Le
feste e i giochi della prima infanzia
di
Sergio Menghi
I
primi undici anni della mia vita, benché passati in modo
responsabile in una famiglia patriarcale, sono stati caratterizzati
anche da molti giochi e festeggiamenti in occasione delle feste
canoniche del Natale, Epifania e Pasquali, ma anche a carnevale, nel
periodo della trebbiatura, in occasione di matrimoni ed altre feste
di famiglia, battesimi, cresime, prime comunioni.
L'elencazione
non vuole certamente essere esaustiva e nemmeno paragonabile con
quanto avviene nei tempi, per così dire moderni, come le feste
del sabato sera o infrasettimanali in discoteca.
Quello
che vorrei sottolineare è che si svolgevano in contesti
ristretti, famiglia, vicinato, paese; del resto non esistevano, o
erano rarissimi, mezzi di trasporto come automobili. Erano più
frequenti motociclette, come la Guzzi, la Gilera ed altre moto da
guerra restaurate che consentivano spostamenti limitati. Le strade
poi non erano asfaltate.
Le
carrozze o carrozzelle trainate da cavalli, però, avevano
finito la loro era, io le ho viste solo giacenti nella rimessa e
spesso ci salivo sopra per immaginare una cavalcata nei campi, come
si vedeva nei film parrocchiali o in televisione.
Quest'ultima
aveva fatto la sua prima comparsa nello spaccio del paese ed aveva
ridestato un discreto pubblico. Io mi aggregai subito a mio zio per
vedere una trasmissione del sabato sera, che poi subito imitammo in
un gioco che facevamo spesso con un gruppetto di ragazzi. Si trattava
della popolare trasmissione condotta da Mario Riva: 'Il musichiere'.
Nonostante
tutta questa limitatezza di mezzi e di strutture preposte al
divertimento la gente, in modo particolare i giovani, ma anche i
ragazzi e gli anziani, in modi diversi, trovavano sempre un po’
di tempo da dedicare allo svago.
Come
ho già accennato, la fonte ispiratrice era la TV, anche se si
vedeva una sola volta a settimana, tuttavia l'imitazione di quello
che facevano i grandi era pure occasione di gioco; ad esempio mio
nonno accudiva il bestiame nella stalla ed io mi ero costruito una
piccola stalla e l'avevo riempita di mucche, buoi e vitellini
utilizzando pezzi secchi di gambi di pannocchie nel quali infilzavo
dei bastoncini di acero per completare zampe, coda e corna, queste
ultime, ovviamente, non per i vitellini.
Quindi,
se si era un po’ portati per dote naturale e questo, debbo
dire, era il mio caso avendo ereditato da mio padre, fin da piccoli
ci si abituava ad una discreta manualità che ci consentiva di
creare i nostri giocattoli e di fantasticarci sopra. Questo tipo di
svago mi ha accompagnato per quasi tutta la mia vita e mi accompagna
ancora, permettendomi di superare stati di ansia, di tensione o di
semplice noia che, direi, sono sempre dietro l'angolo.
Come
mio padre, che all'età di tre anni mi costruì un
triciclo e mi pare ancora di vedere le risate di mio zio Neno, il
fratello di mio nonno quando, pedalando per la prima volta su quel
mezzo, andai a cozzare contro la parete, anche io ho costruito
giocattoli per le mie figlie, in particolare è abbastanza nota
una macchinina con un motore vero che costruii in una soffitta per la
terza in arrivo, pensando che fosse un maschio.
Anche
i regali non mancavano per allietare le feste canoniche del Natale,
Epifania e Pasqua. Il compleanno ed altre ricorrenze individuali non
erano invece gran che festeggiate, faceva eccezione l'anniversario
del matrimonio nella cui ricorrenza poteva capitare di vedere in
tavolo qualche dolce amorevolmente preparato dalla sposa.
La
vigilia di Natale e quella di tutti i Santi era caratterizzata da un
discreto lavorio delle donne nelle cucine a cominciare dalle prime
ore pomeridiane per finire con il cenone nel quale il piatto forte
era rappresentato dalla frittura di pesce e, come dessert, veniva
preparato un dolce tipico chiamato: 'maccheroni con le noci'.
Era
un dolce semplice che, paragonato con le squisitezze dei tempi
moderni, avrebbe lasciato molto a desiderare, però conteneva
degli ingredienti nobili che stanno, ancora adesso, a base della
produzione dolciaria e cioè: cioccolato, cannella, cacao, noci
tostate e triturate, zucchero. Insomma una bomba energetica insieme
alle tagliatelle magre che legavano il tutto. Servito caldo poteva
rimanere un po’ sullo stomaco di noi bambini, ma freddo era, a
mio avviso, ancora migliore.
Ne
veniva fatto in quantità abbondante in modo da poterlo
consumare anche per diversi giorni dopo il periodo della festa perché
si conservava a lungo molto bene; in verità la sera della
vigilia la rimanenza veniva divisa in tante parti quanti erano i
gruppi familiari che componevano la comunità rurale,
capofamiglia compreso, e ciascuna consorte portava il proprio dolce
nella sua stanza per consumarlo insieme al proprio nucleo familiare a
proprio piacimento.
La
sera che precedeva l'Epifania sarebbe passata la befana ed ogni
familiare non mancava di porre nel massimo risalto l'evento facendo
in modo che noi piccoli finissimo con il caricarci di una tale
emozione, man mano che si avvicinava la fatidica ora, che a stento
riuscivamo a trattenere; ricordavamo di non aver mai visto i
genitori, nonni, zii e zie cosi mutati nei loro comportamenti,
immedesimarsi così tanto nel festeggiare l'arrivo della
befana, un'arzilla vecchietta che non era la mamma, come alcuni
dicevano, perché lei era presente, quindi si trattava della
befana vera, venuta da lontano, dopo aver visitato le case dei
bambini buoni mentre ai cattivi avrebbe dato solo cenere e carbone.
I
regali erano cose semplici, per lo più oggetti utili,
vestiario, materiale scolastico, anche dei dolci, ma molto originali,
mai visti prima, come dei furbetti topolini di marzapane con due
chicchi di caffè d'orzo al posto degli occhi.
Un
gioco, se così si può definire, che ho iniziato a
seguire fin dai primi anni è stata la vita in comune con altre
famiglie rurali e con tutti gli abitanti del paese nel complesso
delle molteplici relazioni sociali, educative, economiche, politiche,
religiose fino al trasferimento in città.
Avevo
notato che c'erano delle differenze di opinione che producevano
leggeri attriti nonostante il forte spirito di collaborazione che
animava tutti.
La
conformazione morfologica dei poderi su cui si svolgevano i lavori
era tale che la mia famiglia occupava il podere di mezzo, alla
sinistra c'era una famiglia che aveva idee di sinistra ed a destra
idee di destra.
Io
volevo capire, senza dare nell'occhio, in che cosa consistessero
queste differenze visto che il modo di vivere era sostanzialmente lo
stesso.
Le
famiglie patriarcali si sono disgregate più o meno intorno
agli anni '60 per motivi di politica economica che ha tolto
dall'Agricoltura una gran parte di forza lavoro per trasferirla ai
servizi favorendo l'urbanizzazione.
La
cosa che mi ha molto sorpreso che il sig. Francesco, quello del nido
di lepri sulla pianta dell'olmo e che occupava il podere di sinistra,
si trasferì a Roma e lavorò in un orto di un convento
di monache.
M'immagino
quante risate avranno fatto quelle suore con un angelo dallo spirito
di Francesco.
Da
Aricordete
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