SORELLE
Piove
anche oggi, e mentre ascolto distrattamente la radio preparandomi la mia
solitaria colazione in cucina le gocce che battono insistenti sul vetro della
finestra creano un ritmo di sottofondo che evoca solo ricordi tristi.
Pioveva
sempre anche nei giorni in cui mia sorella Anna moriva, ad appena quarantotto
anni, per una rara e incurabile forma tumorale che aveva aggredito e distrutto
il suo corpo in poco meno di tre mesi. I medici non avevano potuto fare nulla
per salvarla, se non evitare che soffrisse troppo nelle ultime settimane,
finché la malattia aveva avuto il sopravvento, trasportandola pietosamente da
uno stato di graduale torpore alla morte.
In quei
giorni, mentre sedevo spesso accanto al suo letto d'ospedale, alternandomi
nella veglia a mio cognato e ai due nipoti, mi sorprendevo a pensare quanto
poco avessimo mai avuto in comune Anna ed io, pur essendo nate e cresciute
nella stessa famiglia.
In
realtà, la nostra convivenza era stata molto limitata: Anna era venuta al mondo
del tutto inaspettatamente undici anni dopo di me, quando nostra madre si era
già convinta di non riuscire a concepire altri figli.
La sua
prima infanzia aveva coinciso con la mia adolescenza, ed io allora avevo
giudicato spesso un intralcio ai miei primi progetti d'emancipazione la
presenza in casa di quella bimbetta petulante, cui oltretutto ero destinata a
fare la guardia, in svariate occasioni, per ordine dei genitori: ma subito dopo
il diploma di maturità, non avendo mai nutrito un grande amore per lo studio,
mi ero cercata un lavoro, e da quel momento le nostre vite si erano in sostanza
separate, poiché io trascorrevo buona parte delle mie giornate in ufficio,
mentre Anna doveva ancora terminare le classi elementari, e in seguito avrebbe
affrontato, per la verità con più entusiasmo e profitto di me, il resto del
percorso scolastico.
Di quegli
anni conservo perciò ricordi piuttosto vaghi riguardo
alla vita familiare: la società per cui lavoravo mi aveva proposto un
trasferimento in un'altra città come premessa ad un possibile avanzamento di
carriera, ed io avevo accettato di buon grado, sedotta dalla prospettiva di
andarmene a vivere per conto mio in un luogo completamente differente da quello
consueto.
Tornavo
in famiglia solo saltuariamente, di solito in occasione delle feste
tradizionali o durante qualche fine settimana, ma la mia esistenza ormai si
svolgeva soprattutto altrove, e per Anna ero ben presto divenuta una figura un
po' sbiadita, equivalente ad uno di quei parenti alla
lontana che si frequentano raramente e senza slancio, più per obbligo che per
affetto: la sorella maggiore che arrivava con qualche bel regalo, acquistato
soprattutto per dovere, e che ripartiva dopo essersi ritualmente
informata riguardo ai progressi scolastici e alle novità del momento, senza mai
sforzarsi troppo di mostrare un reale interesse per ciò che stava ascoltando.
Ripensandoci
ora, eravamo diventate quasi due estranee, e abbiamo continuato ad esserlo
anche in seguito, durante gli anni in cui Anna, ormai cresciuta, si laureava,
iniziava ad insegnare, si sposava e metteva al mondo due figli in rapida successione mentre io, troppo occupata a fare carriera, mi
ero persino dimenticata di cercare seriamente un marito, limitandomi a
relazioni poco impegnative.
Ora che
ho quasi sessant'anni e sono andata in pensione da
poco, tornando a risiedere nella mia città d'origine dopo diversi spostamenti,
avrei potuto finalmente trascorrere più tempo con mia sorella, ma è arrivata la
malattia a portarsela via e a lasciarmi il tremendo rimpianto di non esserle
stata abbastanza vicina finché era viva.
E' stato
molto doloroso quando mio cognato mi ha chiesto di
aiutarlo a riordinare gli effetti personali di Anna, cosa che lui non aveva
ancora avuto il coraggio di fare:
“So che
anche per te sarà penoso, ma sei l'unica donna di famiglia, e purtroppo si
tratta di sistemare molte cose, vuotare i suoi armadi, i cassetti…Potresti
pensarci tu, per favore?”
In
principio ho pensato fosse abbastanza semplice, per quanto infinitamente
triste, aprire un armadio, prendere i vestiti, piegarli con cura e riporli in
grossi sacchi da portare in qualche centro di raccolta benefica, dove
immaginavo sarebbero stati ancora di qualche utilità a persone bisognose, ma
già questa banale operazione si è rivelata per me fonte di qualche sorpresa.
Non mi
ero mai resa conto di come il contenuto di armadi e cassetti potesse raccontare
molto della persona che ne avesse fatto uso, ed io andavo scoprendo particolari
della vita di Anna di cui non ero mai stata a conoscenza: non avrei affatto
sospettato, ad esempio, che possedesse alcuni indumenti piuttosto ricercati che
non avevo avuto alcun modo di vederle addosso da viva, e mi sono chiesta in
quali occasioni li avesse acquistati e utilizzati.
Non mi
risultava che col marito frequentasse ambienti
particolarmente mondani: le serate che
trascorrevano con gli amici cui avevo occasionalmente partecipato anch'io mi
erano sembrate decisamente informali, e del resto quei capi erano in netto
contrasto con la maggior parte del contenuto del suo guardaroba.
Lo stesso
è accaduto con la biancheria intima quando, accuratamente ripiegati sotto ai
capi più banali e consueti, ho trovato alcuni costosi pezzi contrassegnati da
marchi famosi, che non rientravano assolutamente nel genere di acquisti che
credevo potesse fare mia sorella.
Perplessa,
sfioravo le sete e i pizzi raffinati che non riuscivo ad associare all'immagine
familiare di Anna, e mi chiedevo che fare di quegli indumenti che non mi
sembrava opportuno lasciare in mezzo agli altri. Forse mia sorella avrebbe
desiderato che fossero conservati, considerando la cura particolare con cui
erano riposti rispetto al resto dei suoi effetti personali? Ma per farne che?
Per un
momento ho pensato di parlarne con mio cognato, tuttavia c'era qualcosa di
strano in tutto ciò, che mi tratteneva dal farlo, oltre al timore di
risvegliare in lui ricordi troppo dolorosi, perciò mi sono limitata a mettere
da parte ciò che mi riservavo di riesaminare in un secondo tempo, e ho
continuato il mio triste lavoro.
Infine,
in fondo all'ultimo cassetto dell'armadio, ho fatto la scoperta definitiva: un
piccolo cofanetto metallico munito di serratura, sul cui coperchio era fissata
una busta chiusa indirizzata espressamente a me, perché la grafia allungata di
Anna aveva tracciato in modo preciso quelle due parole inequivocabili “Per
Michela”.
Mi sono
seduta sul letto col cofanetto in grembo, ho
staccato la busta che era fissata al coperchio con del
nastro adesivo e l'ho aperta: all'interno c'erano un foglio di carta da lettere
piegato in quattro ed una piccola chiave, evidentemente quella che apriva la
serratura del cofanetto stesso.
La lettera, senza data, era
naturalmente di Anna.
Doveva
essere stata scritta già durante la malattia, perché la sua grafia appariva in alcuni punti incerta, come se maneggiasse la penna con
qualche difficoltà.
Cara Michela,
ormai so che manca poco tempo. Ogni giorno sto
sempre peggio e sarà soltanto questione di qualche settimana.
Non so per quanto ancora potrò sentirmi
sicura della mia lucidità mentale, perciò devo cominciare a pensare a ciò che accadrà quando non ci sarò più, soprattutto ora che si
avvicina il nuovo ricovero in ospedale: sono sicura che stavolta sarà l'ultimo,
e non tornerò più a casa viva.
Francamente non m'importa nulla delle
questioni pratiche perché so che Alfredo provvederà a tutto nel modo migliore e
sarà un padre perfetto per i nostri figli, che del resto ormai sono abbastanza
grandi per cavarsela da soli, ma purtroppo non posso
lasciare dei conti in sospeso e ho bisogno del tuo aiuto perché tu sei l'unica
persona cui mi posso rivolgere in questa circostanza.
So che forse resterai sconvolta, ma
sei la mia unica sorella, anche se non siamo mai state molto vicine, e
purtroppo so che probabilmente toccherà a te occuparti dei miei effetti personali quando me n'andrò, perciò ti chiedo quest'ultimo
favore.
Quando leggerai queste righe, Alfredo
ti avrà già dato, spero, i miei gioielli, ma voglio anche che tu prenda per te
tutto ciò che troverai di tuo gusto nei miei armadi, soprattutto fra gli abiti
più eleganti.
Immagino che resterai molto sorpresa trovando dei vestiti che non mi hai mai visto
indossare, diversi dal mio stile abituale, e so che ti devo delle spiegazioni.
Ecco, la risposta la troverai aprendo
il cofanetto con la chiave unita a questa lettera: li ho indossati in passato
in circostanze speciali, di cui nessuno è mai stato a conoscenza, accanto alla
persona che vedi in quelle foto e che amo da alcuni anni.
So che dovrei raccontarti molte cose,
ma forse ormai è tardi, e non credo di averne più la forza.
Ti chiedo solo il grandissimo favore
di telefonare a quella persona, di cui troverai il numero all'interno del
cofanetto, e accordarti con lei per consegnarglielo con tutto il suo contenuto.
Ora giudicami come vuoi: io non mi preoccupo più di
nulla.
Ti prego, in futuro
ricordati di tenere d'occhio i miei figli che resteranno senza madre: so
che hanno un ottimo padre, ma mi piace pensare che ci sia anche una donna a
vegliare su di loro al posto mio, almeno da lontano.
Anna
Sono
rimasta per un momento a fissare il vuoto con la lettera in una mano e la
chiave nell'altra, poi mi sono decisa ad aprire il cofanetto, che non conteneva
poi molto: una manciata di fotografie, qualche lettera, piccoli oggetti ricordo
raccattati qua e là, un semplice braccialetto e un paio di piccoli orecchini
che ricordavo di aver visto spesso addosso a mia sorella.
Nelle
foto, un uomo sconosciuto, da solo oppure ritratto accanto a mia sorella chissà
dove, e in cima al tutto, ben visibile, un biglietto con un nome ed il numero
di un telefono cellulare.
Così,
Anna aveva avuto un amante. Questo mi rendeva comprensibile ciò che poco prima
mi era apparso in contrasto con il suo stile di vita abituale: solo per lui, e
non per Alfredo, doveva aver indossato quei vestiti che non le avevo mai visto
addosso nelle occasioni familiari, e quei capi di biancheria così raffinati,
magari quando usciva da sola per andare a teatro, luogo dove del resto il
marito non l'aveva mai accompagnata non condividendo lo stesso interesse? Forse
lì si era incontrata con un altro, o il teatro era stato spesso un alibi per
andare poi altrove….
Di certo
non l'avrei mai saputo, se la malattia non avesse annientato mia sorella in
pochi mesi, ma ora Anna aveva scaricato sulla mia coscienza
tutto il peso della sua doppia vita.
Che fare?
Di certo Alfredo e i figli dovevano essere totalmente all'oscuro di tutto, e
ormai non avrebbe avuto alcun senso informarli di quanto avevo appena saputo,
distruggendo la memoria della loro adorata moglie e madre.
Ho
portato perciò a casa mia il cofanetto chiuso a chiave, e il giorno dopo ho
telefonato a quel numero di cellulare.
“Sono la
sorella di Anna” ho detto soltanto alla sconosciuta e profonda voce maschile
che ha risposto.
“La sorella di Anna? Ma…”
“Mi
scusi, io sto semplicemente eseguendo l'ultimo desiderio di mia sorella.
Lei…lei lo sa che Anna è morta, vero?” ho domandato poi esitante, perché
improvvisamente sono stata colta dal pensiero che lo sconosciuto potesse anche
essere ancora all'oscuro della notizia.
“Sì, sono
riuscito ad avere informazioni, in qualche modo. Non l'avevo più vista dopo che
era andata in ospedale, naturalmente, ma sapevo che non avrebbe potuto farcela…
Anna le aveva mai detto qualcosa di me?”
“No. Ho solo l'incarico di
consegnarle un oggetto da parte sua, se desidera riceverlo.”
“Certamente!”
Così ci siamo dati appuntamento in un
bar del centro.
L'uomo mi
aspettava già quando sono arrivata, mi ha chiesto se
potevamo parlare di Anna e ho capito che desiderava ardentemente sapere
qualcosa delle ultime settimane di vita di mia sorella: mentre raccontavo, le
sue mani si muovevano con nervosismo, tormentando la tazzina sul tavolino del
bar, finché le ho viste poi tremare mentre si posavano sugli oggetti contenuti
nel cofanetto.
“Anna
aveva conservato tutto…”ha mormorato a bassa voce l'uomo sfiorando le foto con
la punta delle dita.
Non
sapevo che dire. Stavo scoprendo che nella vita di mia sorella c'era stato un
legame segreto che doveva essere stato sicuramente profondo, stando a quel poco
che potevo intuire, ma non ero molto sicura di volermi addentrare nei
particolari: dopotutto, non erano affari miei.
Come se
mi stesse leggendo nel pensiero, l'uomo ha alzato gli occhi dalle fotografie
che stava guardando e ha mormorato lentamente:
“Sei
anni. Lei potrebbe stentare a crederlo, ma ci siamo amati all'insaputa di tutti
per sei anni. Anna aveva un marito, io ho una moglie, sapevamo entrambi di
sbagliare, eppure l'attrazione reciproca era più forte di tutto. Abbiamo
commesso delle vere pazzie, a volte…Ma poi la morte è
stata superiore anche a quell'amore assurdo e me l'ha
portata via.”
“Non
avrei mai immaginato che mia sorella potesse fare una cosa simile. Ma forse non
la conoscevo abbastanza bene.”
L'uomo ha
scosso il capo: ”Non dica così. E' una cosa che ci è capitata all'improvviso,
senza che fossimo andati a cercarla. Ci siamo conosciuti per caso, ed è stato
un vero colpo di fulmine per tutti e due…una follia che ci ha trasformati
completamente. E adesso, Anna non c'è più e a me resta solo questo!” ha
concluso indicando il cofanetto.
“Ma è
stata davvero gentile a telefonarmi per farmelo avere, non so come
ringraziarla, davvero.”
Forse non
era il caso di continuare quella conversazione, così penosa ed imbarazzante per
entrambi, e mi sono alzata per congedarmi.
“L'ho
fatto per mia sorella, non potevo negarglielo, ma ormai penso che non abbiamo
più nulla da dirci.
Io preferisco
non sapere altro, sono cose che non mi riguardano.”
Non ho
mai più rivisto quell'uomo, di cui non conosco
nemmeno il nome completo o l'indirizzo, e non ho la più pallida idea di dove
viva, di che lavoro svolga o di come sia composta la
sua famiglia, ma talvolta mi chiedo se il tempo stia mitigando il dolore che
ricordo di aver letto sul suo volto in occasione del nostro unico
incontro, e quando mi accade di
nominare Anna con Alfredo ed i nipoti, non posso mai fare a meno di pensare che
non siamo i soli a vivere momenti di tristezza e di rimpianto per lei.
Ed ora,
mentre bevo il mio caffè guardando i vetri rigati di pioggia, mi rendo conto
che è davvero molto
pesante, a volte, convivere con il segreto che Anna ha voluto lasciarmi in
eredità, ma credo che questo sia il mio unico modo per ripagarla, sia pure
tardivamente, del fatto di essere stata per lei una pessima sorella maggiore.