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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Nessuno è entrato, di Sabrina Campolongo 25/05/2007
 

Nessuno è entrato

 

 

 

Viveva nella nostra stessa contrada, proprio di fronte a noi, sull'altra sponda della piazza. Abitava ancora assieme a sua madre, nonostante avesse già qualche capello grigio. Non che fosse tutto lì.

Bastava osservarlo camminare per strada a passo rapido e furtivo come un grosso ratto, lo sguardo fisso a terra, il mento incollato al petto, oppure, al contrario – quando credeva di non essere osservato – gli occhi spalancati verso il cielo, a cercare chissà che, sopra i tetti. Bastava uno sguardo per capire che il Bepi non era troppo registrato.

Mia nonna ripeteva spesso che la mela non cade mai troppo lontano dall'albero. Non so se sia vero in generale. Certo è che pensando al Bepi non si poteva che inchinarsi sull'altare della saggezza popolare.

Sua madre era la Vanda.

Ce l'ho ancora davanti, la Vanda: un donnone enorme, sdentato e quasi completamente incapace di muoversi, ormai. La si vedeva a partire dalle sei della mattina, arenata dietro la finestra della cucina al primo piano, dietro una schiera di vasi affollati di fiori di plastica. Una montagna di carne bianca e flaccida che strabordava da una lurida sottoveste color cipria in estate, da una vestaglia fiorata bisunta d'inverno. Con uno scialletto attorno al collo tutt'al più, quando si andava sotto lo zero.

La Vanda era lì, al davanzale, fino a sera. Le sue giornate le passava osservando e commentando il passaggio dei compaesani sotto di lei.

A volte fermava qualcuno che conosceva e gli chiedeva, senza troppi preamboli, notizie e pettegolezzi su altri abitanti della contrada. Dal momento che non ci sentiva quasi più, la Vanda chiedeva sbraitando. Così che anche il malcapitato che era stato “agganciato” era costretto a sbandierare ciò che sapeva ai quattro venti, oppure a professare a gran voce la propria ignoranza.

I rari momenti in cui la Vanda non stava nella cornice della finestra, era perché stava litigando con il figlio, nato Giuseppe, ma per tutti in paese solo il Bepi.

Le loro voci rimbalzavano ai quattro angoli della piazza e oltre: quella della Vanda roca e astiosa, quella del Bepi fonda e impastata.

Per cosa litigassero è presto detto: praticamente per tutto, anche se le discussioni più accese si scatenavano, di solito, la sera, davanti alla tv. Avevano una passione comune per i polizieschi, ma non è che la cosa li unisse, anzi.

Entrambi pretendevano di avere risolto l'ennesimo caso dell'ispettore Derrick, si insultavano per demolire l'alibi di un testimone di Perry Mason, si accapigliavano persino durante la Signora in Giallo. Nemmeno il tenente Colombo li metteva d'accordo.

Ma le minacce e gli improperi piovevano anche a seguito di una pastasciutta troppo cotta, o di un presunto o reale ritardo del Bepi. Nella loro normale conversazione i “va in mona!” e i “deficiente!” abbondavano almeno quanto i “Eeeh?”, “Uhhh?”, o “Cosa hai detto?”

Poi la Vanda è morta.

All'improvviso. Una mattina è arrivata un'ambulanza – non ho idea di chi l'abbia chiamata, dato che, a quanto so, non avevano nemmeno il telefono – e se l'è portata via.

Il mio amico Antonio, che abitava proprio nella casa accanto, più tardi, a scuola, mi raccontò di aver sentito i lettighieri sbuffare e bestemmiare ad alta voce, trasportando il monumentale fardello giù per le scale strette. Da questo mi sono fatto l'idea che dovesse essere già morta, quando sono arrivati.

Per un po' tutti ci siamo chiesti, almeno di sfuggita, cosa ne sarebbe stato del Bepi rimasto solo. Qualcuno, tra cui mia madre, sosteneva che si sarebbe lasciato morire. Mio padre, invece, era di tutt'altra opinione.

– Vedrai, come si darà alla pazza gioia, ora che la megera se ne è andata!

– La fai troppo semplice! – protestava la mamma, sforzandosi di restare seria – Non importa se a noi, da fuori, poteva sembrare una tortura dover vivere con una donna così! Pensaci: ha passato tutta la vita a occuparsi di lei. Ora che è morta, cosa gli rimane?

Io ero più dalla parte della mamma. Non che l'avessi davvero capito, quel discorso. Ma proprio non riuscivo a raffigurarmelo, il Bepi che si dava alla “pazza gioia”!

Però, a sorpresa, saltò fuori che aveva avuto ragione papà.

Il cadavere della Vanda era ancora caldo – si fa per dire – e già il Bepi aveva cominciato a ristrutturare la vecchia casa traballante, si era comprato la lavatrice e, cosa ancor più incredibile, aveva cominciato a guardare dritto davanti a sé, mentre camminava, ad altezza d'uomo. Addirittura, aveva cominciato a salutare qualcuno e a scambiare due chiacchiere con chi lo fermava per sapere qualche particolare in più sulla morte della vecchia, con la scusa di fargli le condoglianze.

Ma la vera svolta avvenne in una gelida serata di dicembre, poco prima di Natale. Stavo rientrando con mia madre, aiutandola a portare le borse della spesa, quando da dietro l'angolo l'abbiamo visto spuntare, il Bepi. Non rannicchiato come al solito e nemmeno di corsa. No, ben diritto, a passo calmo e sicuro. Subito dietro di lui, anzi, diremmo al suo fianco, una DONNA.

La mamma si è bloccata all'improvviso, facendomi sbattere il naso contro il suo cappotto. E' stata la prima e unica volta in cui ricordo di averla vista fissare qualcuno con la bocca aperta.

La sua espressione era così esagerata da essere comica, o spaventosa, forse. Ma come non giustificarla, dopo aver inquadrato la scena che avevamo sotto agli occhi? Le parole di protesta per la brusca fermata mi si erano spente in gola.

Non solo il Bepi era in compagnia di una femmina, non soltanto stava chiaramente andando verso casa, con le chiavi già in mano, ma, per di più, lei non era nemmeno brutta.

Impellicciata, bionda, tacchi alti. La luce dei lampioni non permetteva di distinguere i dettagli, e ammettiamo pure che mi trovavo a una certa distanza, però quello che riuscii a scorgere, quando lei si fermò davanti alla porta offrendomi il profilo, non era niente male. Niente male davvero.

Già dalla mattina dopo, su e giù per la contrada non si parlava d'altro. Non che io o la mamma avessimo parlato, in verità io avevo parlato, e magari qualcosa era sfuggito anche alla mamma, ma in ogni caso la voce aveva già cominciato a circolare.

Sembrava addirittura che qualcuno avesse visto uscire la bella sconosciuta, di primo mattino, dalla porta nuova di zecca della casa del Bepi.

Il mio amico Antonio, sempre lui, giurava – per quanto io non ci avrei scommesso nemmeno cento lire, conoscendolo – di aver sentito risate e gridolini attraverso la parete confinante per tutta la notte.

E intanto il Bepi, incurante delle chiacchiere, viaggiava per il paese con le spalle ben dritte e un sorrisetto un po' ebete stampato sulla faccia. Si era comprato abiti nuovi, dopo aver girato per anni, inverno e estate, con una polo a mezze maniche di cui non si distingueva più il colore originario, si era fatto tagliare i capelli dal barbiere e sempre più spesso lo si vedeva impegnato a conversare con qualcuno.

Scoprimmo così che il Bepi sapeva mettere le parole una dopo l'altra, anche se per anni le aveva usate solo una alla volta.

La bionda cominciò a comparire sempre più spesso al suo fianco. Studiandola alla luce del giorno si vedeva che non era proprio di primo pelo, forse era anche un po' troppo vistosa, ma comunque nessuno poteva dire che non avesse ancora tutte le sue cose al posto giusto.

Cosa ci poteva trovare una così nel Bepi, seppur ripulito, per me restava un mistero.

Una voce, sempre più insistente – generata e alimentata dalla vedova Foschini, che abitava in fondo alla piazza e che si era offerta, a volte, di andare a fare la spesa o in posta per la Vanda – sosteneva che la bionda era sicuramente una cacciatrice di dote, se non peggio, una specie di sanguisuga che si era attaccata al povero Bepi per succhiargli via i risparmi di una vita.

La Foschini non perdeva occasione, con chiunque si trovasse a parlare, di affermare che si doveva fare qualcosa, che qualcuno avrebbe dovuto impedire a quel povero merlo di farsi irretire. Qualcuno, alla fine, dovette arrendersi alla sua insistenza. Un pomeriggio di primavera, uscendo dalla biblioteca, mi trovai a passare di fianco al Bepi, mentre l'anziano capo dei vigili, tenendogli paternamente un braccio sulle spalle, sembrava intento a fargli la predica.

– … e ti mangerà fuori tutto… – sono le parole che sono riuscito ad afferrare.

Però, in barba alle più fosche previsioni, le settimane passavano, segnando punti a favore del Bepi. Quando lo incrociavi capitava persino di sentirlo fischiettare. La gente lo prendeva in giro, ma lui sembrava così contento che mi veniva da chiedermi se forse non erano gli altri, che non avevano capito niente.

Poi, dall'inizio dell'estate, qualcosa è cambiato. La bionda veniva, sì, ma sempre meno spesso.

Accanto agli abiti nuovi è ricomparsa la vecchia polo color echisseloricordapiù e il Bepi ha ricominciato a girare sempre più spesso con la testa incassata nelle spalle, oppure con gli occhi persi tra le nuvole.

Fu un pomeriggio, verso la fine di luglio, che le cose precipitarono.

Tornando a casa dalla spiaggia assieme alla mamma, in bici come al solito, quasi rischiai di investire un gruppetto di persone che stazionava all'imbocco della piazzetta.

Frenai, facendo stridere i freni, ma nessuno mi disse – stà ‘tento!– o – và piàn!–. Qualcuno mi rivolse appena un'occhiata distratta. Ero confuso. Era chiaro che non si erano fermati lì per caso. Nessuno parlava e tutti gli sguardi erano rivolti all'insù, in direzione della finestra del Bepi.

Guardammo anche noi, senza vedere niente di particolare.

Poi, nel silenzio, risuonò quella nota alta e irreale, che pareva la sirena di una nave. Sul momento pensai che il Bepi stesse tenendo la tv troppo alta, come al solito (quello non era cambiato, con la morte della madre), ma non ci misi molto a capire che mi sbagliavo.

Il suono inarticolato che avevo udito, subito seguito da un altro, ancor più straziante, non era il fischio di un treno e non era la sirena di una nave. Era un lamento. Era il Bepi che piangeva. Gridava e ululava, come una bestia ferita.

– Va avanti così da stamattina. – disse una vicina a mia madre – Da quando lei se ne è andata, sbattendo la porta.

La donna non riuscì a trattenere una risatina. Mi guardai attorno e mi sembrò che solo mia madre fosse rimasta seria.

Il suo volto era addirittura impietrito, mentre fissava le imposte accostate.

– C'era da immaginarselo, no? E cosa si aspettava?

La sentenza, pronunciata da una voce maschile, dal fondo del gruppetto, fu accolta da un coro di mugolii di assenso e sorrisi complici.

Qualcuno, debolmente, provò a dire che magari si poteva andare su a vedere di calmarlo.

Nessuno però provò a entrare.

Il Bepi continuò a far baccano ancora per un po'. Poi, la sera, sentimmo di nuovo la televisione accesa fino a tardi. Dopo, silenzio.

Silenzio e imposte socchiuse anche la mattina dopo, mi pare.

Però, quel pomeriggio, un terribile un grido di donna fece tremare la piazza. Uno strillo acuto che sembrò durare un secolo, prima di spezzarsi in una grandinata di singhiozzi.

Io ero seduto in cucina. Fingevo di leggere il libro che mi era stato ordinato per le vacanze, controllato a vista dalla mamma, che si teneva occupata lavorando a maglia.

Avevo sollevato la testa di scatto, udendo l'urlo.

Anche lei si era bloccata e il suo volto aveva perso colore. Mi aveva guardato, con gli occhi grandi e le labbra serrate.

Poi aveva lasciato cadere i ferri da maglia e si era fatta il segno della croce.

– Il Bepi è morto. – disse.

Non so se stesse parlando a me o a se stessa. In ogni caso non era una domanda.

La vedova Foschini, intanto, fuori, continuava a piangere.

 

 

 

 

 

 
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