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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Sorelle, di Annamaria Trevale 20/04/2007
 

SORELLE

 

Piove anche oggi, e mentre ascolto distrattamente la radio preparandomi la mia solitaria colazione in cucina le gocce che battono insistenti sul vetro della finestra creano un ritmo di sottofondo che evoca solo ricordi tristi.

Pioveva sempre anche nei giorni in cui mia sorella Anna moriva, ad appena quarantotto anni, per una rara e incurabile forma tumorale che aveva aggredito e distrutto il suo corpo in poco meno di tre mesi. I medici non avevano potuto fare nulla per salvarla, se non evitare che soffrisse troppo nelle ultime settimane, finché la malattia aveva avuto il sopravvento, trasportandola pietosamente da uno stato di graduale torpore alla morte.

In quei giorni, mentre sedevo spesso accanto al suo letto d'ospedale, alternandomi nella veglia a mio cognato e ai due nipoti, mi sorprendevo a pensare quanto poco avessimo mai avuto in comune Anna ed io, pur essendo nate e cresciute nella stessa famiglia.

In realtà, la nostra convivenza era stata molto limitata: Anna era venuta al mondo del tutto inaspettatamente undici anni dopo di me, quando nostra madre si era già convinta di non riuscire a concepire altri figli.

La sua prima infanzia aveva coinciso con la mia adolescenza, ed io allora avevo giudicato spesso un intralcio ai miei primi progetti d'emancipazione la presenza in casa di quella bimbetta petulante, cui oltretutto ero destinata a fare la guardia, in svariate occasioni, per ordine dei genitori: ma subito dopo il diploma di maturità, non avendo mai nutrito un grande amore per lo studio, mi ero cercata un lavoro, e da quel momento le nostre vite si erano in sostanza separate, poiché io trascorrevo buona parte delle mie giornate in ufficio, mentre Anna doveva ancora terminare le classi elementari, e in seguito avrebbe affrontato, per la verità con più entusiasmo e profitto di me, il resto del percorso scolastico.

Di quegli anni conservo perciò ricordi piuttosto vaghi riguardo alla vita familiare: la società per cui lavoravo mi aveva proposto un trasferimento in un'altra città come premessa ad un possibile avanzamento di carriera, ed io avevo accettato di buon grado, sedotta dalla prospettiva di andarmene a vivere per conto mio in un luogo completamente differente da quello consueto.

Tornavo in famiglia solo saltuariamente, di solito in occasione delle feste tradizionali o durante qualche fine settimana, ma la mia esistenza ormai si svolgeva soprattutto altrove, e per Anna ero ben presto divenuta una figura un po' sbiadita, equivalente ad uno di quei parenti alla lontana che si frequentano raramente e senza slancio, più per obbligo che per affetto: la sorella maggiore che arrivava con qualche bel regalo, acquistato soprattutto per dovere, e che ripartiva dopo essersi ritualmente informata riguardo ai progressi scolastici e alle novità del momento, senza mai sforzarsi troppo di mostrare un reale interesse per ciò che stava ascoltando.

Ripensandoci ora, eravamo diventate quasi due estranee, e abbiamo continuato ad esserlo anche in seguito, durante gli anni in cui Anna, ormai cresciuta, si laureava, iniziava ad insegnare, si sposava e metteva al mondo due figli in rapida successione mentre io, troppo occupata a fare carriera, mi ero persino dimenticata di cercare seriamente un marito, limitandomi a relazioni poco impegnative.

Ora che ho quasi sessant'anni e sono andata in pensione da poco, tornando a risiedere nella mia città d'origine dopo diversi spostamenti, avrei potuto finalmente trascorrere più tempo con mia sorella, ma è arrivata la malattia a portarsela via e a lasciarmi il tremendo rimpianto di non esserle stata abbastanza vicina finché era viva.

E' stato molto doloroso quando mio cognato mi ha chiesto di aiutarlo a riordinare gli effetti personali di Anna, cosa che lui non aveva ancora avuto il coraggio di fare:

“So che anche per te sarà penoso, ma sei l'unica donna di famiglia, e purtroppo si tratta di sistemare molte cose, vuotare i suoi armadi, i cassetti…Potresti pensarci tu, per favore?”

In principio ho pensato fosse abbastanza semplice, per quanto infinitamente triste, aprire un armadio, prendere i vestiti, piegarli con cura e riporli in grossi sacchi da portare in qualche centro di raccolta benefica, dove immaginavo sarebbero stati ancora di qualche utilità a persone bisognose, ma già questa banale operazione si è rivelata per me fonte di qualche sorpresa.

Non mi ero mai resa conto di come il contenuto di armadi e cassetti potesse raccontare molto della persona che ne avesse fatto uso, ed io andavo scoprendo particolari della vita di Anna di cui non ero mai stata a conoscenza: non avrei affatto sospettato, ad esempio, che possedesse alcuni indumenti piuttosto ricercati che non avevo avuto alcun modo di vederle addosso da viva, e mi sono chiesta in quali occasioni li avesse acquistati e utilizzati.

Non mi risultava che col marito frequentasse ambienti particolarmente mondani: le  serate che trascorrevano con gli amici cui avevo occasionalmente partecipato anch'io mi erano sembrate decisamente informali, e del resto quei capi erano in netto contrasto con la maggior parte del contenuto del suo guardaroba.

Lo stesso è accaduto con la biancheria intima quando, accuratamente ripiegati sotto ai capi più banali e consueti, ho trovato alcuni costosi pezzi contrassegnati da marchi famosi, che non rientravano assolutamente nel genere di acquisti che credevo potesse fare mia sorella.

Perplessa, sfioravo le sete e i pizzi raffinati che non riuscivo ad associare all'immagine familiare di Anna, e mi chiedevo che fare di quegli indumenti che non mi sembrava opportuno lasciare in mezzo agli altri. Forse mia sorella avrebbe desiderato che fossero conservati, considerando la cura particolare con cui erano riposti rispetto al resto dei suoi effetti personali? Ma per farne che?

Per un momento ho pensato di parlarne con mio cognato, tuttavia c'era qualcosa di strano in tutto ciò, che mi tratteneva dal farlo, oltre al timore di risvegliare in lui ricordi troppo dolorosi, perciò mi sono limitata a mettere da parte ciò che mi riservavo di riesaminare in un secondo tempo, e ho continuato il mio triste lavoro.

Infine, in fondo all'ultimo cassetto dell'armadio, ho fatto la scoperta definitiva: un piccolo cofanetto metallico munito di serratura, sul cui coperchio era fissata una busta chiusa indirizzata espressamente a me, perché la grafia allungata di Anna aveva tracciato in modo preciso quelle due parole inequivocabili “Per Michela”.

Mi sono seduta sul letto col cofanetto in grembo, ho

staccato la busta che era fissata al coperchio con del nastro adesivo e l'ho aperta: all'interno c'erano un foglio di carta da lettere piegato in quattro ed una piccola chiave, evidentemente quella che apriva la serratura del cofanetto stesso.

La lettera, senza data, era naturalmente di Anna.

Doveva essere stata scritta già durante la malattia, perché la sua grafia appariva in alcuni punti incerta, come se maneggiasse la penna con qualche difficoltà.

 

Cara Michela,

     ormai so che manca poco tempo. Ogni giorno sto sempre peggio e sarà soltanto questione di qualche settimana.

Non so per quanto ancora potrò sentirmi sicura della mia lucidità mentale, perciò devo cominciare a pensare a ciò che accadrà quando non ci sarò più, soprattutto ora che si avvicina il nuovo ricovero in ospedale: sono sicura che stavolta sarà l'ultimo, e non tornerò più a casa viva.

Francamente non m'importa nulla delle questioni pratiche perché so che Alfredo provvederà a tutto nel modo migliore e sarà un padre perfetto per i nostri figli, che del resto ormai sono abbastanza grandi per cavarsela da soli, ma purtroppo non posso lasciare dei conti in sospeso e ho bisogno del tuo aiuto perché tu sei l'unica persona cui mi posso rivolgere in questa circostanza.

So che forse resterai sconvolta, ma sei la mia unica sorella, anche se non siamo mai state molto vicine, e purtroppo so che probabilmente toccherà a te occuparti dei miei effetti personali quando me n'andrò, perciò ti chiedo quest'ultimo favore.

Quando leggerai queste righe, Alfredo ti avrà già dato, spero, i miei gioielli, ma voglio anche che tu prenda per te tutto ciò che troverai di tuo gusto nei miei armadi, soprattutto fra gli abiti più eleganti.

Immagino che resterai molto sorpresa trovando dei vestiti che non mi hai mai visto indossare, diversi dal mio stile abituale, e so che ti devo delle spiegazioni.

Ecco, la risposta la troverai aprendo il cofanetto con la chiave unita a questa lettera: li ho indossati in passato in circostanze speciali, di cui nessuno è mai stato a conoscenza, accanto alla persona che vedi in quelle foto e che amo da alcuni anni.

So che dovrei raccontarti molte cose, ma forse ormai è tardi, e non credo di averne più la forza.

Ti chiedo solo il grandissimo favore di telefonare a quella persona, di cui troverai il numero all'interno del cofanetto, e accordarti con lei per consegnarglielo con tutto il suo contenuto.

Ora giudicami come vuoi: io non mi preoccupo più di nulla.

Ti prego, in futuro ricordati di tenere d'occhio i miei figli che resteranno senza madre: so che hanno un ottimo padre, ma mi piace pensare che ci sia anche una donna a vegliare su di loro al posto mio, almeno da lontano.

                                    Anna

 

Sono rimasta per un momento a fissare il vuoto con la lettera in una mano e la chiave nell'altra, poi mi sono decisa ad aprire il cofanetto, che non conteneva poi molto: una manciata di fotografie, qualche lettera, piccoli oggetti ricordo raccattati qua e là, un semplice braccialetto e un paio di piccoli orecchini che ricordavo di aver visto spesso addosso a mia sorella.

Nelle foto, un uomo sconosciuto, da solo oppure ritratto accanto a mia sorella chissà dove, e in cima al tutto, ben visibile, un biglietto con un nome ed il numero di un telefono cellulare.

Così, Anna aveva avuto un amante. Questo mi rendeva comprensibile ciò che poco prima mi era apparso in contrasto con il suo stile di vita abituale: solo per lui, e non per Alfredo, doveva aver indossato quei vestiti che non le avevo mai visto addosso nelle occasioni familiari, e quei capi di biancheria così raffinati, magari quando usciva da sola per andare a teatro, luogo dove del resto il marito non l'aveva mai accompagnata non condividendo lo stesso interesse? Forse lì si era incontrata con un altro, o il teatro era stato spesso un alibi per andare poi altrove….

Di certo non l'avrei mai saputo, se la malattia non avesse annientato mia sorella in pochi mesi, ma ora Anna aveva scaricato sulla mia coscienza tutto il peso della sua doppia vita.

Che fare? Di certo Alfredo e i figli dovevano essere totalmente all'oscuro di tutto, e ormai non avrebbe avuto alcun senso informarli di quanto avevo appena saputo, distruggendo la memoria della loro adorata moglie e madre.

Ho portato perciò a casa mia il cofanetto chiuso a chiave, e il giorno dopo ho telefonato a quel numero di cellulare.

“Sono la sorella di Anna” ho detto soltanto alla sconosciuta e profonda voce maschile che ha risposto.

“La sorella di Anna? Ma…”

“Mi scusi, io sto semplicemente eseguendo l'ultimo desiderio di mia sorella. Lei…lei lo sa che Anna è morta, vero?” ho domandato poi esitante, perché improvvisamente sono stata colta dal pensiero che lo sconosciuto potesse anche essere ancora all'oscuro della notizia.

“Sì, sono riuscito ad avere informazioni, in qualche modo. Non l'avevo più vista dopo che era andata in ospedale, naturalmente, ma sapevo che non avrebbe potuto farcela… Anna le aveva mai detto qualcosa di me?”

“No. Ho solo l'incarico di consegnarle un oggetto da parte sua, se desidera riceverlo.”

“Certamente!”

Così ci siamo dati appuntamento in un bar del centro.

L'uomo mi aspettava già quando sono arrivata, mi ha chiesto se potevamo parlare di Anna e ho capito che desiderava ardentemente sapere qualcosa delle ultime settimane di vita di mia sorella: mentre raccontavo, le sue mani si muovevano con nervosismo, tormentando la tazzina sul tavolino del bar, finché le ho viste poi tremare mentre si posavano sugli oggetti contenuti nel cofanetto.

“Anna aveva conservato tutto…”ha mormorato a bassa voce l'uomo sfiorando le foto con la punta delle dita.

Non sapevo che dire. Stavo scoprendo che nella vita di mia sorella c'era stato un legame segreto che doveva essere stato sicuramente profondo, stando a quel poco che potevo intuire, ma non ero molto sicura di volermi addentrare nei particolari: dopotutto, non erano affari miei.

Come se mi stesse leggendo nel pensiero, l'uomo ha alzato gli occhi dalle fotografie che stava guardando e ha mormorato lentamente:

“Sei anni. Lei potrebbe stentare a crederlo, ma ci siamo amati all'insaputa di tutti per sei anni. Anna aveva un marito, io ho una moglie, sapevamo entrambi di sbagliare, eppure l'attrazione reciproca era più forte di tutto. Abbiamo commesso delle vere pazzie, a volte…Ma poi la morte è stata superiore anche a quell'amore assurdo e me l'ha portata via.”

“Non avrei mai immaginato che mia sorella potesse fare una cosa simile. Ma forse non la conoscevo abbastanza bene.

L'uomo ha scosso il capo: ”Non dica così. E' una cosa che ci è capitata all'improvviso, senza che fossimo andati a cercarla. Ci siamo conosciuti per caso, ed è stato un vero colpo di fulmine per tutti e due…una follia che ci ha trasformati completamente. E adesso, Anna non c'è più e a me resta solo questo!” ha concluso indicando il cofanetto.

“Ma è stata davvero gentile a telefonarmi per farmelo avere, non so come ringraziarla, davvero.

Forse non era il caso di continuare quella conversazione, così penosa ed imbarazzante per entrambi, e mi sono alzata per congedarmi.

“L'ho fatto per mia sorella, non potevo negarglielo, ma ormai penso che non abbiamo più nulla da dirci.

Io preferisco non sapere altro, sono cose che non mi riguardano.

Non ho mai più rivisto quell'uomo, di cui non conosco nemmeno il nome completo o l'indirizzo, e non ho la più pallida idea di dove viva, di che lavoro svolga o di come sia composta la sua famiglia, ma talvolta mi chiedo se il tempo stia mitigando il dolore che ricordo di aver letto sul suo volto in occasione del nostro unico incontro,     e quando mi accade di nominare Anna con Alfredo ed i nipoti, non posso mai fare a meno di pensare che non siamo i soli a vivere momenti di tristezza e di rimpianto per lei.

Ed ora, mentre bevo il mio caffè guardando i vetri rigati di pioggia, mi rendo conto che è davvero  molto pesante, a volte, convivere con il segreto che Anna ha voluto lasciarmi in eredità, ma credo che questo sia il mio unico modo per ripagarla, sia pure tardivamente, del fatto di essere stata per lei una pessima sorella maggiore.

 

 
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