Un
regalo di Natale molto speciale
di
Piera Maria Chessa
Era
ormai tardi, bisognava andare a dormire, ma Ferruccio, quella sera,
non aveva proprio voglia di riposare. Col papà Diego e la
mamma Sandra aveva appena guardato alla televisione il telegiornale,
dove in un servizio ricordavano ciò che era avvenuto
esattamente un anno prima in Trentino, luogo in cui loro vivevano,
quando la tempesta Vaia, con le sue terribili piogge, aveva procurato
la caduta di un numero impressionante di alberi, raccontavano anche
che cosa in quell'anno appena trascorso era stato fatto, e com'era
ora la situazione, soprattutto nella foresta di Paneveggio, forse la
zona più colpita dell'intera regione.
Ferruccio,
che aveva solo nove anni ma una maturità straordinaria per la
sua età, non aveva perso una virgola dell'intero servizio, e
generoso com'era non si dava pace, nutrendo già per la natura
un amore sconfinato. La mamma e il papà cercavano di
rasserenarlo spiegandogli che ci sarebbe voluto ancora tanto tempo ma
che non bisognava disperare, in qualche modo avrebbero trovato delle
soluzioni.
Lui,
che leggeva già tanto e di tutto, rivolgendosi ai genitori
aveva detto:" Ma sapete quanto tempo occorre perché un
albero abbattuto possa essere sostituito, non cresce mica in un
giorno! Quanti anni passeranno? E ora ne è trascorso uno
soltanto... Io, che sono un bambino, diventerò un ragazzo, e
poi un uomo come te, papà, prima che tutti i nuovi alberi
diventino grandi come quelli caduti. E' una cosa terribile!"
I
suoi genitori non trovarono parole per replicare, e rimasero in
silenzio, Ferruccio aveva ragione. Tutti e tre, dispiaciuti, andarono
a dormire.
Si
era a fine ottobre, il tempo passava veloce e dicembre non tardò
ad arrivare, il Natale era ormai vicino. Ferruccio non vedeva l'ora,
lo aspettava con impazienza, come tutti i bambini della sua età,
ma la sua testolina sempre attiva non smetteva di lavorare.
Soprattutto in quegli ultimi due mesi, quante volte aveva ripensato
alla tempesta Vaia e ai danni che aveva procurato!
Era
figlio unico, avrebbe desiderato tanto un fratello o una sorella, ma
non erano mai arrivati, in compenso lui "era venuto su bene",
come dicevano gli amici dei suoi genitori, che col tempo se n'erano
fatti una ragione. Erano soddisfatti della loro vita e fieri di avere
un figlio così. Ne capivano le necessità e lasciavano
che si circondasse di amici; per questo motivo la loro casa e il loro
giardino erano sempre molto "vissuti" e colmi di voci
infantili che si rincorrevano.
Verso
la metà di dicembre, come tutti gli anni, Ferruccio scrisse la
sua lettera di Natale. In realtà, da qualche tempo, pur avendo
solo nove anni, aveva smesso di credere alle belle favole e ai bei
doni che sarebbero dovuti arrivare chissà da dove sulla slitta
trainata dalle renne. Era stato purtroppo un suo compagno di scuola,
un po' più smaliziato degli altri, a prendersi la briga di
fugare ogni dubbio.
"Guardate
che a me l'ha detto il mio papà, lui è grande e non
dice bugie. E mi ha anche detto che non devo mai "farmi
illusioni", proprio così ha detto!"
E
fu così che Ferruccio e i suoi compagni quel giorno persero un
pezzetto della loro infanzia e di colpo diventarono un pochino più
vecchi.
Lui
non perse tuttavia la bella abitudine di scrivere la sua lettera, e i
nuovi destinatari diventarono i suoi genitori.
Lo
faceva di nascosto, alla sera, quando si ritrovava da solo nella sua
cameretta, e scriveva, scriveva... Raccontava di sè,
dell'affetto che provava per loro, di quelli che erano i suoi
desideri.
Ma
quella sera non concluse la lettera, in fondo aveva ancora del tempo,
voleva pensarci bene, magari nei giorni successivi gli sarebbe venuta
qualche buona nuova idea sui regali da chiedere.
Andò
a dormire sereno, soddisfatto di ciò che aveva già
scritto. Il tepore della sua camera, e soprattutto del suo letto, gli
conciliarono il sonno.
"Che
freddo", disse Ferruccio, "perché sento tutto questo
freddo? Mamma, ho la febbre!"
Aprì
gli occhi spaventato, guardandosi intorno e cercando sua madre, ma
intorno a sè vide soltanto buio. Che cosa stava succedendo?
"Ho
paura, mamma, dove sei?", chiese sottovoce. Ma la mamma non
c'era.
Per
fortuna, lentamente, incominciava ad albeggiare. Sempre più
preoccupato continuò a scrutare intorno. Si trovava in un
bosco da solo, disteso vicino a dei grossi sassi, e percepiva sotto
di sè il freddo della terra umida. Si mise seduto e guardò
meglio. Vi era tanto verde, era l'erba cresciuta in quei giorni di
pioggia. Guardò verso l'alto. Quanti alberi! Li riconobbe,
erano i suoi amati abeti, e poi tanto muschio intorno che ricopriva i
sassi. Si alzò per sgranchirsi le gambe, si sentiva
indolenzito e sempre più infreddolito, meravigliato per quel
che stava vivendo. A un certo punto sentì, sugli alberi che lo
circondavano, il trillo di un uccello, subito dopo lo vide accanto a
sè. Aveva il piumaggio rosso e verde, e lo osservava
incuriosito emettendo un verso che a Ferruccio parve molto melodioso.
Forse era il suo modo consueto di salutare, così pensò.
Ma non fece in tempo ad abituarsi a quella singolare compagnia che
d'improvviso avvertì uno strano brusio che, a mano a mano che
si avvicinava, diventava più forte. La luce dell'alba, che ora
filtrava tra i rami degli abeti, gli permise di vedere meglio.
Su
un sentiero ricoperto d'erba avanzavano decine e decine di minuscoli
ometti luminosi, così parvero a Ferruccio, poi, quando
arrivarono ormai a pochi passi da lui, capì che si trattava
del colore dei loro striminziti abitini gialli. Si posizionarono
intorno formando un ampio cerchio, uno di loro si fermò nel
mezzo. Sempre più sbalordito, Ferruccio sentì il suo
cuore che batteva forte. L'omino al centro, forse il capo, o forse il
più anziano del gruppo, prese solennemente la parola. La sua
voce era quasi un bisbiglio, gentile ma ugualmente ferma.
"Ciao,
ragazzo, ci presentiamo subito, siamo l'esercito degli Omini gialli e
viviamo in questi boschi da tanto tempo, secoli o millenni, questo
non te lo so dire, posso però dirti che non abbiamo età,
non festeggiamo i compleanni, come fate invece voi umani, e rimaniamo
sempre uguali a noi stessi. Vedi, siamo piccoli piccoli, ma non
invecchiamo mai. Abbiamo un compito ben preciso, quello di difendere
questi boschi straordinari, ci opponiamo alla natura, quando diventa
matrigna, ma l'aiutiamo quando ha bisogno di noi. E soprattutto
quando dobbiamo difenderla dagli uomini. Siamo molto piccoli, ma
anche numerosi, e uniamo le nostre forze. Proprio come fanno le
formiche, così capaci di trasportare persino grossi pesi.
Quando ritornerai a casa, dovrai dire ai tuoi amici, ma soprattutto
agli adulti, i più pericolosi, di non fare del male alla
natura, perché non rispettandola fanno male innanzitutto a se
stessi. Sono grandi e grossi, mica come noi, ma privi di cervello.
Ora vai, e Buon Natale! Perdonaci se ti abbiamo spaventato.".
"Ferruccio,
dormi ancora? Guarda che si fa tardi, oggi non è domenica, si
va a scuola. Presto però potrai dormire a lungo, pochi giorni
e sarà Natale!".
"Ma
come? Dove sono? Quando sono tornato?" Ferruccio non si
capacitava, dunque, aveva solo sognato? Guardò la mamma con
uno sguardo perso, un po' il sogno, un po' la sorpresa lo avevano
completamente disorientato. Lei aspettò con pazienza che si
svegliasse per bene, doveva aver dormito profondamente quella notte.
Ma Ferruccio si riprese in fretta e incominciò a raccontarle
il suo strano sogno. Non lo avrebbe invece raccontato ai compagni,
forse lo avrebbero deriso, ma soprattutto voleva tenerlo per sè,
soltanto i suoi genitori avrebbero capito e non si sarebbero presi
gioco di lui.
Ora
avrebbe atteso il Natale con trepidazione, aveva ancora un impegno da
assolvere: la sua lettera non era conclusa; quella sera stessa, prima
di andare a dormire, avrebbe chiesto ai suoi genitori i due regali
per lui più belli.
In
fondo non abitavano poi così lontano dalla foresta di
Paneveggio, desiderava tanto vederla, dopo ciò che era
successo voleva accertarsi che, sia pure lentamente, le cose stessero
migliorando. Alla televisione ne avevano parlato ancora, ricordava
che qualcuno aveva fatto una proposta, quella di "adottare"
un albero. Avevano usato proprio quel verbo, come si fa con i
bambini, si disse, lui queste cose le sapeva, un suo compagno era
stato adottato.
Avrebbe
chiesto informazioni ai genitori, ecco, quello sarebbe stato un
regalo di Natale davvero speciale per lui, che voleva sinceramente
fare qualcosa per i suoi amati alberi.
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