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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  L’incipit rubato, di Grazia Giordani 07/06/2021
 
L’incipit rubato

di Grazia Giordani



Le sembrò una manna caduta dal cielo quell’incipit che le arrivava per posta elettronica, quale didascalia di una foto d’altri tempi. Non era sua abitudine compiere furti letterari, ma questa volta fu più forte di lei, quasi un’impellenza incoercibile la spingesse all’appropriazione indebita.

Da tempo non subiva l’effetto di suggestioni notevoli. La cronaca era gremita di fatti di sangue, ma le sarebbe parso troppo banale ricalcare l’orrore di cui si parlava in quei giorni su tutti i quotidiani, assordata dagli opinionisti televisivi che – se non avessero sproloquiato sulla morte terribile di una ragazzina uccisa e forse poi violata – le sarebbero sembrati grotteschi venditori di fumo.

«Ecco l’interno del negozio di F* – recitava la didascalia – .Sembra molto grande, ma è il grandangolare che lo fa apparire così. In realtà è un luogo stretto, con una finestra nel fondo che dà su un magnifico giardino abbandonato ed inselvatichito. Il proprietario è al suo posto di combattimento. Cominciò a lavorare come garzone a metà degli anni Trenta, quando aveva una decina d’anni. Poi, i proprietari del negozio lo adottarono perché non avevano figli e lui, verso la fine degli anni Quaranta, divenne proprietario. Mia madre abitava nella stessa strada, una cinquantina di metri più su. Conosce da sempre questo negozio e mi dice che anche quando c’erano i proprietari originali vendeva pochissimo, roba vecchia e fuori moda. L’erede è rimasto fedelissimo a questo modello imprenditoriale e quando non ce la farà più ad alzare la saracinesca, mi mancherà molto . . . »

Si può avere un transfert di fascinazione solo leggendo una didascalia a corredo di una foto che racconta una storia impolverata e quindi, se si è suggestionabili, piena di risvolti misteriosi?

Evidentemente sì, visto che non ho esitato a mettermi in treno, diretta verso una delle città più antiche delle Marche, vero museo a cielo aperto.

Ero soprattutto interessata al giardino inselvatichito e al clima di quel luogo patinato dal tempo, da cui Simenon avrebbe tratto chissà quale trama fatta di atmosfere torbide.

La conoscenza dell’animo umano nelle sue pieghe più fosche, si sarebbe messa subito in moto, magari scomodando Maigret a dargli una mano.

Il grande belga non aveva bisogno di pozze di sangue, di corpi dilaniati, i suoi noir nascevano dalla impietosa conoscenza del cuore dell’uomo.

Che il vecchio signore al banco del negozio fosse figlio adottivo, già avrebbe potuto infiammare la fantasia del mio giallista di culto, per non parlare di quell’ammasso di scampoli di tessuti fuori dal tempo e di quelle maglie che sembravano abitate da corpi di defunti e soprattutto di quel giardino da cui avrebbero potuto sgusciare all'esterno non solo bisce attorcigliate alla sterpaglia, mentre dimenticati cadaveri riposavano sepolti nel profondo, frutto di antiche vendette.

Ho comprato due inservibili grembiuli e una pezza di stoffa a quadretti da cui trarre rustiche tovaglie. Mi aggiravo come un detective tra gli scaffali, sotto l’occhio ineffabile del placido proprietario.

Ma l’ispirazione noir è rimasta nascosta dentro i vecchi cassetti e le lucide vetrine, gelose custodi di un passato che è andato spegnendosi persino dentro l’entusiasmo della mia ricerca d' ispirazione.


 
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