Il
passero Cippetto e la gatta Stellina
di
Lorenzo De Ninis
Un
giorno, un passerotto, ai primi voli, rimase imprigionato nella
nostra terrazza. Non riusciva a spiccare il volo oltre la balaustra.
Sul tetto di fronte una famiglia di passeri cinguettava
disperatamente. Lo presi delicatamente, lo feci accarezzare da mia
figlia e poi lo lanciai in aria per dargli la spinta. Lui prese il
volo, ma non andò molto lontano, non riuscì a
raggiungere i suoi fratelli sul tetto. Atterrò nel giardino
del condominio, dove subito fu preda di un gatto. Mia figlia scoppiò
in lacrime, corse in camera, dove continuò a piangere. Per
consolarla le raccontai quello che era successo a me tanti tanti anni
prima.
Avevo
otto anni. Mi divertivo a catturare uccelli. Mettevo una gabbietta,
cosparsa all'interno di briciole, con la porticina aperta, legata ad
un filo, nella stanza adibita a magazzino. Spalancavo la finestra, e
attendevo. Arrivavano uccelli d'ogni specie, beccavano un po'
dappertutto, entravano anche nella gabbietta per prendere i pezzetti
di pane. Allora ero pronto a tirare la cordicella della porticina che
si chiudeva. Osservavo gli uccelli, li prendevo in mano, lisciavo le
loro penne, e poi li rimettevo in libertà.
Un
giorno si infilò nella gabbia un passerotto, che mi intenerì
per la sua timidezza e bellezza. Lo presi in mano, e sentii il suo
cuore che batteva forte. Aveva paura. Lo accarezzai dolcemente, gli
offrii una briciola di pane, una goccia d'acqua e lo rimisi nella
gabbia. Fuori con quei gattacci che giravano nei dintorni, non
sarebbe vissuto a lungo.
Decisi
di tenermelo.
Mi
procurai una gabbia più grande, la pulii accuratamente e la
destinai a sua dimora.
Chiamai
il passero Cippetto.
Passavo
ore con lui, finita la scuola, e tante volte non svolgevo tutti i
compiti. Gli parlavo, e sembrava che mi capisse, muovendo il capo e
facendo cip cip.
Un
giorno arrivò il grande momento.
Aprii
la gabbia per pulirla, lui si fece prendere senza fare resistenza, e
cinguettando mi diede una leggera beccata sul dito. Lo appoggiai
sulla tavola e non volò via! ma saltellò, beccò
qualche briciola e tornò sulla mia mano. Lo accarezzai, lui di
nuovo cantò cip cip e si fece un altro giretto, muovendosi con
eleganza sulle gracili zampette. Non credevo ai miei occhi. Pulii
velocemente la gabbietta, aprii la porticina, e lui cip cip vi tornò
dentro. L'avevo addomesticato, ero felice.
Quella
scena si ripeteva ogni giorno. Stavo molto attento quando aprivo la
gabbia. Verificavo se nei paraggi ci fosse la gatta Stellina,
spietata cacciatrice di topi e uccelli. Da quando era entrata in casa
nostra, dopo lo sfollamento, non si vide più un topo in giro.
Aveva i piedi e la punta della coda bianchi, il pelo maculato e una
stellina bianca in fronte.
Consapevole
del pericolo che passava Cippetto, quando mi dedicavo alle operazioni
di pulizia, chiudevo la porta della cucina e del balcone.
Un
triste giorno, di pomeriggio, ero solo in cucina, e, come al solito,
parlavo con Cippetto, gli davo da mangiare, lo accarezzavo,
facendogli i complimenti per la sua bellezza. E lui mi ringraziava
con canori cip cip, saltellando, svolazzando sul tavolo, quando
all'improvviso un lampo bianco e nero mi passò vicino alla
spalla ed afferrò il passerotto: era la gatta, che rapida si
dileguò con un agile salto fuggendo per le scale. Rimasi
imbambolato, incredulo: avevo lasciato aperta la porta della cucina.
Gridai disperato:
-Stellina,
ridammi Cippetto!-
Poi
piansi.
Pieno
d'ira e desideroso di vendetta mi armai di bastone, deciso a punire
la gatta con la morte. Mi aggirai dappertutto, ispezionai tutti i
suoi posti preferiti, in modo particolare la legnaia, dove aveva
partorito varie volte i suoi micetti.
La
ricerca fu inutile. Stellina aveva capito che non doveva farsi vedere
per un bel po'.
Infatti
riapparve una decina di giorni dopo, quando m'era passata la voglia
di vendicarmi, all'ora di pranzo.
Si
avvicinò a mio padre e miagolando, gli chiese del cibo,
tirandogli, come sempre, con le unghie, l'orlo dei pantaloni.
Ma
giunse l'ultima ora anche per lei che cercava di catturare le
rondini, che avevano costruito i nidi sotto il balcone, facendo
scattare la zampa fuori dalle sbarre della ringhiera. Si ammalò
di rogna, e per evitare il pericolo di contagio si pensò fosse
opportuno ammazzarla. Ero contrario. Protestai piangendo.
La
infilarono in un sacco e l'uccisero con un colpo di fucile. Scavarono
una buca nell'orto sotto il noce e la seppellirono lì.
|