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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  L’equazione della bellezza, di massimolegnani 10/01/2021
 
L’equazione della bellezza

di massimolegnani



Camillo uscì dalla questura con un nulla di fatto. Non aveva identificato, mescolata ad altre figure, l’autrice del furto che aveva subito qualche tempo prima: era stata una questione di attimi, lui che stava rientrando in casa, lei una spallata a buttarlo a terra per aprirsi la via di fuga. Era stato colto talmente di sorpresa da non essere stato nemmeno capace di gridare al ladro, e men che meno alla ladra, anche se si era accorto subito che si trattava di una donna, nonostante questa avesse un berretto calato sulla fronte e una sciarpa tirata fin sugli occhi. Ecco, quegli occhi azzurri e spiritati li avrebbe riconosciuti fra mille, per questo aveva sporto la denuncia sebbene dall’appartamento non fossero stati sottratti oggetti di valore, spiccioli dimenticati sul tavolo, un paio di occhiali da sole, qualche vecchio cd e poco altro.

Quando lo avevano contattato dalla questura perché avevano fermato un elemento sospetto e chiedevano la sua collaborazione per l’identificazione, lui era stato sollecito nel presentarsi alle autorità, ben intenzionato a portare il proprio contributo alla giustizia. Nello stanzone Camillo era in ombra e di fronte a lui, sotto a delle luci accecanti, c’erano cinque donne di varia provenienza e in diversi atteggiamenti. Le aveva osservate a lungo facendo scorrere lo sguardo da un volto all’altro e soffermandosi ora su una donna ora su un’altra, indifferentemente. Alla fine aveva scosso la testa e con voce sicura aveva affermato che tra quelle non c’era la sua ladra. L’ispettore aveva provato a insistere, le guardi ancora con attenzione, non sia precipitoso, gli aveva suggerito, ma lui si era mostrato sicuro del fatto suo, così, a malincuore, era stato congedato.

Mentre tornava verso casa Camillo ripensò alla donna dagli occhi azzurri e spiritati che aveva appena rivisto. L’aveva riconosciuta subito ma qualcosa l’aveva trattenuto dal denunciarla. È che aveva un viso inaspettato, privo di durezza e sicuramente bello, di quella bellezza dolce dai lineamenti morbidi, che a lui era sempre piaciuta. Gli tornò in mente un episodio di quando era un bambino sui dieci anni, ancora privo di malizia. Nella pagina di cronaca nera del Corriere aveva visto la foto di una bella ragazza, l’articolo riferiva che era appena stata condannata non ricordava più per quale crimine. E si ricordò quanto avesse pianto leggendo la notizia, quanta irragionevole disperazione avesse provato per il destino di quella donna. Nella sua ingenuità era per lui impossibile che alla bellezza non corrispondesse l’innocenza, la bontà. Non poteva che trattarsi di un tragico errore giudiziario, era questo che lo disperava.

Oggi non poteva esserci alcun errore, la donna dagli occhi azzurri era colpevole, lui lo sapeva bene, eppure l’antica equazione della bellezza era riemersa con prepotenza dopo mezzo secolo di oblio e aveva guidato con mano ferma il suo comportamento. Un comportamento scorretto, illogico, decisamente immorale.

Ma Camillo, tornando verso casa, non ne era affatto dispiaciuto.



 
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