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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Quel porco di Gheddafi, di massimolegnani 26/10/2019
 
Quel porco di Gheddafi

di massimolegnani



Suonano alla porta, ripetutamente. Una donna anziana, piegata in due dall’artrosi, si muove lentamente verso l’ingresso dell’appartamento.

- Eccomi, eccomi. Chi è? 
- … 

_ oh, dottore, le apro subito.

-…
- Buongiorno. Perdoni se ho impiegato tanto ad aprirle, ma sa, sono vecchia e mi muovo con difficoltà. E poi non apro finchè non sono certa di chi c’è dietro alla porta. Venga, dottore, le faccio strada. 
- … 
- Immagino che sia stato mio nipote a mandarla qui. È un caro ragazzo, si preoccupa della mia salute. Mai che venga di persona, però, a sincerarsi che stia bene. 
- … 
- Già, lui abita lontano ed è sempre così indaffarato, bisogna capirlo. Ma io mi sento sola. E le giornate sono così lunghe e vuote. Pensi che un tempo, laggiù, casa mia era un porto vivace, gente a tutte le ore. 
- … 
- Le va bene se mi metto in poltrona anziché sul letto? Mi è più facile alzarmi, dopo. Le dicevo, casa mia, che feste! Una volta Italo Balbo… 
- … 
- Si, mi scusi. Adesso sto zitta e faccio un bel respiro. 
- … 
- Allora, come mi trova? Cuore, pressione? 
- … 
- Possibile che non ci sia niente che non va? Neanche un malanno? A parte la vecchiaia, naturalmente. 
- … 
- Lei crede di rincuorarmi dicendo che ho un fisico in salute, ma non è così, dottore. Vorrei una bella malattia, di quelle che ti portano via in un batter d’occhio. Sono stufa di stare al mondo. 
- … 
- No, stia zitto. Non è vivere questo stare ore e ore seduta ad aspettare che venga buio. Il mio tempo è passato da un pezzo. Da quando quel porco di Gheddafi ci ha sbattuto fuori. E mio nipote che ancora lo difende. 
- …

-Ah, è morto? Bè, ben gli sta, con tutto quello che ci ha fatto passare. Sapesse

-… 

- Sì, ho vissuto a lungo in Libia, quasi mezzo secolo. È stata la mia terra, più della Sardegna. 
- … 
- No, aspetti, non se ne vada dottore, le devo raccontare l’Africa com’era. 
- … 
- Sì, capisco. Le altre visite che aspettano. Non la trattengo oltre. Mi perdoni se non l’accompagno, è troppa fatica alzarmi. Arrivederci, dottore. 
- … 
- Se n’è andato. Nessuno che stia a sentire la mia storia, pensare che è stata così bella! Avere tanti ricordi e nessuno che li ascolti è uno spreco insostenibile, come un bel libro che ammuffisce privo di lettori. Adesso la mia vita è una poltrona e un caffèlatte, e la nebbia o l’afa da guardare attraverso la porta-finestra del terrazzo. Ma prima, prima erano abiti leggeri e cappellini froufrou sulle ventitrè, passeggiate sul lungomare e gite in carrozza a Leptis Magna, la penombra nelle stanze e i ragazzetti arabi a rassettare casa silenziosi e servizievoli. Anche la noia del primo pomeriggio, quando il caldo ti costringeva a stare immobile, come faccio ora tutto il giorno, era qualcosa di piacevole, un brusio di voci e insetti, un intermezzo ed un’attesa che il venticello della sera ci riportasse fuori. Sapesse dottore, come stavo bene a Tripoli, vivevamo di poco e non ci mancava niente. Ogni cosa era una piccola avventura, addentrarsi nella casbah, visitare botteghe e banchi del mercato, contrattare fino allo sfinimento con i mercanti arabi e gli artigiani indiani per un chilo di farina o una statuetta d’avorio: sapevamo entrambi dall’inizio il prezzo su cui alla fine ci saremmo accordati, ma la litania del tiramolla era un obbligo morale. Era una vita quieta, a tratti anche gioiosa. E tutti ci volevano bene. Sa, dottore, anche re Idris, quando tornò sul trono dopo la guerra, prese a volerci bene. Sa… 

L’anziana donna sembra riprendersi da un torpore. Guarda la poltrona vuota accanto alla sua, scuote la testa e poi riprende a raccontare con annoiata ostinazione in un borbottio sommesso, come se nemmeno lei avesse più voglia di starsi a sentire. 

 
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