La
carica degli ultimi
di
massimolegnani
Ve
lo voglio raccontare quello che ci è successo un giorno,
successo a noi che eravamo i manovali del dolore. Ad essere ordinati
dovrei iniziare dal giorno della nascita, ma allora ancora non
sapevamo nulla, oppure, ad essere sintetici, potrei partire dalla
morte, ma a quel punto sapevamo tutto.
Il
fatto è che non è stato per tutti lo stesso giorno,
ognuno ci è arrivato attraverso un cammino suo, tortuoso o
rettilineo, a seconda.
Ma
di cosa stai parlando, mi chiederete voi, già stufi di leggere
nel vago. Non lo so, ho tutto chiaro in mente, ma non è facile
spiegare l’affiorare degli affetti, quelli semplici, che ci
vuole come un viaggio o una fatica per arrivare a togliere il
guinzaglio ai sentimenti, non è facile spiegare il prevalere
dei gesti privi di pudore sull’asettico rigore di facciata,
spiegare quell’andare oltre la coscienza e il senso del dovere
per scoprire che c’è dell’altro, più
gratificante e giusto se lo sai sentire. Non è facile spiegare
e c’è voglia di tacere.
Vorrei
che conosceste già gli avvenimenti che non mi va di
raccontare. Sapete, i fatti sono poco più di un dettaglio
necessario, quasi una zavorra per quanto ci è successo
dentro.
D’accordo,
d’accordo, se non parlo non potete voi capire lo splendore di
papà Davide, il camionista sempre in viaggio, che a cose ormai
accadute viene in cucina a chiederci un caffè come ci stesse
conferendo un piccolo nobel o la bellezza di mamma Sara, bambolotto
sovrappeso di panetteria, che non viene a dire grazie ma a spartire
l’emozione di frivole parole.
Va
bene, vi spiego.
Io
lavoro in un reparto di provincia, come un albergo a ore, tanta
routine, piccoli drammi e poca gloria.
Alessandra,
pochi mesi, tutti vissuti con fatica, ci rimbalza addosso come un
pallone elastico scagliato contro il muro. L’avevamo
trasferita, tempo prima, alla Rianimazione dell’Infantile, dopo
l’ennesimo catastrofico peggioramento. Ma un giorno ci
telefonano che ce la rimandano indietro, i genitori hanno espresso il
desiderio di sospendere le cure intensive e del resto in questo
momento la bambina non ha bisogno del respiratore.
È
una rogna quella che ci sta cadendo addosso e i più scaltri di
noi lo capiscono subito. E subito si attrezzano indossando i panni
professionali e il camice deontologico, la faccia rigorosa e i
termini forbiti (noi
siamo tenuti a, legalmente non possiamo esimerci, occorre valutare il
risvolto giuridico..);
il tutto per tenere lontana la patata bollente. I più scaltri
di noi, Nicoletta invece non ce l’ha nemmeno un camice con cui
proteggersi, solo magliette poco serie, Nico non sa nascondersi
dietro le parole ( fanculo!
Ditelo chiaro, è una rottura di coglioni, un vegetale che
viene qui a morire con cui non possiamo nemmeno far finta di essere a
E.R.),
Nico è cocciuta (abbiamo
un’occasione unica, non salveremo nessuno, ma forse impareremo
ad essere umani),
Nico trascina, testarda.
Ecco,
forse è tutta qui la storia, con Alessandra che torna da noi a
morire, tra pochi già capaci di accoglierla e i più che
ancora si tengono lontani. Ma è lunga la morte attesa, ad
Alessandra bastano l’ossigeno e il latte nel sondino per
restare attaccata alla vita, come a un passerotto bastano le briciole
che gli lasci sul davanzale.
Ecco,
mi fermo qui, a questo tempo sospeso che credevo inutile tempo
d’attesa e che s’è fatto mirabile tempo d’azione.
Azione degli umili, delle comparse, di quelli che pensi che abbiano
poco da dire e niente da dare.
Mi
fermo qui, il resto immaginatelo voi. No, dovete sapere ancora una
cosa: dopo un mese i genitori si sono sentiti pronti a portare a casa
Alessandra così com’era, moribonda e ancora tenacemente
viva. E a casa l’hanno accudita bene, con l’aiuto di
Monica, l’infermiera a volte fatua a volte fata, che senza che
nessuno gliel’avesse chiesto, ogni giorno dopo il lavoro
passava da loro a controllare che ossigeno e sondini fossero in
ordine. Ma quando la bimba “finalmente”
non ce l’ha più fatta, l’hanno riportata da noi.
Capite? Sono tornati qui a condividere le ultime ore della loro
figlia, il percorso inverso di qualunque genitore.
E hanno trovato il calore colorato che cercavano.
Ecco,
sì, adesso avete tutti gli elementi per immaginare quel tempo
sospeso ed il suo epilogo.
Sappiate
solo ancora che queste cose possono avvenire solo di notte, quando si
è più raccolti, vicini, sinceri, perché il buio
aiuta a trovare il filo rosso, quello che ci lega tutti.
E
allora adesso immaginate la risata grassa di Antonietta a contagiare
mamma Sara negl’istanti tristi, immaginate Alessia, di solito
scontrosa, parlare per ore di notte con papà Davide dei tempi
giusti per lasciar andare, immaginate Mauri trovare parole semplici a
spiegare la deontologia, ma quella vera, quella fatta di cura e cuore
più che di cure ormai inutili, immaginate Nico tornata in
piena notte in reparto solo per essere presente, immaginate Annetta
l’inserviente più minuta e silenziosa, spostare
scrivanie e lettini, mettere sedie e fiori, insomma trasformare
l’ambulatorio in camera ardente perchè, dottore,
mica possiamo permettere che Alessandra vada a passare la notte in
obitorio!
E
tu che hai fatto, mi chiederete.
Io?
Io ho imparato qualcosa di buono da ciascuno, spero. E
di getto ho scritto una lettera ai genitori come fossi la loro figlia
che li salutava e li confortava.
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