L’equazione
della bellezza
di
massimolegnani
Camillo
uscì dalla questura con un nulla di fatto. Non aveva
identificato, mescolata ad altre figure, l’autrice del furto
che aveva subito qualche tempo prima: era stata una questione di
attimi, lui che stava rientrando in casa, lei una spallata a buttarlo
a terra per aprirsi la via di fuga. Era stato colto talmente di
sorpresa da non essere stato nemmeno capace di gridare al ladro, e
men che meno alla ladra, anche se si era accorto subito che si
trattava di una donna, nonostante questa avesse un berretto calato
sulla fronte e una sciarpa tirata fin sugli occhi. Ecco, quegli occhi
azzurri e spiritati li avrebbe riconosciuti fra mille, per questo
aveva sporto la denuncia sebbene dall’appartamento non fossero
stati sottratti oggetti di valore, spiccioli dimenticati sul tavolo,
un paio di occhiali da sole, qualche vecchio cd e poco altro.
Quando
lo avevano contattato dalla questura perché avevano fermato un
elemento sospetto e chiedevano la sua collaborazione per
l’identificazione, lui era stato sollecito nel presentarsi alle
autorità, ben intenzionato a portare il proprio contributo
alla giustizia. Nello stanzone Camillo era in ombra e di fronte a
lui, sotto a delle luci accecanti, c’erano cinque donne di
varia provenienza e in diversi atteggiamenti. Le aveva osservate a
lungo facendo scorrere lo sguardo da un volto all’altro e
soffermandosi ora su una donna ora su un’altra,
indifferentemente. Alla fine aveva scosso la testa e con voce sicura
aveva affermato che tra quelle non c’era la sua ladra.
L’ispettore aveva provato a insistere, le guardi ancora con
attenzione, non sia precipitoso, gli aveva suggerito, ma lui si
era mostrato sicuro del fatto suo, così, a malincuore, era
stato congedato.
Mentre
tornava verso casa Camillo ripensò alla donna dagli occhi
azzurri e spiritati che aveva appena rivisto. L’aveva
riconosciuta subito ma qualcosa l’aveva trattenuto dal
denunciarla. È che aveva un viso inaspettato, privo di durezza
e sicuramente bello, di quella bellezza dolce dai lineamenti morbidi,
che a lui era sempre piaciuta. Gli tornò in mente un episodio
di quando era un bambino sui dieci anni, ancora privo di malizia.
Nella pagina di cronaca nera del Corriere aveva visto la foto
di una bella ragazza, l’articolo riferiva che era appena stata
condannata non ricordava più per quale crimine. E si ricordò
quanto avesse pianto leggendo la notizia, quanta irragionevole
disperazione avesse provato per il destino di quella donna. Nella sua
ingenuità era per lui impossibile che alla bellezza non
corrispondesse l’innocenza, la bontà. Non poteva che
trattarsi di un tragico errore giudiziario, era questo che lo
disperava.
Oggi
non poteva esserci alcun errore, la donna dagli occhi azzurri era
colpevole, lui lo sapeva bene, eppure l’antica equazione della
bellezza era riemersa con prepotenza dopo mezzo secolo di oblio e
aveva guidato con mano ferma il suo comportamento. Un comportamento
scorretto, illogico, decisamente immorale.
Ma
Camillo, tornando verso casa, non ne era affatto dispiaciuto.
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