Quel
porco di Gheddafi
di
massimolegnani
Suonano
alla porta, ripetutamente. Una donna anziana, piegata in due
dall’artrosi, si muove lentamente verso l’ingresso
dell’appartamento.
-
Eccomi, eccomi. Chi è?
-
…
_
oh, dottore, le apro subito.
-…
-
Buongiorno. Perdoni se ho impiegato tanto ad aprirle, ma sa, sono
vecchia e mi muovo con difficoltà. E poi non apro finchè
non sono certa di chi c’è dietro alla porta. Venga,
dottore, le faccio strada.
-
…
-
Immagino che sia stato mio nipote a mandarla qui. È un caro
ragazzo, si preoccupa della mia salute. Mai che venga di persona,
però, a sincerarsi che stia bene.
-
…
- Già,
lui abita lontano ed è sempre così indaffarato, bisogna
capirlo. Ma io mi sento sola. E le giornate sono così lunghe e
vuote. Pensi che un tempo, laggiù, casa mia era un porto
vivace, gente a tutte le ore.
-
…
- Le va
bene se mi metto in poltrona anziché sul letto? Mi è
più facile alzarmi, dopo. Le dicevo, casa mia, che feste! Una
volta Italo Balbo…
-
…
- Si, mi
scusi. Adesso sto zitta e faccio un bel respiro.
-
…
-
Allora, come mi trova? Cuore, pressione?
-
…
-
Possibile che non ci sia niente che non va? Neanche un malanno? A
parte la vecchiaia, naturalmente.
-
…
- Lei
crede di rincuorarmi dicendo che ho un fisico in salute, ma non è
così, dottore. Vorrei una bella malattia, di quelle che ti
portano via in un batter d’occhio. Sono stufa di stare al
mondo.
- …
-
No, stia zitto. Non è vivere questo stare ore e ore seduta ad
aspettare che venga buio. Il mio tempo è passato da un pezzo.
Da quando quel porco di Gheddafi ci ha sbattuto fuori. E mio nipote
che ancora lo difende.
-
…
-Ah,
è morto? Bè, ben gli sta, con tutto quello che ci ha
fatto passare. Sapesse
-…
-
Sì, ho vissuto a lungo in Libia, quasi mezzo secolo. È
stata la mia terra, più della Sardegna.
-
…
- No,
aspetti, non se ne vada dottore, le devo raccontare l’Africa
com’era.
-
…
- Sì,
capisco. Le altre visite che aspettano. Non la trattengo oltre. Mi
perdoni se non l’accompagno, è troppa fatica alzarmi.
Arrivederci, dottore.
-
…
- Se n’è
andato. Nessuno che stia a sentire la mia storia, pensare che è
stata così bella! Avere tanti ricordi e nessuno che li ascolti
è uno spreco insostenibile, come un bel libro che ammuffisce
privo di lettori. Adesso la mia vita è una poltrona e un
caffèlatte, e la nebbia o l’afa da guardare attraverso
la porta-finestra del terrazzo. Ma prima, prima erano abiti leggeri e
cappellini froufrou sulle ventitrè, passeggiate sul lungomare
e gite in carrozza a Leptis Magna, la penombra nelle stanze e i
ragazzetti arabi a rassettare casa silenziosi e servizievoli. Anche
la noia del primo pomeriggio, quando il caldo ti costringeva a stare
immobile, come faccio ora tutto il giorno, era qualcosa di piacevole,
un brusio di voci e insetti, un intermezzo ed un’attesa che il
venticello della sera ci riportasse fuori. Sapesse dottore, come
stavo bene a Tripoli, vivevamo di poco e non ci mancava niente. Ogni
cosa era una piccola avventura, addentrarsi nella casbah, visitare
botteghe e banchi del mercato, contrattare fino allo sfinimento con i
mercanti arabi e gli artigiani indiani per un chilo di farina o una
statuetta d’avorio: sapevamo entrambi dall’inizio il
prezzo su cui alla fine ci saremmo accordati, ma la litania del
tiramolla era un obbligo morale. Era una vita quieta, a tratti anche
gioiosa. E tutti ci volevano bene. Sa, dottore, anche re Idris,
quando tornò sul trono dopo la guerra, prese a volerci bene.
Sa…
L’anziana
donna sembra riprendersi da un torpore. Guarda la poltrona vuota
accanto alla sua, scuote la testa e poi riprende a raccontare con
annoiata ostinazione in un borbottio sommesso, come se nemmeno lei
avesse più voglia di starsi a sentire.
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