Fantasia
di consonanti e di vocali
di
massimolegnani
Breve
brano vagabondo
(senza
i)
Era
un suonatore vagabondo, malmesso per l’età ma ancora
attratto dalla stranezza del mondo. Andava controvento per le strade
delle donne, senza possedere né denaro né decoro nè
una sola nota davvero seducente, ma era fedele a un vago concetto
d’amore evanescente, come una nuvola da guardare allegro senza
temerne l’acqua. Prese poderose sberle e qualche sberleffo ben
congegnato, folate freddolose da gelare le ossa. Ma quando una che
non conosceva, una dalla bellezza nascosta e dal volto aperto, regalò
all’uomo carezze e dolcezze non attese, fu come avere un vento
caldo nelle vele e un sangue nuovo nelle vene.
Breve
vilipendio della O
La
O mi sta antipatica, punto.
D’altronde
non si può piacere a tutti e non tutte ci piacciono, vocali,
donne, giornate. E questa è una giornata no, perché mi
sono svegliato con questo pensiero della O conficcato nel cervello.
Mi
disturba la sua rotondità perfetta, da prima della classe,
manco dovessimo essere tutti dei Giotto, che pure lui non mi era
tanto simpatico. Mi s’inceppa la mano quando la scrivo, perchè
non riesco ad agganciarla alle altre lettere, sta lì isolata e
tronfia e tonda nella frase; lei non offre appigli, è
scivolosa come la saponetta che ti sfugge nella doccia.
E
poi è una vocale negativa, così ambiguamente simile
allo zero, che già nel codice fiscale non so mai se quel segno
rappresenti il numero o la lettera. D’accordo in aritmetica
zero non è negativo, ma tu prova a svegliarti una mattina
sentendoti uno zero perché hai fatto brutti sogni e dimmi se
non inizi la giornata con il segno meno in testa.
Già
nell’alfabeto si è posizionata pericolosamente accanto
alla enne e quando queste decidono di unirsi vanno a formare la
quintessenza della negazione, della bocciatura: NO!, qualunque cosa
tu avessi chiesto o proposto, magari con dolcezza ed entusiasmo. NO!
Che mortificazione!
E
sarà un caso ma la O è l’iniziale di parole
davvero sgradevoli: Odio, Ostruzione, Orrido, Onnipresente, Orco, sia
come mezza imprecazione che come spauracchio per i bambini che
eravamo, quelli di adesso dell’orco se ne fregano beatamente.
Per non parlare di Ombrello e di Orologio, due parole patetiche,
emblema dell’eterna illusione di avere sotto controllo il
tempo, atmosferico o cronologico che sia. Perché basta un
colpo di vento a stravolgere l’ombrello o un’emozione a
far durare un secondo più di un’ora, con buona pace per
le fette esatte che ha tagliato il tuo strumento al polso, come fosse
il tempo una torta che la nonna suddivide tra nipoti gelosi uno
dell’altro.
Di
bello la O ha solo la bocca che la scandisce, quel coincidere esatto
tra la forma tonda che assumono le labbra nel pronunciarla e il segno
analogo che hai tracciato sopra il foglio. Ti guardo mentre la dici,
il mento spinto un poco avanti, le guance strette, le labbra a
cerchio e vorrei che tu fumassi per far uscire nello stesso istante
la vocale e un anello di fumo che lentamente svanisca nell’aria
assieme al suono. Ti guardo e m’incanto felice alla tua bocca
promettente, qualunque no in realtà tu mi stia rifilando.
Effe
Faticosamente
Firenze funestata franava fra funerali frettolosi, fredde famigerate
fosse , fetidi furti, forche, fughe.
Fuoriusciti,
finimmo forestieri a Fiesole, fortezza franca.
Fiesole
felice fu feria forzata, festosa, folle: facevamo falò,
fissando frastornati fiamme, faville, fuochi fatui, folleggiavamo fra
favolosi fiaschi (Frascati, Falanghina!), fagiani frollati farciti al
forno, fichi freschi, frutta fermentata; frequentavamo femmine
fatali, fragili fanciulle, furbe fantesche, fornicavamo fottendo
farfalle fugaci, fioche falene. Frattanto fantasticavamo facili
finzioni formulando favole frivole, fabbricavamo fiabe funamboliche,
farsesche, falliche, forse fallaci (futuribili fiction?).
Farneticammo futili fole, foggiammo febbrilmente facezie fittizie
fingendo felicità finchè fosse finita furia fiorentina,
feroce finimondo, falce ferale.
Senza
E
Non
fu una cosa gloriosa, d’accordo, ma andava fatta. Così
lo castigai, in un modo un poco da vigliacco.
Lui
mi passò davanti, stava andando ai bagni da una corta scala.
Spostai con noncuranza la gamba sinistra di poco, quasi di un nulla,
ma bastò a incontrarsi con la sua caviglia. Ancora
sghignazzava dopo la battuta cattiva, gratuita, rivolta al pubblico
di amici col solo scopo di sputtanarmi davanti a tutti. Bastardo
Claudio! Inciampò rotolando dai quattro gradini, lo sghignazzo
si trasformò di colpo in un urlo. Non mi alzai, non cambiai i
tratti al volto, ma allungando il collo giù al fondo gli
domandai, qualcosa di rotto, amico mio? Quando lo vidi
rialzarsi, frastornato ma sano, andai al banco, pagai un giro di
birra a tutti, puranco a lui, poi uscii dal bar. Non andavo
orgoglioso della caduta provocata a rischio di danni, ma una volta
fuori fui quasi soddisfatto gustandomi la rivalsa. Allora mi donai un
unico strappo alla norma dataci da soli, dall’alba al tramonto
il non utilizzo di E: a fior di labbra sibilai Claudio coglionE!
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