Tutto come prima
Nella
stanza al piano terreno la luce pomeridiana entrava a fatica, attraverso una
finestrella munita di sbarre ma ingentilita da candide tendine ricamate. Nella
zona rischiarata meglio, un esile leggio sorreggeva uno spartito di Bach: fuga dalla sonata 1002.
Federico Lugo, un uomo di una trentina d'anni, magro,
dal profilo affilato, diplomato in violino presso un prestigioso conservatorio,
abbassò l'archetto e gettò con rabbia il violino sul divano. Era la quinta
volta che ripeteva un passaggio particolarmente difficile, ma non era contento
del risultato; come al solito, sentiva che alla sua
esecuzione mancava qualcosa.
Aveva passato anni della sua vita inseguendo il sogno di diventare un famoso
concertista e per farlo diventare realtà non aveva risparmiato né energie né
tempo: dopo il conservatorio aveva continuato a studiare, a esercitarsi con
passione ore e ore per prepararsi a concorsi che lo avrebbero fatto entrare nel
mondo della musica che conta, o almeno gli avrebbero assicurato un posto di
prestigio in qualche grande orchestra sinfonica. Ma dopo tutto quel lavoro e
tutti i sacrifici, suoi e di chi gli stava vicino, era ancora un oscuro
musicista come tanti, costretto a vivere del lavoro di sua moglie, Giulia, dei
proventi di qualche esibizione ai matrimoni e, nella buona stagione, dei
concerti nei caffè del lungomare, dove i turisti gli chiedevano invariabilmente
"O sole mio".
Intanto la famiglia era cresciuta; la piccola Roberta, un dono del cielo giunto
in realtà troppo presto, aveva già quattro anni e nonostante tutto era una
bella bambina felice.
Il papà gioca tanto con me, lui sta a casa e quando non suona il violino mi fa tante coccole,
oppure mi porta al parco giochi. Mi piace tanto anche quando suona, la mamma
dice che ci sono pochi papà bravi a suonare come il mio ma
io preferisco quando gioca con me.
Federico
si sedette accigliato accanto al suo violino, uno strumento di scarso valore e
ancor più scarso pregio, ma era tutto quello che aveva potuto permettersi. Un
giorno, forse, se avessero risparmiato ancora, se fosse riuscito ad avere
qualche serata in più, se, se... c'era poco da sperare, era davanti al suo
fallimento e non vedeva come le cose avrebbero potuto cambiare. Sapeva di
essere in possesso di un'ottima tecnica, in grado di fargli affrontare
qualsiasi spartito, ma gli mancava qualcosa per essere davvero bravo. Oramai se
ne era convinto: era soltanto un buon artigiano della musica, gli faceva
difetto il "fuoco", la capacità di andare oltre le note scritte per
interpretarle col cuore e le viscere, come solo sanno fare i grandi artisti.
Era inutile illudersi ancora, non ce l'avrebbe mai
fatta.
Questi amari pensieri furono interrotti dallo squillo perentorio del campanello
della porta.
Federico sperò non si trattasse ancora dell'amministratore che portava le
proteste del vicinato per il suo ossessivo esercitarsi. Beh, da domani avrebbe
smesso, potevano stare tranquilli.
Tirò un sospiro di sollievo quando si trovò davanti al
postino, ma il sospiro gli si bloccò in petto nel rendersi conto che gli era
stato consegnato un plico raccomandato con l'intestazione di un famoso studio
legale di Milano. A Federico tremarono le gambe.
Era perfettamente consapevole di dovere quattro... no cinque mesi di affitto
arretrato e di essere indietro di almeno due rate dei modesti mobili che
avevano acquistato per dare un po' di vivibiltà
all'appartamentino dove vivevano. In sospeso vi erano pure altri piccoli debiti
coi negozianti del paese, che magari si erano stancati di
essere brave e pazienti persone.
La grossa busta gli scottava in mano e non si decideva ad aprirla. Non riusciva
a capire cosa avesse a che fare un noto avvocato di Milano, a centinaia di
chilometri di distanza, con i suoi debiti nel vicinato. Certamente la sola
parcella per scrivere quella raccomandata avrebbe coperto tutti i suoi
pagamenti arretrati e ne sarebbe anche avanzato, ragionò. E questo lo portò a
concludere che dovesse trattarsi di qualcosa ben più grave delle poche migliaia
di Euro che doveva; forse qualcuno gli stava facendo causa per chissà quale
oscuro motivo.
Per saperlo avrebbe dovuto decidersi a leggere il contenuto di quel plico
minaccioso.
Tornò a sedersi e aprì senza altre esitazioni la grossa busta, ne estrasse
quello che pareva un fascio di fotocopie, accompagnato da una lettera su carta
intestata dello studio legale e firmata con un bellissimo svolazzo proprio dal
famoso avvocato il cui nome ricorreva spesso sui giornali.
Federico impiegò pochi minuti a leggerla, sbiancò in volto e si mise a
sfogliare febbrilmente gli allegati. Quando ebbe finito di esaminarli,
confrontarli, rileggerli, corse a prendere uno dei suoi libri dei tempi del
conservatorio. Trovò il capitolo che cercava e quello che lesse confermò in
pieno ciò che i documenti affermavano. Si sedette di nuovo, incredulo, infine
prese il cellulare e si permise una delle sue rarissime telefonate, componendo
il numero che compariva sull'intestazione della lettera.
Fuori,
nel cortile sul quale si affacciava l'abitazione, alcuni bambini del palazzo
giocavano ridendo proprio sotto la finestrella con le inferriate, oramai in
ombra da diverso tempo.
Giulia era passata a prendere la piccola Roberta dall'asilo dove la lasciava
tutte le mattine, recandosi al suo lavoro precario e mal pagato. Era stanca e
triste, come le accadeva oramai troppo spesso, ma resisteva. Era sicura che un
giorno il suo Federico avrebbe sfondato come si meritava, e tutto sarebbe
cambiato in meglio.
Estrasse la chiave, ma si fermò preoccupata: non udiva il suono del violino, e
non l'aveva sentito nemmeno passando dal cortile. Era molto insolito,
quelle ore di tranquillità suo marito le dedicava sempre all'affinamento
della tecnica e all'ampliamento del repertorio.
Entrò con una certa ansia e si affrettò verso il piccolo salotto, seguita dalla
bambina.
- Federico, cosa ci fai al buio su quel divano, mio
Dio, ti senti male caro? -
- Ciao papà, perchè non suoni? - squillò a sua volta la voce di Roberta.
Ma Federico stava bene, anzi benissimo. Abbracciò la piccina che gli si
era precipitata sulle ginocchia e fece un largo sorriso a entrambe quelle
creature che gli avevano resa sopportabile la vita sino ad allora.
Federico finse di non rispondere a Giulia e invece rivolse la sua attenzione
alla piccina. Le mostrò i fogli che stavano sparsi sul divano e la guardò negli
occhi: - Questi fogli raccontano una bellissima storia, la vuoi sentire?-
- Certo papà, è una favola?-
- Sì, è come una favola. C'era una volta un magnifico violino, costruito da uno
dei migliori liutai del mondo. Il violino aveva un nome bizzarro e inquietante:
"La voce del diavolo". Il nome era dovuto
alla voce molto particolare dello strumento: così dolce ma così potente da
sembrare quella che si dice abbia il diavolo in persona. Il violino ebbe
diversi padroni e arrivò persino in una grande reggia in un posto lontano,
chiamato San Pietroburgo -. Fabrizio raccontava alla
bambina, ma guardava spesso sua moglie, che stava ancora in piedi e non sapeva
se sorridere o continuare a preoccuparsi.
- Poi - riprese con tono cupo - accadde una rivoluzione, una specie di guerra,
e la reggia dove era custodito il violino venne
saccheggiata. Del violino non si seppe più nulla per molti anni, sino a quando, un bel giorno, un signore italiano in viaggio per
il nord della Francia entrò in una botteguccia di
rigattiere, un posto dove si vendono cose vecchie, e vide un violino pieno di
polvere, ma gli sembrò molto bello. L'acquistò e lo portò a casa, in Italia, e
lì lo diede a un suo amico che costruiva violini perchè lo restaurasse. Fu
allora che fu subito riconosciuto per quello che era. Insomma, avrai capito che
quel violino era proprio "La voce del diavolo", e adesso una vecchia
signora lo ha regalato a tuo papà, perchè lo possa suonare nei suoi concerti.-
Guardò sua moglie con l'espressione di un ragazzino felice: - Pensa, un Guarneri del Gesù, forse ancora migliore del famoso
"Cannone", quello di Paganini! E presto
sarà qui, a casa nostra!-
Federico stava ancora gustandosi l'espressione stupita di Giulia, e così non
vide il visino di Roberta farsi serio, quasi pensieroso. Pareva volesse dire
qualcosa, ma suo padre parlava con la mamma, così rimase in silenzio.
Papà ci ha fatto uno
scherzo. Ha giocato a stare zitto era buio e mi sono spaventata
un poco e anche la mamma. Ma poi lo abbiamo visto e abbiamo
riso tutti e papà mi ha preso sulle ginocchia invece di suonare il violino. Poi
mi ha raccontato una favola che sembrava bella, ma poi è diventata brutta. Ha
parlato del diavolo e ho capito che verrà in casa. Il diavolo è una persona
cattiva, ho paura che ci farà del male.
-
Ma come è possibile, come è successo?-
Giulia non riusciva a capire. Era felice della felicità di suo marito, ma
continuava a essere preoccupata.
- Come è successo? - rispose l'uomo porgendo a sua moglie la lettera - leggi,
leggi anche tu e dimmi se è vero o se ho sognato.-
Giulia prese il foglio dalla mano di Federico e iniziò a leggere.
Al di là del linguaggio freddamente legale, la lettera era tanto sorprendente quanto chiara.
Un'anziana signora, vedova di un facoltoso professionista, era recentemente
passata a miglior vita.
Non avendo discendenti diretti o parenti stretti, aveva lasciato tutto
l'ingente patrimonio, immobili, azioni e depositi bancari, a varie istituzioni
benefiche. Ma c'era un legato destinato al maestro Federico Lugo.
L'anziana signora l'aveva sentito suonare in un caffè l'estate precedente,
durante uno dei suoi ultimi viaggi di piacere. Era rimasta colpita dalla sua bravura, ma sopratutto dalla sua gentilezza, perchè lei gli
aveva chiesto di suonare alcune vecchie canzoni e il maestro, di buon grado,
l'aveva accontentata dedicandole in più, di sua iniziativa, un frammento di un
capriccio di Paganini.
La signora, deliziata, si era informata col proprietario del caffè e aveva
fatto annotare alla sua accompagnatrice il nome di quel giovane musicista. Al
ritorno nella sua Milano era andata dall'avvocato e aveva fatto aggiungere un
legato al proprio testamento. L'oggetto altro non era che un antico violino, da
molto tempo in possesso della famiglia. La lettera concludeva riportando, per
esplicita volontà della signora, un passo del testamento:
"Sarebbe un peccato che uno strumento così bello rimanesse ancora
silenzioso, come lo è stato per troppi anni, visto che nella nostra famiglia
nessuno è più musicista dai tempi di mio nonno. Sono certa che quel giovane
maestro ne farà un ottimo uso e gli auguro che lo possa aiutare nella sua
carriera. In cambio gli chiedo di suonare, su questo violino, la "Romanza
in Fa" di Beethoven ogni giorno anniversario
della mia dipartita."
La lettera si concludeva con l'invito a recarsi a Milano, presso l'ufficio
legale, per entrare in possesso del violino e veniva
acclusa la copia della documentazione che comprovava la storia e l'autenticità
dello strumento.
- Capisci adesso cara? - disse Federico, mentre faceva saltare sulle ginocchia
Roberta che aveva ripreso la sua consueta espressione allegra. - Me la ricordo
quella signora, eccome: era seduta al caffè Marino, ricordi? Quello dove
suonavo l'estate scorsa. Elegante, sorridente, gentilissima. Dopo che ebbi
suonato per lei mi applaudì con calore e mi lasciò quella mancia generosissima,
cento euro, te ne avevo parlato.-
Giulia annuì in silenzio - Poi Bini, il proprietario, mi disse che si era
informata su di me, ma proprio non avrei pensato a questo. E invece... sai, ho
già telefonato agli avvocati di Milano, Lunedì nel pomeriggio mi aspettano, mi
consegneranno il violino.- concluse Federico, abbracciando Giulia ancora
incredula e commossa.
-
Signor Lugo, le consegno il violino chiamato "La
voce del diavolo", capolavoro di liuteria del Guarneri
del Gesù. Ora è suo.- L'avvocato, attorniato da un paio di assistenti, porse
con un sorriso professionale l'elegante custodia nera a Federico, che la prese
a due mani, con la stessa delicata goffagine con la
quale avrebbe sostenuto un lattante.
- Il violino - proseguì l'avvocato - era affidato a un maestro liutaio. E'
stato suonato regolarmente, mi dicono il legno della cassa si rovinerebbe se
non lo si facesse, ed è stato mantenuto in condizioni
ottimali. Per cortesia, controlli anche lei e firmi la liberatoria. -
Emozionatissimo, Federico aprì la custodia. Dentro,
protetto da una fodera di morbido tessuto rosso, il violino gli si presentò alla
vista nello splendore delle sue forme sinuose, nei colori dei legni pregiati e
delle vernici segrete. A parte, un archetto dall'aspetto altrettanto antico e
prezioso.
Federico prese per prima cosa l'archetto e gli sfuggì un'esclamazione di
sorpresa:
- Ma questo sembra... anzi è un magnifico Eury del 1810, già lui da solo vale una fortuna!-
Poi, quasi religiosamente, estrasse il violino. Lo accarezzò come si accarezza una creatura viva, lo osservò da ogni lato,
sfiorandone appena i vari componenti. La sua voce era incrinata dall'emozione quando alla fine mormorò, quasi più a sé stesso: -
E' il più bello che abbia mai visto e sembra in condizioni perfette. Ma per
esserne certo lo dovrei suonare.-
L'avvocato diede un'occhiata ai suoi assistenti e guardò l'orologio. Infine,
con tono rassegnato, rispose che lo capiva, che suonasse pure, ma per favore
non più di cinque minuti.
Federico portò il violino alla spalla e ne provò l'intonazione. Con sua
sorpresa era praticamente perfetta.
Non esitò più. Certo, avrebbe dovuto adattare la sua tecnica al nuovo
strumento, la lunghezza della tastiera gli pareva maggiore, di sicuro
l'archetto aveva un peso e un bilanciamento diverso, ma non importava,
l'affiatamento sarebbe arrivato, lo sentiva.
Decise di provare a fondo le possibilità dello strumento, se Paganini ne aveva usato uno molto simile, lui si trovava a
suonare un violino eccezionale, ed eccezionale doveva essere la prova.
Con estrema attenzione, incurante della curiosità impaziente dell'intero studio
legale, innalzò di una terza l'accordatura della quarta corda, provandola con
brevi tocchi d'archetto, e solo quando fu soddisfatto del risultato trasse un
respiro profondo prima di attaccare le "tre variazioni" della sonata
"Napoleone" di Paganini.
Sin dalle prime note si accorse che il violino cantava come mai lui era
riuscito a far cantare uno strumento. Suoni perfetti sembravano scaturire per
volontà propria, dolci ma pieni e potenti. I più gravi riempivano la stanza di
morbido velluto, i più acuti si arrampicavano dalla quarta corda sino
all'impossibile ed erano di seta finissima, mai stridenti né flebili. E poi
avvenne qualcosa che non aveva sperimentato prima d'allora: la stanza non c'era
più, non c'era più l'avvocato con la sua corte, e non c'erano più limiti a ciò
che lui sarebbe riuscito ad esprimere. Tempo, spazio, luogo, nulla lo toccava,
niente aveva importanza; esistevano solo le sue mani, il suo violino e la sua
arte, perchè il "fuoco", ciò che gli era sempre mancato, adesso lo
sentiva dentro, partiva dal profondo della sua anima, saliva lungo le sue
braccia e si propagava al violino attraverso le dita, sensibili ed agili come
non mai.
Erano passati ben più dei cinque minuti concessi quando
Federico staccò l'archetto dalle corde, lasciando che l'eco dell'ultima nota
andasse a smorzarsi sul dorso dei polverosi codici allineati sulle mensole.
Nell'austero studio, concepito da esperti architetti per soggiogare i clienti e
dare un segno tangibile di solidità, gli avvocati erano rimasti soggiogati da
quel profluvio di note purissime e la solidità delle loro espressioni
professionali si era sciolta in pieghe di stupore e ammirazione.
Vi fu un momento di silenzio, poi un applauso tanto spontaneo quanto entusiasta
proruppe da quel pubblico improvvisato, forse consapevole di aver assistito al
primo concerto di un futuro protagonista delle scene musicali internazionali.
Papà è tornato a casa con un violino nuovo quello
che si chiama diavolo. E' tanto contento e lo ha fatto vedere alla mamma e a
me. Mi ha detto che adesso diventerà famoso io non so cosa vuol dire ma ha detto che andrà a fare delle cose che si chiamano
concerti in tutto il mondo. Ma se andrà in tutto il mondo non starà più con
noi. Sarà colpa del diavolo che è cattivo.
Erano
trascorsi quasi due anni da quel pomeriggio a Milano e come Federico aveva
previsto, molte cose erano cambiate nella sua vita.
Non più stucchevoli "Ave Maria" ai matrimoni, finiti i pomeriggi a
sciogliersi dal caldo nei caffè del lungomare, tra turisti indifferenti e
rumore di autobus puzzolenti, tutto per poter dire che la famiglia non viveva
solo del lavoro di Giulia.
La storia del Guarneri restituito all'arte era finita
sui giornali e il violino, più che il suo proprietario, era stato invitato come
ospite a un pomeriggio televisivo. Anche quella volta, come accaduto nello
studio dell'avvocato, la coppia formata dal violino e dal violinista si era
fusa in una sorta di simbiosi artistica, esibendosi in una serie di brani
eseguiti in maniera così perfetta e trascinante da meritare l'ovazione del
pubblico e i commenti di unanime ammirazione da parte dei critici.
Da lì, la carriera di Federico era decollata verso spazi apparentemente senza
limiti. Le sue qualità di interprete erano finalmente state riconosciute e
nessuno si azzardava più a parlare solo dello stupendo Guarneri,
ma era il maestro Federico Lugo che si esibiva
suonando uno strumento di grande pregio.
Ma ogni medaglia ha il suo rovescio. Se è difficile, estenuante, attendere per
anni la fama e le soddisfazioni che ne derivano, è ancora più difficile gestire
il successo quando esso arriva all'improvviso.
Federico non aveva avuto modo di esercitarsi in quell'arte
particolare, fatta di umiltà, prudenza e scaltrezza, che permette a chi si
trova sotto i riflettori di non subire dolorosi contraccolpi e cocenti
delusioni. Era quindi inevitabile che dovesse presto sperimentare quali
trappole potevano nascondersi nelle pieghe oscure della notorietà.
Prima fra tutte, la continua, prolungata assenza dai
propri affetti, che lo attendevano a casa. Naturalmente la casa non era più
quella modesta e piuttosto squallida dei tempi delle continue delusioni e dello
scoramento. Coi primi proventi dei concerti si erano trasferiti in una villetta
nel verde, non ancora una dimora di lusso ma certamente un luogo dove era bello
trascorrere le ore di studio e riposo tra un viaggio a Berlino e una serie di
concerti negli Stati Uniti, tra un'esibizione alla Scala e un concerto privato
per Sua Santità. Ma, per quanto bella e confortevole, chi restava in quella
casa attendendolo per settimane, un poco rimpiangeva l'appartamentino sul
cortile dove Federico era sempre con i suoi cari.
Ma c'erano altre insidie ancora più sottili. Il successo nell'arte, in
qualsiasi arte, da sempre costituisce un eccellente afrodisiaco per il sesso
opposto, e Federico, un bell'uomo dallo sguardo un
po' sognante, pareva diventato la preda più ambita di molte delle affascinanti
e sofisticate signore che gravitano attorno al mondo delle sale da concerto.
Per la verità la preda, che mai si era trovata ad essere tale, si sentiva
toccata nella sua vanità e si era dimostrata non molto abile nell'arte della
fuga che, se rientrava nel suo repertorio musicale, non aveva mai praticato
nella vita di tutti i giorni.
E inevitabilmente qualcosa era cambiato, in peggio, nell'atmosfera che si
respirava nella famiglia. Quando era a casa, sembrava
che tutte le attenzioni di Federico fossero concentrate sulla sua carriera e
sopratutto sul suo violino, dal quale non si separava mai e che pareva
accarezzare non solo con l'archetto ma con le mani e con gli occhi, e sul quale
passava lunghe ore per lo studio, come affermava, ma che a Giulia e Roberta
parevano piuttosto duetti d'amore dai quali si sentivano escluse.
La piccola Roberta era cresciuta, ora aveva tanti giocattoli e sua madre le
stava vicina tutto il giorno, perchè non aveva più bisogno di lavorare. Eppure
sembrava intristita, come se le fosse venuta a mancare qualche cosa di
importante.
E' tutta colpa di quel violino del diavolo. Da
quando è entrato in casa sono successe tante cose, e molte sono brutte. Papà è
sempre meno con noi e quando c'è non ha tempo di giocare con me. Passa il suo
tempo a suonare quel violino. Lui dice che studia, ma io vedo come lo guarda,
come l'accarezza, e come ne è geloso. Non permette che io lo tocchi, se mi avvicino mentre suona mi sgrida perchè lo disturbo, e
nemmeno la mamma può farlo. Ieri poi ho sentito la mamma piangere e gridare con
papà. Loro pensavano che io dormissi, ma ero lì fuori dalla
porta e ho sentito tutto. La mamma diceva che papà quando era via andava con
altre donne, i giornali avevano pubblicato delle fotografie. Io non ho capito
cosa ci fosse di male, ma la mamma urlava e papà aveva un tono cattivo. Non
volevo più sentirli e sono corsa a letto a piangere. E' il diavolo che fa
succedere queste cose, come fanno a non capirlo?
Dopo
qualche giorno piuttosto burrascoso trascorso a casa, quella mattina i bagagli
di Federico erano pronti. L'attendeva una lunga tournèe nelle grandi città di
quella che una volta era l'Unione Sovietica. Il primo concerto sarebbe stato
proprio a San Pietroburgo, dove le note prodigiose
del Guarneri avrebbero di nuovo fatto vibrare i
ricchi addobbi del teatro di corte degli zar. Un evento con un forte richiamo
emotivo, visto che proprio all'Ermitage si erano perse le tracce del magnifico violino, poi
misteriosamente ricomparso in Francia, forse portatovi da uno tra i molti
nobili che furono costretti a fuggire in quel paese a seguito della
rivoluzione.
Il violino, nella sua elegante custodia, era posato sul tavolo, accanto alle
valigie. Naturalmente Federico lo avrebbe portato personalmente, senza mai
separarsene nemmeno per un istante durante tutto il viaggio.
Al piano di sopra era in corso una violenta discussione, ultima di una serie
che si trascinava da molti giorni.
- Lo so benissimo di quella donna, la contessa, o baronessa che sia. Ci sarà anche a San Pietroburgo,
ti segue dappertutto, io li leggo i giornali, cosa credi?-
- Cosa vuoi che ne sappia io? Io non ho il tempo di leggerli, i giornali, e di
quella donna non so nulla, come devo dirtelo? - La voce di Federico era più
stanca che arrabbiata, mentre quella di Giulia suonava quasi isterica.
- Certo, non ne sai niente, e non sapevi niente nemmeno di quella troia, scusa,
attrice americana, Patricia qualcosa, quella con la quale ti hanno beccato al
ristorante a San Francisco, vero?-
In fondo alle scale, Roberta ascoltava, gli occhi pieni di paura e di lacrime.
Papà e la mamma non si vogliono più bene, oramai le
capisco queste cose, sono grande e vado a scuola. La mia compagna Diana mi ha
raccontato che suo papà se ne è andato, Litigavano sempre, lui e la mamma, e un
giorno le avevano detto che non sarebbero più vissuti insieme. Ora Diana vede
il papà due volte al mese, e in casa c'è un altro uomo
che vuole bene alla mamma ma che a Diana proprio non piace. Ma a me non
succederà, io lo so che la colpa è del violino del diavolo, da
quando è arrivato, papà non è più stato lo stesso. Io farò in modo che
tutto torni come prima, poi mio papà vorrà di nuovo
bene a me e alla mamma.
Roberta
corse nello studio del padre, aprì un mobile e ne trasse il vecchio violino,
quello che giaceva abbandonato da quando il Guarneri era entrato nelle loro vite. Tornò di fretta
nell'ingresso, mentre dalle scale le giungevano le voci sempre più alterate dei
suoi genitori.
Avrebbe voluto tapparsi le orecchie con le mani per non sentire, ma aveva una
cosa troppo importante da fare e le mani le servivano.
Ebbe un momento di paura nell'aprire la custodia del Guarneri:
se suo padre fosse sceso e l'avesse sorpresa, sarebbero stati guai seri, ne era
certa. Ma Roberta aveva preso da lui la determinazione, e si fece forza.
Estrasse il Guarneri e lo sostituì col vecchio
violino. Poi chiuse di nuovo la custodia.
Di sicuro, pensò, suo padre non si sarebbe accorto di nulla per un po', almeno
sino a quando non avesse voluto estrarre il violino.
Teneva in mano il prezioso Guarneri come se
scottasse, in fondo, nella sua immaginazione, "la voce del diavolo"
non poteva che venire dall'inferno, e si aspettava che da un momento all'altro
potesse emettere fuoco e fiamme.
Aprì la porta e corse in giardino. Sapeva esattamente cosa fare.
Quel violino era il male, era il diavolo, ma non avrebbe distrutto la sua
felicità, pensava tra le lacrime, mentre con le manine scavava nella terra smossa il giorno prima dal giardiniere, per
seminare qualcosa.
Stava ancora ricoprendo il violino, un pugno di terra dopo l'altro, quando udì
fermarsi davanti al cancello il taxi che avrebbe accompagnato suo padre
all'aeroporto. Si affrettò a finire la sua opera, ammucchiando freneticamente
la terra e poi battendoci sopra col palmo della mano, come faceva da piccina
con la sabbia sulla spiaggia, mentre costruiva i castelli con suo padre. Poi,
sporca e sudata, si avviò verso casa. Forse avrebbe fatto in tempo a prendersi
il bacio di arrivederci di suo padre.
Ma il taxi era già ripartito, Federico, ancora sconvolto per la discussione,
aveva fatto caricare le valigie in tutta fretta e si era infilato nell'auto
tenendo in mano la custodia del violino.
Seduto sul sedile posteriore, stava tentando di recuperare la calma. Il
tragitto verso l'aeroporto sarebbe stato lungo; forse, pensò, guardare,
toccare, il suo violino lo avrebbe calmato, per lui quel contatto aveva
qualcosa di magico. Si chinò per aprire i ganci della custodia.
Dietro di lui, sul cancello, Roberta guardava il taxi allontanarsi.
Piangeva, e le lacrime lasciavano tracce nerastre sul suo visino sporco di
terra.
Avrebbe tanto voluto abbracciare suo papà e dirgli di stare contento, perchè
lei aveva aggiustato tutto e lo aspettava, e lo aspettava anche la mamma. Tutto
sarebbe tornato come prima.