. I suoi occhi chiari s’intonano
all’azzurro pallido dei piatti che ho scelto per la cena,
gli aveva mormorato la Signora che amava non lasciare nulla al caso.
Lui
non ci dormì la notte e il pomeriggio seguente era salito con
ampio anticipo passando poi ore a girare a vuoto per i locali della
servitù, angosciato come un condannato a morte il giorno
dell’esecuzione. Agata, la cresta di pizzo tra i capelli
portata con naturalezza, come lo vide scoppiò a ridere, mi
sembri Charlot gli disse con poco tatto. Poi tornò seria,
gli sistemò la divisa che lui indossava con una goffaggine da
pagliaccio e gli spiegò come doveva comportarsi. Ma io non
so servire a tavola! esclamò lui disperato. Dovrai
solo portare zuppiere e vassoi dalla cucina alla sala, lo
rassicurò la ragazza, sarò io a servire i
commensali. Tu stammi sempre vicino e andrà tutto bene.
Corrado
le ubbidì alla lettera e per tutta la sera la seguì
ovunque in una sorta di estasi mistica, come lei fosse la Madonna di
Ardena.
Era
notte fonda quando finalmente conclusero il servizio e poterono
lasciare la villa con poche lire in più nelle tasche.
Scendevano lungo il viale illuminato dalla luna, Agata vagamente
immusonita o quanto meno pensierosa, Corrado euforico, loquace come
non era mai stato in vita sua: ti rendi conto, sembravo un vero
cameriere e non l’avevo mai fatto prima! Le saltabeccava
intorno, s’inciampava, ruzzolava, riprendeva a stento il passo
e le parole, io in guanti bianchi, io gli occhi come i piatti, io
non un guaio, non un errore, incredibile! E tutto grazie a te, sei
stata il mio angelo custode. Agata fece una risata amara, sei
proprio strano tu. Mi hanno chiamato in tanti modi, ma angelo custode
mai. L’uomo non colse il suo sarcasmo e in un gesto
maldestro di devozione tentò di baciarle la mano, rimediando
un colpo secco sulle labbra, forse non voluto, dalla mano che si
sottraeva di scatto. È che a lei sembrava uno spreco tutto
quel cincischiare goffo in una notte di stelle e di luna, di cicale e
di erba odorosa, dove tutto sembrava un invito all’amore. Lo
guardò male ma poi si accorse di avergli provocato una piccola
ferita al labbro da cui usciva qualche goccia di sangue che brillava
alla luna. Si addolcì e si avvicinò per tamponargli il
taglio con un fazzoletto. Sono un tipo semplice, io. Volevo
dimostrarti la mia riconoscenza, il mio affetto, quasi si
giustificò lui che aveva perso tutta la sua ingenua
effervescenza. Agata gli sorrise, oggi ti devo insegnare proprio
tutto. Se vuoi baciare una donna, non cercare la sua mano, cercale la
bocca.
Lui
abbozzò una replica, ma io…balbettò senza
riuscire ad aggiungere altro perché lei lo stava già
baciando.
Una
volta sono stato a Torino a vedere i fuochi di San Giovanni,
Corrado era tornato ciarliero, una meraviglia la notte squarciata
dai bagliori, eppure nulla al confronto delle stelle di
stanotte, tu la più luminosa e bella. Erano stesi
nell’erba alta, i vestiti strapazzati, i corpi ancora caldi, i
fiordalisi intorno, le cicale ammutolite, l’aurora che
incalzava. Agata aveva avuto gesti sconfinati, scandalosi e
straordinari come tulipani esplosi uno dopo l’altro a inizio
maggio. Ora era morbida e lo avvolgeva come una coperta di lana, la
bocca a cercargli la pelle del torace per piccoli baci di
riconoscenza perché Corrado si era lasciato guidare da lei
come un bambino, allo stesso modo fiducioso e incantato che aveva
tenuto in sala.
Si
rivestirono in due silenzi opposti, lui a fantasticare di futuri
radiosi, lei a cercare di tornare con i piedi per terra. Ripresero il
viale barcollando abbracciati. Appoggiati all’inferriata del
cancello si scambiarono gli ultimi baci. Poi, varcato il cancello si
separarono per tornare ognuno alla propria casa.
Corrado
si voltò più volte sperando di incrociare i suoi occhi,
ma vide sempre solo la sua schiena ostinata.
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