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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Il mondo oltre la collina, di massimolegnani 18/02/2021
 
Il mondo oltre la collina

di massimolegnani



Camillo, mentre guidava senza meta nella pioggia, l’andatura lenta e i vetri appannati a isolarlo in una bolla, immaginava di superare il Monferrato, valicare l’Appennino, puntare deciso verso il mare per raggiungere una verginità di volti e borghi da fare suoi.
A dir la verità lui non amava il mare, tanto meno la Liguria, così difficile da ritrovare autentica tra gli aperitivi di Alassio e i condomini anni 60 di Camogli, quello che inseguiva era altro dai luoghi che sapeva. Sperava di arrivare oltre la pioggia, appena prima della costa, alla quiete di panni stesi nei paesi da un lato all’altro della strada, ai colori differenti delle case, ocra o rosso pompeiano un po’ scrostati, alle imposte verdi aperte verso il basso come palpebre annoiate, al bianchetto al banco di un oste con la barba di tre giorni e un sorrisetto consapevole.
Quanto è distante il mare? gli avrebbe chiesto, dopo un silenzio sufficiente, contando su una risposta che non fosse di chilometri e mere indicazioni su una carta stradale. E l’oste l’avrebbe accontentato: Quel che basta per non vederlo ma saperlo appena oltre. Qui a sera arriva il sale, sperso nell’aria come nell’acqua della pasta.
Camillo, allora, con il bicchiere in mano, sarebbe andato fin sulla porta, scostando le listarelle di brutta plastica sgargiante: nella piazzetta ormai in ombra quattro ragazzetti inseguivano un pallone tra pugni e parolacce urlate per sembrare grandi, da qualche punto indefinito irrompeva una musica sguaiata, pochi corvi volteggiavano gracchiando dove avresti voluto vedere dei gabbiani, una ragazza di troppa carne e poca stoffa portava in giro un ombelico tremolante. Spettacoli incresciosi di piccole indecenze.

Eppure…
…eppure lui avrebbe sorseggiato il vino acidulo e annusato l’aria inseguendo l’idea del sale.

E per quella scia salmastra appena percettibile, per quell’aria nuova che invisibile gli riempiva gli occhi e i bronchi, per quel sentirsi parte di qualcosa, avrebbe perdonato l’ombelico e la musica burina, avrebbe assolto i corvi, le listarelle orrende e l’eccesso delle grida. Sì, avrebbe perdonato a sé il proprio snobismo malcelato e al luogo ogni difetto, ogni stonatura, in cambio e in nome di quella pace misteriosa che gli scendeva dentro insieme al vino bianco, non certo dei migliori. Rivolto all’oste avrebbe chiesto un altro bicchiere domandando se fosse Pigato o Sciacchetrà e quello allora avrebbe versato da bere per entrambi con una risata franca che annullava ogni nobiltà di nome al loro vino. I gomiti a fronteggiarsi sul bancone poco lustro, avrebbero taciuto per un tempo lungo e necessario, quindi rari scambi di parole, superflue anche le poche e cenni reciproci d’assenso, non si sa a quale affermazione magari strampalata ma detta con quel tono catarroso che fa complicità. Poi l’oste avrebbe sogghignato quasi trionfante alla sua richiesta di una camera per la notte, porgendogli la chiave che già stringeva in pugno, come avesse saputo sin dal suo ingresso che il forestiero non sarebbe ripartito. La stanza non era certo da cinque stelle, un letto in noce con le lenzuola provenienti dal corredo della nonna buonanima, un armadio sbilenco che era meglio tenere chiuso a chiave tanto era l’odore stantio che emanava, un lavandino minuscolo dai rubinetti separati e dallo smalto ingiallito, il bagno comune in fondo al corridoio. Ma quella stanza aveva il pregio di un terrazzino rivolto a meridione dove starsene per ore a fissare il cielo della sera e i tetti silenziosi.

Camillo si svegliò alla prima luce che dalla finestra lasciata spalancata arrivava fino al letto. Si mantenne nel difficile equilibrio del dormiveglia, lasciandosi cullare da un vago suono che poteva essere l’eco di onde lontane o dello scorrere di auto lungo la discesa dietro casa. Come pure si lasciò avvolgere dall’aria pungente cercando in essa tracce di sale, ma forse era l’odore delle ultime rose giù in giardino.

Tenne per una breve eternità gli occhi chiusi con una cocciutaggine un poco disperata, voleva prolungare il più possibile il dubbio stordente di dove si trovasse.


 
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