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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Tutto come prima, di Mario Malgieri 06/06/2007
 

Tutto come prima

Nella stanza al piano terreno la luce pomeridiana entrava a fatica, attraverso una finestrella munita di sbarre ma ingentilita da candide tendine ricamate. Nella zona rischiarata meglio, un esile leggio sorreggeva uno spartito di Bach: fuga dalla sonata 1002.
Federico Lugo, un uomo di una trentina d'anni, magro, dal profilo affilato, diplomato in violino presso un prestigioso conservatorio, abbassò l'archetto e gettò con rabbia il violino sul divano. Era la quinta volta che ripeteva un passaggio particolarmente difficile, ma non era contento del risultato; come al solito, sentiva che alla sua esecuzione mancava qualcosa.
Aveva passato anni della sua vita inseguendo il sogno di diventare un famoso concertista e per farlo diventare realtà non aveva risparmiato né energie né tempo: dopo il conservatorio aveva continuato a studiare, a esercitarsi con passione ore e ore per prepararsi a concorsi che lo avrebbero fatto entrare nel mondo della musica che conta, o almeno gli avrebbero assicurato un posto di prestigio in qualche grande orchestra sinfonica. Ma dopo tutto quel lavoro e tutti i sacrifici, suoi e di chi gli stava vicino, era ancora un oscuro musicista come tanti, costretto a vivere del lavoro di sua moglie, Giulia, dei proventi di qualche esibizione ai matrimoni e, nella buona stagione, dei concerti nei caffè del lungomare, dove i turisti gli chiedevano invariabilmente "O sole mio".
Intanto la famiglia era cresciuta; la piccola Roberta, un dono del cielo giunto in realtà troppo presto, aveva già quattro anni e nonostante tutto era una bella bambina felice.

Il papà gioca tanto con me, lui sta a casa e quando non suona il violino mi fa tante coccole, oppure mi porta al parco giochi. Mi piace tanto anche quando suona, la mamma dice che ci sono pochi papà bravi a suonare come il mio ma io preferisco quando gioca con me.

Federico si sedette accigliato accanto al suo violino, uno strumento di scarso valore e ancor più scarso pregio, ma era tutto quello che aveva potuto permettersi. Un giorno, forse, se avessero risparmiato ancora, se fosse riuscito ad avere qualche serata in più, se, se... c'era poco da sperare, era davanti al suo fallimento e non vedeva come le cose avrebbero potuto cambiare. Sapeva di essere in possesso di un'ottima tecnica, in grado di fargli affrontare qualsiasi spartito, ma gli mancava qualcosa per essere davvero bravo. Oramai se ne era convinto: era soltanto un buon artigiano della musica, gli faceva difetto il "fuoco", la capacità di andare oltre le note scritte per interpretarle col cuore e le viscere, come solo sanno fare i grandi artisti. Era inutile illudersi ancora, non ce l'avrebbe mai fatta.
Questi amari pensieri furono interrotti dallo squillo perentorio del campanello della porta.
Federico sperò non si trattasse ancora dell'amministratore che portava le proteste del vicinato per il suo ossessivo esercitarsi. Beh, da domani avrebbe smesso, potevano stare tranquilli.
Tirò un sospiro di sollievo quando si trovò davanti al postino, ma il sospiro gli si bloccò in petto nel rendersi conto che gli era stato consegnato un plico raccomandato con l'intestazione di un famoso studio legale di Milano. A Federico tremarono le gambe.
Era perfettamente consapevole di dovere quattro... no cinque mesi di affitto arretrato e di essere indietro di almeno due rate dei modesti mobili che avevano acquistato per dare un po' di vivibiltà all'appartamentino dove vivevano. In sospeso vi erano pure altri piccoli debiti coi negozianti del paese, che magari si erano stancati di essere brave e pazienti persone.
La grossa busta gli scottava in mano e non si decideva ad aprirla. Non riusciva a capire cosa avesse a che fare un noto avvocato di Milano, a centinaia di chilometri di distanza, con i suoi debiti nel vicinato. Certamente la sola parcella per scrivere quella raccomandata avrebbe coperto tutti i suoi pagamenti arretrati e ne sarebbe anche avanzato, ragionò. E questo lo portò a concludere che dovesse trattarsi di qualcosa ben più grave delle poche migliaia di Euro che doveva; forse qualcuno gli stava facendo causa per chissà quale oscuro motivo.
Per saperlo avrebbe dovuto decidersi a leggere il contenuto di quel plico minaccioso.
Tornò a sedersi e aprì senza altre esitazioni la grossa busta, ne estrasse quello che pareva un fascio di fotocopie, accompagnato da una lettera su carta intestata dello studio legale e firmata con un bellissimo svolazzo proprio dal famoso avvocato il cui nome ricorreva spesso sui giornali.
Federico impiegò pochi minuti a leggerla, sbiancò in volto e si mise a sfogliare febbrilmente gli allegati. Quando ebbe finito di esaminarli, confrontarli, rileggerli, corse a prendere uno dei suoi libri dei tempi del conservatorio. Trovò il capitolo che cercava e quello che lesse confermò in pieno ciò che i documenti affermavano. Si sedette di nuovo, incredulo, infine prese il cellulare e si permise una delle sue rarissime telefonate, componendo il numero che compariva sull'intestazione della lettera.

Fuori, nel cortile sul quale si affacciava l'abitazione, alcuni bambini del palazzo giocavano ridendo proprio sotto la finestrella con le inferriate, oramai in ombra da diverso tempo.
Giulia era passata a prendere la piccola Roberta dall'asilo dove la lasciava tutte le mattine, recandosi al suo lavoro precario e mal pagato. Era stanca e triste, come le accadeva oramai troppo spesso, ma resisteva. Era sicura che un giorno il suo Federico avrebbe sfondato come si meritava, e tutto sarebbe cambiato in meglio.
Estrasse la chiave, ma si fermò preoccupata: non udiva il suono del violino, e non l'aveva sentito nemmeno passando dal cortile. Era molto insolito, quelle ore di tranquillità suo marito le dedicava sempre all'affinamento della tecnica e all'ampliamento del repertorio.
Entrò con una certa ansia e si affrettò verso il piccolo salotto, seguita dalla bambina.
- Federico, cosa ci fai al buio su quel divano, mio Dio, ti senti male caro? -
- Ciao papà, perchè non suoni? - squillò a sua volta la voce di Roberta.
Ma
Federico stava bene, anzi benissimo. Abbracciò la piccina che gli si era precipitata sulle ginocchia e fece un largo sorriso a entrambe quelle creature che gli avevano resa sopportabile la vita sino ad allora.
Federico finse di non rispondere a Giulia e invece rivolse la sua attenzione alla piccina. Le mostrò i fogli che stavano sparsi sul divano e la guardò negli occhi: - Questi fogli raccontano una bellissima storia, la vuoi sentire?-
- Certo papà, è una favola?-
- Sì, è come una favola. C'era una volta un magnifico violino, costruito da uno dei migliori liutai del mondo. Il violino aveva un nome bizzarro e inquietante: "La voce del diavolo". Il nome era dovuto alla voce molto particolare dello strumento: così dolce ma così potente da sembrare quella che si dice abbia il diavolo in persona. Il violino ebbe diversi padroni e arrivò persino in una grande reggia in un posto lontano, chiamato San Pietroburgo -. Fabrizio raccontava alla bambina, ma guardava spesso sua moglie, che stava ancora in piedi e non sapeva se sorridere o continuare a preoccuparsi.
- Poi - riprese con tono cupo - accadde una rivoluzione, una specie di guerra, e la reggia dove era custodito il violino venne saccheggiata. Del violino non si seppe più nulla per molti anni, sino a quando, un bel giorno, un signore italiano in viaggio per il nord della Francia entrò in una botteguccia di rigattiere, un posto dove si vendono cose vecchie, e vide un violino pieno di polvere, ma gli sembrò molto bello. L'acquistò e lo portò a casa, in Italia, e lì lo diede a un suo amico che costruiva violini perchè lo restaurasse. Fu allora che fu subito riconosciuto per quello che era. Insomma, avrai capito che quel violino era proprio "La voce del diavolo", e adesso una vecchia signora lo ha regalato a tuo papà, perchè lo possa suonare nei suoi concerti.-
Guardò sua moglie con l'espressione di un ragazzino felice: - Pensa, un Guarneri del Gesù, forse ancora migliore del famoso "Cannone", quello di Paganini! E presto sarà qui, a casa nostra!-
Federico stava ancora gustandosi l'espressione stupita di Giulia, e così non vide il visino di Roberta farsi serio, quasi pensieroso. Pareva volesse dire qualcosa, ma suo padre parlava con la mamma, così rimase in silenzio.

          Papà ci ha fatto uno scherzo. Ha giocato a stare zitto era buio e mi sono spaventata un  poco e anche la mamma. Ma poi lo abbiamo visto e abbiamo riso tutti e papà mi ha preso sulle ginocchia invece di suonare il violino. Poi mi ha raccontato una favola che sembrava bella, ma poi è diventata brutta. Ha parlato del diavolo e ho capito che verrà in casa. Il diavolo è una persona cattiva, ho paura che ci farà del male.

- Ma come è possibile, come è successo?-
Giulia non riusciva a capire. Era felice della felicità di suo marito, ma continuava a essere preoccupata.
- Come è successo? - rispose l'uomo porgendo a sua moglie la lettera - leggi, leggi anche tu e dimmi se è vero o se ho sognato.-
Giulia prese il foglio dalla mano di Federico e iniziò a leggere.
Al di là del linguaggio freddamente legale, la lettera era tanto sorprendente quanto chiara.
Un'anziana signora, vedova di un facoltoso professionista, era recentemente passata a miglior vita.
Non avendo discendenti diretti o parenti stretti, aveva lasciato tutto l'ingente patrimonio, immobili, azioni e depositi bancari, a varie istituzioni benefiche. Ma c'era un legato destinato al maestro Federico Lugo. L'anziana signora l'aveva sentito suonare in un caffè l'estate precedente, durante uno dei suoi ultimi viaggi di piacere. Era rimasta colpita dalla sua bravura, ma sopratutto dalla sua gentilezza, perchè lei gli aveva chiesto di suonare alcune vecchie canzoni e il maestro, di buon grado, l'aveva accontentata dedicandole in più, di sua iniziativa, un frammento di un capriccio di Paganini.
La signora, deliziata, si era informata col proprietario del caffè e aveva fatto annotare alla sua accompagnatrice il nome di quel giovane musicista. Al ritorno nella sua Milano era andata dall'avvocato e aveva fatto aggiungere un legato al proprio testamento. L'oggetto altro non era che un antico violino, da molto tempo in possesso della famiglia. La lettera concludeva riportando, per esplicita volontà della signora, un passo del testamento:
"Sarebbe un peccato che uno strumento così bello rimanesse ancora silenzioso, come lo è stato per troppi anni, visto che nella nostra famiglia nessuno è più musicista dai tempi di mio nonno. Sono certa che quel giovane maestro ne farà un ottimo uso e gli auguro che lo possa aiutare nella sua carriera. In cambio gli chiedo di suonare, su questo violino, la "Romanza in Fa" di Beethoven ogni giorno anniversario della mia dipartita."
La lettera si concludeva con l'invito a recarsi a Milano, presso l'ufficio legale, per entrare in possesso del violino e veniva acclusa la copia della documentazione che comprovava la storia e l'autenticità dello strumento.
- Capisci adesso cara? - disse Federico, mentre faceva saltare sulle ginocchia Roberta che aveva ripreso la sua consueta espressione allegra. - Me la ricordo quella signora, eccome: era seduta al caffè Marino, ricordi? Quello dove suonavo l'estate scorsa. Elegante, sorridente, gentilissima. Dopo che ebbi suonato per lei mi applaudì con calore e mi lasciò quella mancia generosissima, cento euro, te ne avevo parlato.-
Giulia annuì in silenzio - Poi Bini, il proprietario, mi disse che si era informata su di me, ma proprio non avrei pensato a questo. E invece... sai, ho già telefonato agli avvocati di Milano, Lunedì nel pomeriggio mi aspettano, mi consegneranno il violino.- concluse Federico, abbracciando Giulia ancora incredula e commossa.

- Signor Lugo, le consegno il violino chiamato "La voce del diavolo", capolavoro di liuteria del Guarneri del Gesù. Ora è suo.- L'avvocato, attorniato da un paio di assistenti, porse con un sorriso professionale l'elegante custodia nera a Federico, che la prese a due mani, con la stessa delicata goffagine con la quale avrebbe sostenuto un lattante.
- Il violino - proseguì l'avvocato - era affidato a un maestro liutaio. E' stato suonato regolarmente, mi dicono il legno della cassa si rovinerebbe se non lo si facesse, ed è stato mantenuto in condizioni ottimali. Per cortesia, controlli anche lei e firmi la liberatoria. -
Emozionatissimo, Federico aprì la custodia. Dentro, protetto da una fodera di morbido tessuto rosso, il violino gli si presentò alla vista nello splendore delle sue forme sinuose, nei colori dei legni pregiati e delle vernici segrete. A parte, un archetto dall'aspetto altrettanto antico e prezioso.
Federico prese per prima cosa l'archetto e gli sfuggì un'esclamazione di sorpresa:
- Ma questo sembra... anzi è un magnifico Eury del 1810, già lui da solo vale una fortuna!-
Poi, quasi religiosamente, estrasse il violino. Lo accarezzò come si accarezza una creatura viva, lo osservò da ogni lato, sfiorandone appena i vari componenti. La sua voce era incrinata dall'emozione quando alla fine mormorò, quasi più a sé stesso: - E' il più bello che abbia mai visto e sembra in condizioni perfette. Ma per esserne certo lo dovrei suonare.-
L'avvocato diede un'occhiata ai suoi assistenti e guardò l'orologio. Infine, con tono rassegnato, rispose che lo capiva, che suonasse pure, ma per favore non più di cinque minuti.
Federico portò il violino alla spalla e ne provò l'intonazione. Con sua sorpresa era praticamente perfetta.
Non esitò più. Certo, avrebbe dovuto adattare la sua tecnica al nuovo strumento, la lunghezza della tastiera gli pareva maggiore, di sicuro l'archetto aveva un peso e un bilanciamento diverso, ma non importava, l'affiatamento sarebbe arrivato, lo sentiva.
Decise di provare a fondo le possibilità dello strumento, se Paganini ne aveva usato uno molto simile, lui si trovava a suonare un violino eccezionale, ed eccezionale doveva essere la prova.
Con estrema attenzione, incurante della curiosità impaziente dell'intero studio legale, innalzò di una terza l'accordatura della quarta corda, provandola con brevi tocchi d'archetto, e solo quando fu soddisfatto del risultato trasse un respiro profondo prima di attaccare le "tre variazioni" della sonata "Napoleone" di Paganini.
Sin dalle prime note si accorse che il violino cantava come mai lui era riuscito a far cantare uno strumento. Suoni perfetti sembravano scaturire per volontà propria, dolci ma pieni e potenti. I più gravi riempivano la stanza di morbido velluto, i più acuti si arrampicavano dalla quarta corda sino all'impossibile ed erano di seta finissima, mai stridenti né flebili. E poi avvenne qualcosa che non aveva sperimentato prima d'allora: la stanza non c'era più, non c'era più l'avvocato con la sua corte, e non c'erano più limiti a ciò che lui sarebbe riuscito ad esprimere. Tempo, spazio, luogo, nulla lo toccava, niente aveva importanza; esistevano solo le sue mani, il suo violino e la sua arte, perchè il "fuoco", ciò che gli era sempre mancato, adesso lo sentiva dentro, partiva dal profondo della sua anima, saliva lungo le sue braccia e si propagava al violino attraverso le dita, sensibili ed agili come non mai.
Erano passati ben più dei cinque minuti concessi quando Federico staccò l'archetto dalle corde, lasciando che l'eco dell'ultima nota andasse a smorzarsi sul dorso dei polverosi codici allineati sulle mensole.
Nell'austero studio, concepito da esperti architetti per soggiogare i clienti e dare un segno tangibile di solidità, gli avvocati erano rimasti soggiogati da quel profluvio di note purissime e la solidità delle loro espressioni professionali si era sciolta in pieghe di stupore e ammirazione.
Vi fu un momento di silenzio, poi un applauso tanto spontaneo quanto entusiasta proruppe da quel pubblico improvvisato, forse consapevole di aver assistito al primo concerto di un futuro protagonista delle scene musicali internazionali.

Papà è tornato a casa con un violino nuovo quello che si chiama diavolo. E' tanto contento e lo ha fatto vedere alla mamma e a me. Mi ha detto che adesso diventerà famoso io non so cosa vuol dire ma ha detto che andrà a fare delle cose che si chiamano concerti in tutto il mondo. Ma se andrà in tutto il mondo non starà più con noi. Sarà colpa del diavolo che è cattivo.

Erano trascorsi quasi due anni da quel pomeriggio a Milano e come Federico aveva previsto, molte cose erano cambiate nella sua vita.
Non più stucchevoli "Ave Maria" ai matrimoni, finiti i pomeriggi a sciogliersi dal caldo nei caffè del lungomare, tra turisti indifferenti e rumore di autobus puzzolenti, tutto per poter dire che la famiglia non viveva solo del lavoro di Giulia.
La storia del Guarneri restituito all'arte era finita sui giornali e il violino, più che il suo proprietario, era stato invitato come ospite a un pomeriggio televisivo. Anche quella volta, come accaduto nello studio dell'avvocato, la coppia formata dal violino e dal violinista si era fusa in una sorta di simbiosi artistica, esibendosi in una serie di brani eseguiti in maniera così perfetta e trascinante da meritare l'ovazione del pubblico e i commenti di unanime ammirazione da parte dei critici.
Da lì, la carriera di Federico era decollata verso spazi apparentemente senza limiti. Le sue qualità di interprete erano finalmente state riconosciute e nessuno si azzardava più a parlare solo dello stupendo Guarneri, ma era il maestro Federico Lugo che si esibiva suonando uno strumento di grande pregio.
Ma ogni medaglia ha il suo rovescio. Se è difficile, estenuante, attendere per anni la fama e le soddisfazioni che ne derivano, è ancora più difficile gestire il successo quando esso arriva all'improvviso. Federico non aveva avuto modo di esercitarsi in quell'arte particolare, fatta di umiltà, prudenza e scaltrezza, che permette a chi si trova sotto i riflettori di non subire dolorosi contraccolpi e cocenti delusioni. Era quindi inevitabile che dovesse presto sperimentare quali trappole potevano nascondersi nelle pieghe oscure della notorietà.
Prima fra tutte, la continua, prolungata assenza dai propri affetti, che lo attendevano a casa. Naturalmente la casa non era più quella modesta e piuttosto squallida dei tempi delle continue delusioni e dello scoramento. Coi primi proventi dei concerti si erano trasferiti in una villetta nel verde, non ancora una dimora di lusso ma certamente un luogo dove era bello trascorrere le ore di studio e riposo tra un viaggio a Berlino e una serie di concerti negli Stati Uniti, tra un'esibizione alla Scala e un concerto privato per Sua Santità. Ma, per quanto bella e confortevole, chi restava in quella casa attendendolo per settimane, un poco rimpiangeva l'appartamentino sul cortile dove Federico era sempre con i suoi cari.
Ma c'erano altre insidie ancora più sottili. Il successo nell'arte, in qualsiasi arte, da sempre costituisce un eccellente afrodisiaco per il sesso opposto, e Federico, un bell'uomo dallo sguardo un po' sognante, pareva diventato la preda più ambita di molte delle affascinanti e sofisticate signore che gravitano attorno al mondo delle sale da concerto. Per la verità la preda, che mai si era trovata ad essere tale, si sentiva toccata nella sua vanità e si era dimostrata non molto abile nell'arte della fuga che, se rientrava nel suo repertorio musicale, non aveva mai praticato nella vita di tutti i giorni.
E inevitabilmente qualcosa era cambiato, in peggio, nell'atmosfera che si respirava nella famiglia. Quando era a casa, sembrava che tutte le attenzioni di Federico fossero concentrate sulla sua carriera e sopratutto sul suo violino, dal quale non si separava mai e che pareva accarezzare non solo con l'archetto ma con le mani e con gli occhi, e sul quale passava lunghe ore per lo studio, come affermava, ma che a Giulia e Roberta parevano piuttosto duetti d'amore dai quali si sentivano escluse.
La piccola Roberta era cresciuta, ora aveva tanti giocattoli e sua madre le stava vicina tutto il giorno, perchè non aveva più bisogno di lavorare. Eppure sembrava intristita, come se le fosse venuta a mancare qualche cosa di importante.

E' tutta colpa di quel violino del diavolo. Da quando è entrato in casa sono successe tante cose, e molte sono brutte. Papà è sempre meno con noi e quando c'è non ha tempo di giocare con me. Passa il suo tempo a suonare quel violino. Lui dice che studia, ma io vedo come lo guarda, come l'accarezza, e come ne è geloso. Non permette che io lo tocchi, se mi avvicino mentre suona mi sgrida perchè lo disturbo, e nemmeno la mamma può farlo. Ieri poi ho sentito la mamma piangere e gridare con papà. Loro pensavano che io dormissi, ma ero lì fuori dalla porta e ho sentito tutto. La mamma diceva che papà quando era via andava con altre donne, i giornali avevano pubblicato delle fotografie. Io non ho capito cosa ci fosse di male, ma la mamma urlava e papà aveva un tono cattivo. Non volevo più sentirli e sono corsa a letto a piangere. E' il diavolo che fa succedere queste cose, come fanno a non capirlo?

Dopo qualche giorno piuttosto burrascoso trascorso a casa, quella mattina i bagagli di Federico erano pronti. L'attendeva una lunga tournèe nelle grandi città di quella che una volta era l'Unione Sovietica. Il primo concerto sarebbe stato proprio a San Pietroburgo, dove le note prodigiose del Guarneri avrebbero di nuovo fatto vibrare i ricchi addobbi del teatro di corte degli zar. Un evento con un forte richiamo emotivo, visto che proprio all'Ermitage si erano perse le tracce del magnifico violino, poi misteriosamente ricomparso in Francia, forse portatovi da uno tra i molti nobili che furono costretti a fuggire in quel paese a seguito della rivoluzione.
Il violino, nella sua elegante custodia, era posato sul tavolo, accanto alle valigie. Naturalmente Federico lo avrebbe portato personalmente, senza mai separarsene nemmeno per un istante durante tutto il viaggio.
Al piano di sopra era in corso una violenta discussione, ultima di una serie che si trascinava da molti giorni.
- Lo so benissimo di quella donna, la contessa, o baronessa che sia. Ci sarà anche a San Pietroburgo, ti segue dappertutto, io li leggo i giornali, cosa credi?-
- Cosa vuoi che ne sappia io? Io non ho il tempo di leggerli, i giornali, e di quella donna non so nulla, come devo dirtelo? - La voce di Federico era più stanca che arrabbiata, mentre quella di Giulia suonava quasi isterica.
- Certo, non ne sai niente, e non sapevi niente nemmeno di quella troia, scusa, attrice americana, Patricia qualcosa, quella con la quale ti hanno beccato al ristorante a San Francisco, vero?-
In fondo alle scale, Roberta ascoltava, gli occhi pieni di paura e di lacrime.

Papà e la mamma non si vogliono più bene, oramai le capisco queste cose, sono grande e vado a scuola. La mia compagna Diana mi ha raccontato che suo papà se ne è andato, Litigavano sempre, lui e la mamma, e un giorno le avevano detto che non sarebbero più vissuti insieme. Ora Diana vede il papà due volte al mese, e in casa c'è un altro uomo che vuole bene alla mamma ma che a Diana proprio non piace. Ma a me non succederà, io lo so che la colpa è del violino del diavolo, da quando è arrivato, papà non è più stato lo stesso. Io farò in modo che tutto torni come prima, poi mio papà vorrà di nuovo bene a me e alla mamma.

Roberta corse nello studio del padre, aprì un mobile e ne trasse il vecchio violino, quello che giaceva abbandonato da quando il Guarneri era entrato nelle loro vite. Tornò di fretta nell'ingresso, mentre dalle scale le giungevano le voci sempre più alterate dei suoi genitori.
Avrebbe voluto tapparsi le orecchie con le mani per non sentire, ma aveva una cosa troppo importante da fare e le mani le servivano.
Ebbe un momento di paura nell'aprire la custodia del Guarneri: se suo padre fosse sceso e l'avesse sorpresa, sarebbero stati guai seri, ne era certa. Ma Roberta aveva preso da lui la determinazione, e si fece forza. Estrasse il Guarneri e lo sostituì col vecchio violino. Poi chiuse di nuovo la custodia.
Di sicuro, pensò, suo padre non si sarebbe accorto di nulla per un po', almeno sino a quando non avesse voluto estrarre il violino.
Teneva in mano il prezioso Guarneri come se scottasse, in fondo, nella sua immaginazione, "la voce del diavolo" non poteva che venire dall'inferno, e si aspettava che da un momento all'altro potesse emettere fuoco e fiamme.
Aprì la porta e corse in giardino. Sapeva esattamente cosa fare.
Quel violino era il male, era il diavolo, ma non avrebbe distrutto la sua felicità, pensava tra le lacrime, mentre con le manine scavava nella terra smossa il giorno prima dal giardiniere, per seminare qualcosa.
Stava ancora ricoprendo il violino, un pugno di terra dopo l'altro, quando udì fermarsi davanti al cancello il taxi che avrebbe accompagnato suo padre all'aeroporto. Si affrettò a finire la sua opera, ammucchiando freneticamente la terra e poi battendoci sopra col palmo della mano, come faceva da piccina con la sabbia sulla spiaggia, mentre costruiva i castelli con suo padre. Poi, sporca e sudata, si avviò verso casa. Forse avrebbe fatto in tempo a prendersi il bacio di arrivederci di suo padre.
Ma il taxi era già ripartito, Federico, ancora sconvolto per la discussione, aveva fatto caricare le valigie in tutta fretta e si era infilato nell'auto tenendo in mano la custodia del violino.
Seduto sul sedile posteriore, stava tentando di recuperare la calma. Il tragitto verso l'aeroporto sarebbe stato lungo; forse, pensò, guardare, toccare, il suo violino lo avrebbe calmato, per lui quel contatto aveva qualcosa di magico. Si chinò per aprire i ganci della custodia.
Dietro di lui, sul cancello, Roberta guardava il taxi allontanarsi.
Piangeva, e le lacrime lasciavano tracce nerastre sul suo visino sporco di terra.
Avrebbe tanto voluto abbracciare suo papà e dirgli di stare contento, perchè lei aveva aggiustato tutto e lo aspettava, e lo aspettava anche la mamma. Tutto sarebbe tornato come prima.

 

 
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