Due
donne
di
massimolegnani
Oltre
mezzo secolo separa le rughe di Jolanda dai brufoli ostinati di
Jessica, la stanca vivacità dell’una dalla volubile
esuberanza dell’altra, ma loro due non badano all’anagrafe.
E nemmeno all’etichetta. Nel loro gioco di piccole
provocazioni, non sempre è la ragazzina a sbalordire la più
anziana. Lei ora ci prova con le scarpe appoggiate al tavolino,
l’altra si accende una sigaretta e, facendo gli occhi piccoli,
le soffia il fumo in faccia.
Eddai, nonna, lo sai che
quando torno a casa mamma mi annusa come un segugio per sapere se ho
fumato.
La nonna ridacchia e le scompiglia i capelli
ricci:
Bellamia, tua mamma ci vieta le stesse cose!
Quando mi viene a trovare la prima cosa che fa è spalancare le
finestre, sibilando un “hai fumato ancora quelle schifezze”
pieno di fastidio.
Jessica sbuffa: Accidenti, ma
perché la mamma è così vecchia?
Jolanda
si abbandona allo schienale liso del divano e parla stringendo tra le
labbra la sigaretta senza filtro, incurante della cenere che le cade
sulla blusa:
Più che vecchia, intendevi dire
antiquata, intransigente, severa. Vero?
Sì, vabbè,
mi hai capita lo stesso. La mamma sono più le cose che mi
proibisce di quelle che mi permette.
Mettiamola così: in
famiglia ci vuole qualcuno con la testa sulle spalle e quel qualcuno
non sono io e nemmeno tuo padre sempre distratto da mille cose. Tua
mamma, nonché mia figlia, si sente responsabile per te e anche
per me. È il suo ruolo e noi glielo lasciamo
volentieri.
Jessica s’accuccia in grembo alla
nonna quando questa finalmente spegne il mozzicone:
Ma
io ho quindici anni e lei mi tratta ancora come una bambina. Niente
fumo, niente motorino, per non parlare di Jonathan che ogni volta
devo trovare una scusa per vederlo. Che palle!
Ti piace
sempre quel ragazzino?
Non è “quel
ragazzino”, è il più fico della terza C.
Il
più fico! Che espressione azzeccata. Io avrei impiegato cento
parole, a suo tempo, per descrivere quello che tu dici con
tre.
Nonna, mi prendi in giro?
No, no, piccina.
Io avrei parlato di attrazione e di orgoglio, di ormoni innominabili
in subbuglio e non solo i suoi, della bellezza maschile, perché
l’uomo quando è bello è bello tanto, di slanci e
freni che non sempre frenano. Tu dici il più fico e sento
l’orgoglio del possesso, non solo il dato oggettivo.
Già,
ma intanto tra i brufoli che avanzano e i divieti della mamma, ho
paura che Gei si stufi di me.
Hai
fatto caso che io, te e lui, abbiamo la stessa iniziale? E la J non è
una lettera tanto consueta, vorrà pur dire qualcosa!
Non
capisco, nonna. Cosa vuoi dire?
Forse
è il segno di una complicità naturale tra noi tre.
Tra
me e te, di sicuro, ma che complicità ci può essere tra
te e Jonathan se nemmeno lo conosci?
Beh ho un’idea che mi
frulla in testa da qualche giorno. Preparo un the e intanto te la
dico.
Nonna non darmi la solita schifezza riscaldata dal
mattino. La mamma dice che hai le mani bucate, ma non sa che sei
taccagna come un riccio e ricicli la stessa bustina per tre
giorni.
Ahahah, non sono taccagna. Faccio piccole economie
per poter spendere e spandere in cose superflue. Ma oggi bustina
nuova, per festeggiare.
Che cosa dobbiamo festeggiare?
La
mia idea, è ovvio.
A Jolanda brillano gli occhi
e tremano un poco le mani mentre tira fuori le tazze dalla credenza.
Jessica è rimasta sul divano, ma si è messa seduta e la
segue con lo sguardo, incuriosita.
Dai, nonna, dimmi,
sto friggendo. È una cosa importante, lo sento.
Jolanda
picchietta un’altra Chesterfield sul pacchetto e se
l’accende.
Oggi ti cedo il mio soggiorno.
E
che me ne faccio? Non capisco.
Mah, puoi fare una dormita
sul divano…oppure puoi spartirlo con il più fico del
reame.
Jessica schizza in piedi, sgranando gli
occhi:
Davvero ci lasci? Io e lui da soli? E tu?
Io
me ne starò in camera da letto con la radio accesa.
Nonna
sei una forza!
Dai, manda un messaggio al tuo Jon, che
aspetti?
Sì, sì, ma…
MA
cosa? Cos’è questo rossore?
Io non l’ho
mai fatto prima e non so...
Bellamia, vieni qua, fatti
abbracciare. Cos’hai capito, che ti butto in pasto al tuo
ragazzo?
Bè, lui vorrà approfittare che
siamo soli e forse anch’io.
Voglio solamente che tu
e lui ve ne stiate in un posto sicuro e tranquillo per scambiarvi
quattro carezze e qualche bacio. Io mi fido di te, so che non andrai
oltre un certo limite.
Ma se lui insiste?
Sono sicura
che te la saprai cavare. Non sei una che si faccia mettere i piedi in
testa tanto facilmente.
No, ma con lui è diverso, non
voglio deluderlo.
Lo deludi se capisce che fai quello che vuole
lui e non quello che desideri tu.
Mmhm.
Per far
l’amore-amore c’è tempo.
E poi non so neanche
se gli piacerò.
Uhh, quante sciocchezze. Ti preparo
l’acqua per un bagno profumato. E poi ti aiuterò a
truccarti.
Dopo qualche incertezza Jessica manda un
messaggio al suo ragazzo che non tarda a rispondere.
Jonathan
dice che passerà tra un’ora e mezza.
Dai, hai tutto
il tempo di farti bella. Entra in acqua, ti aiuto a lavarti la
schiena.
Azzo, scotta!
Certo, prima devi
diventare rossa come un’aragosta. Dopo avrai la pelle liscia e
vellutata. Sarai uno schianto.
Sarà! A me sembra di
essere la rana prima che diventi principessa.
Quello era
il ranocchio che diventa principe.
Beh, io mi sento tanto
rana e non diventerò mai figa.
Ma dimmi te se mi
doveva capitare una nipote così stupida. Guardati. Hai un
fisico da modella e una bocca che sembra un cuoricino. T’invidio,
sai. Con cinquant’anni di ritardo t’invidio con tutta me
stessa. Avessi avuto io il tuo fisico, accidenti!
Cosa avresti
fatto, nonna, con il mio fisico? Strage di uomini?
Ecco, brava,
ridacchia. A parte che una piccola strage l’ho fatta comunque,
ma se mi dici così vuol dire che sai di essere carina. La tua
è solo una posa tanto per farti coccolare.
Beh, un
po’ sì e un po’ no. So di non essere brutta, ma
non sono sicura di piacere. E poi mi piace come ti arrabbi.
Se
non altro ti ho fatto tornare il buon umore.
Ma
tu com’eri alla mia età? Li guardavi i ragazzi?
Oh,
li guardavo, eccome. Non ero propriamente una brava ragazza.
Scalpitavo.
Nonna mi sta venendo un sonno pazzesco.
Anche a me, dev’essere tutto questo vapore.
Conoscevi già
il nonno?
Per carità. Il nonno, pace all’anima sua,
mi ha conosciuta più tardi, quando mi ero data una calmata. Ma
prima di lui mi sono proprio divertita.
Nonna, raccontami. Ma
prima fammi uscire, mi viene troppo da dormire.
Non
capisco, anch’io ho la testa pesante. Sì, è
meglio che esci dall’acqua.
Ecco,
dev’essere andata più o meno così quel
pomeriggio.
Le abbiamo trovate a sera, stese sul pavimento
del bagno, quasi abbracciate. Sembrava che dormissero.
Una
figlia, per un padre, è uno spettacolo speciale a cui assisti
a bocca aperta, è una commedia in cui talvolta hai pretese di
regista che imbrigli esuberanza ed estro della protagonista.
Una
figlia, finchè è viva.
Dopo, è solo
una tragedia che ferma il tempo, un atto unico che rivedi
all’infinito. Dopo, è rammarico e rimpianto.
Ho
passato gli ultimi otto anni a esaminare tracce grandi e piccole che
Jessica aveva lasciato del suo passaggio, considerazioni
scarabocchiate in fretta sul quaderno tra un problema e un compito di
storia, brevi frasi su foglietti che ho ritrovati nello zaino o nei
cassetti tra mutandine e reggiseni. Una metà delle parole
inneggia a Jonathan, la sua passione di quei mesi, le J intrecciate,
cuori disegnati ovunque, faccine stilizzate. Qualche frase, spesso
sferzante, è dedicata a noi, i genitori, altre stranamente si
riferiscono a sua nonna per la quale mostra un attaccamento che non
m’aspettavo.
Ma
non è questo il punto, non sto facendo un bilancio degli
affetti e delle incomprensioni.
Otto anni sono trascorsi
immobili da quel maledetto dieci settembre, era tempo che
ricostruissi la vita di mia figlia, anziché limitarmi a
piangerla.
Io, per qualche ora almeno, ho voluto di nuovo
la commedia scordando la tragedia. L’ultimo atto mi premeva
soprattutto, quello in cui non c’ero, senza dargli la gravità
che spetterebbe alla conclusione. Con l’aiuto
dell’immaginazione ho riscritto passo a passo la sceneggiatura
di quel pomeriggio dalla nonna, figurandomi la loro differente
leggerezza.
Così ho rivisto Jessica. Sembrava che
dormisse, con quel lieve sorriso sulle labbra, come se la morte fosse
solo un sonno necessario per poi proseguire la commedia.
Nessuna
tragedia, no.
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