Il
clan dei cattivisti
di
massimolegnani
Questi
non sono ragazzini ai primi ormoni, sai quelle tempeste a cui ancora
non sai dare un senso e un sesso. No, questi sono fancazzisti
stagionati, animali da bar temprati alla noia, allenati ai fallimenti
e abituati a barare su tutto quello che si impara. E loro hanno
imparato, stravaccati sulle seggiole, a spacciare per saggezza il
disprezzo che spargono a palate sopra i fragili e gli ingenui e a
contrabbandare per passatempo la cattiveria acida con cui condiscono
ogni gesto. In realtà sono tre balordi di bassa caratura e di
stupidità assortita, che passano le ore nel mio bar a
raccontarsi imprese fatte e a progettare nuove cazzate di cui
vantarsi. A me arrivano spezzoni di discorsi idioti, sufficienti a
capire il livello del loro cinismo scriteriato, l’ho
affiancato in moto, pedalava come un frullatore impazzito. Gli ho
dato una manata sulla spalla ed è finito come un missile nel
fosso a spaventar le rane. E giù un coro di risate
sguaiate.
Coglioni!
Ma
io non sono migliore di loro, m’incazzo e mi scandalizzo ma me
ne sto zitto perché mi fanno comodo i quattro soldi delle
consumazioni.
Dovrei
buttarli fuori a calci, invece li sopporto, ma qualche volta li
castigo in altro modo. Ora, per esempio, mi hanno ordinato tre birre
e io sto friggendo di rabbia ad ascoltare l’impresa del più
stronzo che fa l’autista d’autobus di linea. Mentre
faccio schiumare la birra nei boccali lui sta raccontando di come ha
chiuso le porte in faccia a una stravagante coppia anziana che aveva
corso per raggiungere la fermata ( lei una gonna a fiori lunga
fino ai piedi, un corpo mastodontico e due trecce grigie che
svolazzavano vezzose, lui mingherlino, baffi candidi e pochi capelli
ma, quei pochi, lunghi fino al culo. Era uno spasso come si
affannavano). Idiota!
Metto
le birre sul vassoio per portarle fuori ma sento che il bastardo va
avanti a raccontare: dopo 100 metri mi sono fermato come li avessi
visti solo in quel momento e loro di nuovo a correre come disperati.
Naturalmente quando credevano di avercela fatta sono ripartito. Ahah,
ho ripetuto la scena per tre volte e loro, quei figli dei fiori
appassiti, ci sono cascati ogni volta.
A
quelle parole mi blocco in mezzo al locale, giro sui tacchi e vado al
cesso. Appoggio il vassoio sul pavimento e rabbocco i boccali col mio
getto, biondo su biondo ci sta bene.
Servo
le birre e sto lì fuori a rassettare gli altri tavolini. I tre
amici brindano in allegria all’ultima avventura. Grandi risate
e grandi sorsate.
Bravi,
imbecilli, bevete di gusto, ve la meritate tutta una birra così.
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