Il
tesoro dei poveri
di
Gabriele D’Annunzio
C'era
una volta, non so più in quale terra, una coppia di
poverelli.
Ed erano, questi due poverelli, così miseri
che non possedevano nulla, ma proprio nulla di nulla.
Non avevan
pane da mettere nella madia, nè madia da metter vi pane.
Non
avevano casa per mettervi una madia, nè campo per
fabbricarvi casa.
Se avessero posseduto un campo, anche grande
quanto un fazzoletto, avrebbero potuto guadagnare tanto da
fabbricarvi la casa.
E se avessero avuto la madia, è
certo che in un modo o in un altro, in un angolo o in una
fenditura, avrebbero potuto trovare un pezzo di pane o almeno una
briciola.
Ma non avendo nè campo, nè casa, nè
madia, nè pane, erano in verità assai tapini.
Ma
non tanto del pane lamentavano la mancanza, quanto della
casa.
Del pane ne avevano abbastanza per elemosina; e qualche
volta avevano anche un po' di companatico, e qualche
volta anche
un sorso di vino.
Ma i poveretti avrebbero preferito rimanere
sempre a digiuno, e possedere una casa dove accendere qualche
ramo secco e ragionar placidamente dinanzi alla brace.
Quel
che vi ha di meglio al mondo, in verità, a preferenza anche
del mangiare, è posseder quattro mura per ricoverarsi. Senza
le sue quattro mura, l'uomo è come una bestia errante.
E
i due poverelli si sentivano più miseri che mai, in una
sera triste della vigilia di Natale: triste soltanto per loro,
poichè tutti gli altri in quella sera hanno il fuoco nel
camino e le scarpe quasi affondate nella cenere.
Come si
lamentavano e tremavano, su la via maestra, nella notte buia,
s'imbatterono in un gatto che faceva un miagolìo roco e
dolce.
Era, in verità, un gatto misero assai, misero
quanto loro, poichè non aveva che la pelle sulle ossa e
pochissimi peli sulla pelle.
S'egli avesse avuto molti peli
sulla pelle, certo la pelle sarebbe stata in migliori
condizioni.
Se la sua pelle fosse stata in condizioni migliori,
certo non avrebbe aderito così strettamente alle ossa.
E
s'egli non avesse avuto la pelle aderente alle ossa, certo
sarebbe stato forte abbastanza per pigliar topi e per non
rimanere così magro.
Ma, non avendo peli, ed avendo
invece la pelle sulle ossa, egli era in verità un gatto
assai meschinello.
I poverelli son buoni e s'aiutano fra loro.
I
due nostri dunque raccolsero il gatto, e neppur pensarono a
mangiarselo; chè anzi gli diedero un po' di lardo che avevano
avuto per elemosina.
Il gatto, com'ebbe mangiato, si mise a
camminare dinanzi a loro e li condusse a una vecchia capanna
abbandonata.
C'eran là due sgabelli e un focolare, che un
raggio di luna illuminò un istante, e poi sparve.
Ed
anche il gatto sparve col raggio di luna, cosicchè i due
poverellì si trovaron seduti nelle tenebre, innanzi al
nero focolare, che l'assenza del fuoco rendeva ancor più nero.
-
Ah! - dissero - se avessimo appena un tizzone!
Fa tanto freddo!
E sarebbe tanto dolce scaldarsi un poco e raccontare favole!
Ma,
ahimè l non c'era fuoco nel focolare, poichè essi erano
miseri; in verità, assai miseri.
D'un tratto due carboni
si accesero in fondo al camino: due carboni gialli come l'oro.
E
il vecchio si fregò le mani in segno di gioia, dicendo alla
sua donna:
- Senti che buon caldo?
- Sento, sento! -
rispose la vecchia.
E distese le palme aperte dinanzi al
fuoco.
- Soffia ci sopra, - ella soggiunse. - La brace farà
la fiamma.
- No, - disse l'uomo. - si consumerebbe
troppo presto.
E si misero a ragionare del tempo passato,
senza tristezza, poichè si sentiva n tutti ringagliarditi
dalla vista dei due tizzoni lucenti.
I poverelli si contentan di
poco e son più felici. I nostri due si rallegrarono, fin
nell'intimo cuore, del bel dono di Gesù Bambino, e resero
fervide grazie al Bambino Gesù.
Tutta la notte
continuarono a favoleggiare scaldandosi, sicuri ormai d'esser
protetti dal Bambino Gesù, poichè i due carboni
brillavan sempre come due monete nuove, e non si consumavano
mai.
E, quando venne l'alba, i due poverelli che avevano avuto
caldo e agio tutta la notte, videro in fondo al camino il povero
gatto che li guardava con i suoi grandi occhi d'oro.
Ed essi non
ad altro fuoco s'erano scaldati, che al baglior di quegli occhi.
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