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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Le feste e i giochi della prima infanzia, di Sergio Menghi 23/09/2021
 
Le feste e i giochi della prima infanzia

di Sergio Menghi



I primi undici anni della mia vita, benché passati in modo responsabile in una famiglia patriarcale, sono stati caratterizzati anche da molti giochi e festeggiamenti in occasione delle feste canoniche del Natale, Epifania e Pasquali, ma anche a carnevale, nel periodo della trebbiatura, in occasione di matrimoni ed altre feste di famiglia, battesimi, cresime, prime comunioni.

L'elencazione non vuole certamente essere esaustiva e nemmeno paragonabile con quanto avviene nei tempi, per così dire moderni, come le feste del sabato sera o infrasettimanali in discoteca.

Quello che vorrei sottolineare è che si svolgevano in contesti ristretti, famiglia, vicinato, paese; del resto non esistevano, o erano rarissimi, mezzi di trasporto come automobili. Erano più frequenti motociclette, come la Guzzi, la Gilera ed altre moto da guerra restaurate che consentivano spostamenti limitati. Le strade poi non erano asfaltate.

Le carrozze o carrozzelle trainate da cavalli, però, avevano finito la loro era, io le ho viste solo giacenti nella rimessa e spesso ci salivo sopra per immaginare una cavalcata nei campi, come si vedeva nei film parrocchiali o in televisione.

Quest'ultima aveva fatto la sua prima comparsa nello spaccio del paese ed aveva ridestato un discreto pubblico. Io mi aggregai subito a mio zio per vedere una trasmissione del sabato sera, che poi subito imitammo in un gioco che facevamo spesso con un gruppetto di ragazzi. Si trattava della popolare trasmissione condotta da Mario Riva: 'Il musichiere'.

Nonostante tutta questa limitatezza di mezzi e di strutture preposte al divertimento la gente, in modo particolare i giovani, ma anche i ragazzi e gli anziani, in modi diversi, trovavano sempre un po’ di tempo da dedicare allo svago.

Come ho già accennato, la fonte ispiratrice era la TV, anche se si vedeva una sola volta a settimana, tuttavia l'imitazione di quello che facevano i grandi era pure occasione di gioco; ad esempio mio nonno accudiva il bestiame nella stalla ed io mi ero costruito una piccola stalla e l'avevo riempita di mucche, buoi e vitellini utilizzando pezzi secchi di gambi di pannocchie nel quali infilzavo dei bastoncini di acero per completare zampe, coda e corna, queste ultime, ovviamente, non per i vitellini.

Quindi, se si era un po’ portati per dote naturale e questo, debbo dire, era il mio caso avendo ereditato da mio padre, fin da piccoli ci si abituava ad una discreta manualità che ci consentiva di creare i nostri giocattoli e di fantasticarci sopra. Questo tipo di svago mi ha accompagnato per quasi tutta la mia vita e mi accompagna ancora, permettendomi di superare stati di ansia, di tensione o di semplice noia che, direi, sono sempre dietro l'angolo.

Come mio padre, che all'età di tre anni mi costruì un triciclo e mi pare ancora di vedere le risate di mio zio Neno, il fratello di mio nonno quando, pedalando per la prima volta su quel mezzo, andai a cozzare contro la parete, anche io ho costruito giocattoli per le mie figlie, in particolare è abbastanza nota una macchinina con un motore vero che costruii in una soffitta per la terza in arrivo, pensando che fosse un maschio.

Anche i regali non mancavano per allietare le feste canoniche del Natale, Epifania e Pasqua. Il compleanno ed altre ricorrenze individuali non erano invece gran che festeggiate, faceva eccezione l'anniversario del matrimonio nella cui ricorrenza poteva capitare di vedere in tavolo qualche dolce amorevolmente preparato dalla sposa.

La vigilia di Natale e quella di tutti i Santi era caratterizzata da un discreto lavorio delle donne nelle cucine a cominciare dalle prime ore pomeridiane per finire con il cenone nel quale il piatto forte era rappresentato dalla frittura di pesce e, come dessert, veniva preparato un dolce tipico chiamato: 'maccheroni con le noci'.

Era un dolce semplice che, paragonato con le squisitezze dei tempi moderni, avrebbe lasciato molto a desiderare, però conteneva degli ingredienti nobili che stanno, ancora adesso, a base della produzione dolciaria e cioè: cioccolato, cannella, cacao, noci tostate e triturate, zucchero. Insomma una bomba energetica insieme alle tagliatelle magre che legavano il tutto. Servito caldo poteva rimanere un po’ sullo stomaco di noi bambini, ma freddo era, a mio avviso, ancora migliore.

Ne veniva fatto in quantità abbondante in modo da poterlo consumare anche per diversi giorni dopo il periodo della festa perché si conservava a lungo molto bene; in verità la sera della vigilia la rimanenza veniva divisa in tante parti quanti erano i gruppi familiari che componevano la comunità rurale, capofamiglia compreso, e ciascuna consorte portava il proprio dolce nella sua stanza per consumarlo insieme al proprio nucleo familiare a proprio piacimento.

La sera che precedeva l'Epifania sarebbe passata la befana ed ogni familiare non mancava di porre nel massimo risalto l'evento facendo in modo che noi piccoli finissimo con il caricarci di una tale emozione, man mano che si avvicinava la fatidica ora, che a stento riuscivamo a trattenere; ricordavamo di non aver mai visto i genitori, nonni, zii e zie cosi mutati nei loro comportamenti, immedesimarsi così tanto nel festeggiare l'arrivo della befana, un'arzilla vecchietta che non era la mamma, come alcuni dicevano, perché lei era presente, quindi si trattava della befana vera, venuta da lontano, dopo aver visitato le case dei bambini buoni mentre ai cattivi avrebbe dato solo cenere e carbone.

I regali erano cose semplici, per lo più oggetti utili, vestiario, materiale scolastico, anche dei dolci, ma molto originali, mai visti prima, come dei furbetti topolini di marzapane con due chicchi di caffè d'orzo al posto degli occhi.

Un gioco, se così si può definire, che ho iniziato a seguire fin dai primi anni è stata la vita in comune con altre famiglie rurali e con tutti gli abitanti del paese nel complesso delle molteplici relazioni sociali, educative, economiche, politiche, religiose fino al trasferimento in città.

Avevo notato che c'erano delle differenze di opinione che producevano leggeri attriti nonostante il forte spirito di collaborazione che animava tutti.

La conformazione morfologica dei poderi su cui si svolgevano i lavori era tale che la mia famiglia occupava il podere di mezzo, alla sinistra c'era una famiglia che aveva idee di sinistra ed a destra idee di destra.

Io volevo capire, senza dare nell'occhio, in che cosa consistessero queste differenze visto che il modo di vivere era sostanzialmente lo stesso.

Le famiglie patriarcali si sono disgregate più o meno intorno agli anni '60 per motivi di politica economica che ha tolto dall'Agricoltura una gran parte di forza lavoro per trasferirla ai servizi favorendo l'urbanizzazione.

La cosa che mi ha molto sorpreso che il sig. Francesco, quello del nido di lepri sulla pianta dell'olmo e che occupava il podere di sinistra, si trasferì a Roma e lavorò in un orto di un convento di monache.

M'immagino quante risate avranno fatto quelle suore con un angelo dallo spirito di Francesco.


Da Aricordete


 
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