Un
grido e uno sparo
di
massimolegnani
Camillo,
seppellitosi sotto quattro coperte pur di tenere la finestra
spalancata, non si era ancora addormentato. Si trovava in quella fase
in cui i sensi compiono un’ultima registrazione dei suoni
provenienti dall’esterno per avere una mappa precisa di ciò
che accade intorno mentre ci si lascia andare all’addormentamento.
La sua era l’ultima casa del paese, isolata, in prossimità
del bosco. Gli piaceva quella posizione in bilico tra natura e mondo
umano, che gli permetteva a sera di cullarsi a minimi rumori di varia
origine.
Dapprima
c’era stato un prolungato miagolio al quale l’uomo aveva
sorriso in cuor suo immaginandosi un raduno di gatti spelacchiati
che, nonostante il freddo e magari la pancia vuota, non rinunciavano
al richiamo dell’amore. Non era stato diverso lui, da giovane,
quella volta che aveva investito gli ultimi soldi in un doppio whisky
al posto della cena pur di far colpo su una ragazza appena
conosciuta. Le cose non erano poi andate come avrebbe voluto, ma
l’importante per lui era l’averci provato.
I
gatti s’erano momentaneamente acquetati e il silenzio era rotto
solamente dal sommesso ondeggiare delle piante lì vicino e dal
sibilo lontano di una qualche sirena, difficile dire se di
un’ambulanza, vigili del fuoco, polizia. Di solito cercava dei
dettagli acustici attorno a quel suono che lo orientassero, lo
sferragliare di un camion, allora erano i pompieri, uno sgommare
scomposto, squadra mobile, un lento e costante incremento del sibilo,
118. Ma questa volta la sirena era troppo lontana per permettergli
un’identificazione. Comunque gli bastò averlo udito, il
suono, per provare una sorta di conforto, di rassicurazione, il
mondo continua a vivere e a lavorare, lui poteva dormire
tranquillo.
Il
grido lo raggiunse un istante dopo che si era assopito: forse del
grido aveva udito solo la coda, oppure davvero questo era stato molto
breve. Una nota acuta, molto alta, raggiungibile solo da un ragazzino
prepubere o da una donna giovane. Camillo valutò mentalmente
le due opzioni e propese per la seconda, improbabile che un
ragazzetto fosse in giro a quell’ora. Tese l’orecchio in
allarme, né voci né rumore di passi, silenzio assoluto,
il paese dormiva. Si chiese se non avesse sognato, rimase seduto sul
letto in attesa: nulla, e alla fine si convinse che era andata
proprio così.
Non
si era ancora riaddormentato che un rumore secco, violento, lacerò
l’aria come una frustata. Senza dubbio uno sparo e questa volta
non poteva aver sognato. Balzò dal letto, corse alla porta,
infilò il cappotto, afferrò la piccozza che
incongruamente teneva nel portaombrelli e si precipitò in
strada con le ciabatte ai piedi.
Vide
delle ombre vicino al ponte sul canale, dove gli sembrò ci
fosse una piccola rissa. Si avviò deciso e tremante in quella
direzione brandendo la piccozza, vittima allo stesso tempo della
propria paura e di un indomito senso del dovere.
Ehi,
gridò trafelato verso il gruppetto ancora indistinto, ma la
sua voce fu sommersa dal crepitio di petardi fatti scoppiare contro
le pietre del ponte. Mentre lui si era bloccato come inebetito,
alcuni razzetti illuminarono per pochi istanti il cielo e i volti
eccitati di quattro ragazzini intenti ad accendere le ultime micce
del loro piccolo arsenale. Camillo ancora non riusciva a capire che
cosa stesse succedendo. Solo quando dal paese partirono fuochi
artificiali ben più consistenti si rese conto che era scoccata
la mezzanotte dell’ultimo dell’anno, lui fino a quel
momento non aveva fatto caso che fosse il 31. Allora nascose
malamente la piccozza dentro il cappotto come una vergogna, fece un
cenno di saluto ai quattro ragazzetti, che nemmeno s’erano
accorti di lui, e tornò a testa bassa verso casa, deluso di
sé.
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