Il
mondo oltre la collina
di
massimolegnani
Camillo,
mentre guidava senza meta nella pioggia, l’andatura lenta e i
vetri appannati a isolarlo in una bolla, immaginava di superare il
Monferrato, valicare l’Appennino, puntare deciso verso il mare
per raggiungere una verginità di volti e borghi da fare suoi.
A dir la verità lui non amava il mare, tanto meno la
Liguria, così difficile da ritrovare autentica tra gli
aperitivi di Alassio e i condomini anni 60 di Camogli, quello che
inseguiva era altro dai luoghi che sapeva. Sperava di arrivare oltre
la pioggia, appena prima della costa, alla quiete di panni stesi nei
paesi da un lato all’altro della strada, ai colori differenti
delle case, ocra o rosso pompeiano un po’ scrostati, alle
imposte verdi aperte verso il basso come palpebre annoiate, al
bianchetto al banco di un oste con la barba di tre giorni e un
sorrisetto consapevole. Quanto
è distante il mare?
gli avrebbe chiesto, dopo un silenzio sufficiente, contando su una
risposta che non fosse di chilometri e mere indicazioni su una carta
stradale. E l’oste l’avrebbe accontentato: Quel
che basta per non vederlo ma saperlo appena oltre. Qui a sera arriva
il sale, sperso nell’aria come nell’acqua della pasta.
Camillo,
allora, con il bicchiere in mano, sarebbe andato fin sulla porta,
scostando le listarelle di brutta plastica sgargiante: nella
piazzetta ormai in ombra quattro ragazzetti inseguivano un pallone
tra pugni e parolacce urlate per sembrare grandi, da qualche punto
indefinito irrompeva una musica sguaiata, pochi corvi volteggiavano
gracchiando dove avresti voluto vedere dei gabbiani, una ragazza di
troppa carne e poca stoffa portava in giro un ombelico tremolante.
Spettacoli incresciosi di piccole indecenze.
Eppure…
…eppure lui avrebbe sorseggiato il vino acidulo e
annusato l’aria inseguendo l’idea del sale.
E
per quella scia salmastra appena percettibile, per quell’aria
nuova che invisibile gli riempiva gli occhi e i bronchi, per quel
sentirsi parte di qualcosa, avrebbe perdonato l’ombelico e la
musica burina, avrebbe assolto i corvi, le listarelle orrende e
l’eccesso delle grida. Sì, avrebbe perdonato a sé
il proprio snobismo malcelato e al luogo ogni difetto, ogni
stonatura, in cambio e in nome di quella pace misteriosa che gli
scendeva dentro insieme al vino bianco, non certo dei migliori.
Rivolto all’oste avrebbe chiesto un altro bicchiere domandando
se fosse Pigato o Sciacchetrà e quello allora avrebbe versato
da bere per entrambi con una risata franca che annullava ogni nobiltà
di nome al loro vino. I gomiti a fronteggiarsi sul bancone poco
lustro, avrebbero taciuto per un tempo lungo e necessario, quindi
rari scambi di parole, superflue anche le poche e cenni reciproci
d’assenso, non si sa a quale affermazione magari strampalata ma
detta con quel tono catarroso che fa complicità. Poi l’oste
avrebbe sogghignato quasi trionfante alla sua richiesta di una camera
per la notte, porgendogli la chiave che già stringeva in
pugno, come avesse saputo sin dal suo ingresso che il forestiero non
sarebbe ripartito. La stanza non era certo da cinque stelle, un letto
in noce con le lenzuola provenienti dal corredo della nonna
buonanima, un armadio sbilenco che era meglio tenere chiuso a chiave
tanto era l’odore stantio che emanava, un lavandino minuscolo
dai rubinetti separati e dallo smalto ingiallito, il bagno comune in
fondo al corridoio. Ma quella stanza aveva il pregio di un terrazzino
rivolto a meridione dove starsene per ore a fissare il cielo della
sera e i tetti silenziosi.
Camillo
si svegliò alla prima luce che dalla finestra lasciata
spalancata arrivava fino al letto. Si mantenne nel difficile
equilibrio del dormiveglia, lasciandosi cullare da un vago suono che
poteva essere l’eco di onde lontane o dello scorrere di auto
lungo la discesa dietro casa. Come pure si lasciò avvolgere
dall’aria pungente cercando in essa tracce di sale, ma forse
era l’odore delle ultime rose giù in giardino.
Tenne
per una breve eternità gli occhi chiusi con una cocciutaggine
un poco disperata, voleva prolungare il più possibile il
dubbio stordente di dove si trovasse.
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