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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Potenze malefiche, di Stefano Giannini 06/06/2007
 

POTENZE  MALEFICHE

 

 

“Cari parrocchiani, dalle Sacre Scritture e dal Vangelo, apprendiamo che il diavolo esiste ed opera incessantemente nel mondo,  tutti i giorni possiamo notare come la sua opera demolitrice dello spirito e delle coscienze agisca sugli uomini rendendoli succubi al suo malefico potere.

Un esempio sono le guerre, l'odio fra persone anche dello stesso quartiere e addirittura dello stesso sangue, l'egoismo, le perversioni sessuali ecc…: Anche nella nostra piccola parrocchia, con il suo influsso malefico sta operando in alcune persone in modo molto evidente.

Ciò è reso visibile dal fatto che alcuni parrocchiani non vengono più in chiesa e non si accostano più ai Sacramenti, e quel che è peggio bestemmiano continuamente il Signore Gesù e la Sua Santissima Madre Maria con epiteti orrendi, blasfemi e irripetibili, che solo il demonio più suggerire…..; preghiamo tutti affinché l'opera demolitrice del diavolo cessi e queste anime ritornino presto all'ovile del Buon Pastore… .”

Questo era uno stralcio della predica che Don Olinto stava svolgendo dall'altare quella domenica mattina durante la Messa. Già da un po' di tempo il tema dell'omelia domenicale era sempre lo stesso : “Il diavolo “, che a suo parere si stava impossessando dell'anima dei suoi parrocchiani.

Anche altri preti, in quel periodo, consideravano il diavolo artefice e causa  di tutti i mali morali e materiali che portavano molti cristiani dritti all'inferno.

“Molti sono i chiamati e pochi saranno gli eletti”, “ Se non vi convertirete perirete nel fuoco della Geenna”, erano la frasi del vangelo, dette da Gesù, su cui facevano perno le loro prediche, trascurando l'aspetto della misericordia e l'immensa bontà di Dio nei confronti dei suoi figli, fatti a sua immagine e somiglianza, per i quali suo Figlio si è fatto uomo e poi crocifisso per riscattarli dal male e, con la risurrezione, portarli tutti all'eterna salvezza.

All'uscita dalla chiesa molti discutevano a bassa voce su quanto detto dal Don Olinto nella predica e avanzavano nomi di persone conosciute che non frequentavano più la chiesa, che proferivano maldicenze sui preti e bestemmiavano.

Nell'elenco di questi “peccatori incalliti” della parrocchia occupava da tempo il primo posto Costantino, il proprietario delle macchine trebbiatrici, con le quali in luglio e agosto girava tutta una vasta zona della collina ai lati della valle, passando per ogni podere a trebbiare il grano o l'orzo.

In effetti era famoso non solo come l'uomo delle trebbie, ma anche per le innumerevoli bestemmie che sciorinava continuamente e per il suo caratteraccio iroso e focoso. Anche quelle poche volte che era calmo e quasi tranquillo, intercalava una bestemmia ad ogni parola in un una normale conversazione, che, spesso, diveniva una accalorata e colorita discussione, dato che  voleva avere sempre ragione.

Se poi qualcosa andava storto, come quando, durante la trebbiatura del grano, un pezzo della trebbiatrice si rompeva, apriti cielo, o meglio apriti inferno, ne sgranava dei “rosari” interi, contro Dio, la Madonna e i Santi, di quelle tremende che facevano rabbrividire. Quando quella furia si scatenava, la mamme trascinavano via i bambini, portandoli lontano da quell' “orco” che vomitava, senza sosta, orrende bestemmie e parolacce.

“Dovrebbero portalo di forza da San Vicinio a Sarsina e mettergli la catena al collo, affinchè siano allontanati tutti i demoni che ha in corpo “

Diceva la gente fra sé.

Un giorno che la trebbia trainata da due paia di buoi veniva trasportata da un podere ad un'altro attraverso uno stretta e ripida mulattiera alquanto sconnessa, in un difficile passaggio, prima oscillò paurosamente, poi si ribaltò di schianto per la scarpata.

La caduta causò molti gravi danni alla struttura in legno della macchina; Costantino scattò con urli sovrumani e, mettendosi in ginocchio per terra con le mani rivolte al cielo come per pregare, per venti minuti proferì a squarciagola più di mille bestemmie, una più terribile dall'altra, dimostrando anche una perfida fantasia.

A volte, se don Olinto lo incontrava, lo esortava a controllarsi, perché oltre a perdere l'anima, procurava grande scandalo in tutta la parrocchia e il circondario, con tutto quel veleno che usciva dalla sua boccaccia.

Costantino, il tuo è un viziaccio maledetto che devi smettere se vuoi salvarti l'anima, altrimenti le porte dell'inferno si spalancheranno per te !”

Lui, con asprezza, rispondeva pressappoco così:

 Vai al diavolo, corvo nero ! Non rompermi il … ! Le prediche vai a farle in chiesa non a casa mia, io bestemmio quanto mi pare e piace, puttana  …., porco ….!.

Il povero Don Olinto si allontanava scosso e addolorato recitando giaculatorie in riparazione.

 

Un venerdì santo, prima della Pasqua, Costantino si trovava nel capannone dove stavano le trebbie, intento a ripararne una. Benché fosse solo, a ogni bullone che mal si avvitava, alla chiave che gli scivolava di mano, alla martellata che involontariamente si era dato sulla mano, sgranava come sempre imprecazioni e centinaia di bestemmie che “ bruciavano l'aria” come si diceva da quelle parti.

 

Fra Domenico, il vecchio eremita del Monte Carpegna, presso cui mi trovavo  ospite e che da anni aveva lasciato il convento ritirandosi a vivere solitario nell'eremo in cima a quest'aspro monte, fece una lunga pausa e con voce sommessa proseguì nel raccontare la storia di Costantino che aveva conosciuto molti anni prima ai piedi del Falterona: “mentre Costantino, preso dall'ira per i piccoli accidenti che gli stavano capitando in quel venerdì santo, continuava a snocciolare imprecazioni e bestemmie rivolte a tutte le divinità del Cielo, si sentì chiamare ripetutamente per nome.

Stizzito, per essere spiato e disturbato in quel frangente, chiese a gran voce:

Chi è che mi vuole ?!

La voce che proveniva dall'esterno del capannone riprese:

Costantino vieni fuori che ho bisogno di te ”.

Egli, inviperito, continuando a maledire e bestemmiare andò sulla porta. Eretto davanti a se, in piena luce del giorno, stava un giovane alto, distinto, elegantemente vestito con abito scuro e una valigetta ventiquattrore in mano.

Chi siete e cosa volete da me, non vi conosco ma vi dico subito che non mi occorre nulla”. Fu pronta la risposta.

Il giovane dai capelli neri, occhi chiari e freddi, con voce suadente, disse:

Sono un amico, e come tale sono venuto per aiutarti. So che ti sono capitate diverse disgrazie con le macchine trebbiatrici e che le cose non ti vanno troppo bene, ma io posso fare in modo che tutto vada per il meglio e in breve tu possa arricchire e vivere da gran signore tutta la vita….”.

Interrompendolo, Costantino, alquanto arrabbiato ma anche incuriosito da quanto questo giovane sconosciuto, dai modi garbati ma che gli dava del tu, andava dicendo, riprese:

Ho già detto che non mi serve nulla, ma se fossi interessato alle vostre proposte cosa vorreste in cambio ?”

Il giovane trasse dalla borsa nera un foglio stampato con inchiostro rosso e lo porse a Costantino:

“Devi solo opporre la tua firma su questo contratto”, così dicendo gli allungò anche la penna.

Costantino preso il foglio, inforcò gli occhiali e si accinse a leggere le condizioni di questo strano contratto. Subito gli venne da pensare che il giovane fosse un rappresentante di qualche ditta che costruiva le macchine trebbiatrici e avendo saputo che le sue erano vecchie ed un po' malandate, fosse lì per proporgli l'acquisto di una nuova.

Era ancora alla prima riga, quando iniziò a sbiancare in volto, le gambe a tremare, la lingua e la gola seccarsi.

Col foglio in mano, prima ancora di alzare la testa per guardare meglio il giovane sconosciuto che ancora stava in piedi ad un passo da lui, il suo sguardo si posò sui suoi piedi.

Invece delle scarpe, oltre l'orlo dei pantaloni spuntavano due grosse zampe pelose di caprone. Gli occhi non erano più chiari ma rossi come due carboni accesi.

Il terrore lo assalì improvviso bloccandogli ogni reazione.

Voleva urlare, ma dalla gola secca uscì solo un rantolo. Poi si sentì afferrare saldamente come da una morsa e sollevare da terra come un fuscello.

Avvinghiato da quell'essere che sghignazzando lo trasportava sempre più in alto superando le cime dei monti, si sentiva morire.

Restando cosciente, benché atterrito dalla paura, pieno di nausea, gli parve di sorvolare monti e valli in un attimo.

E l'altro sghignazzando come divertito, urlava: “Costantino, ormai sei mio, quante volte mi hai chiamato e invocato… eccomi sono venuto a portarti con me !”

Costantino prima di perdere i sensi ebbe la forza di invocare il Signore:

“Gesù Cristo salvami ! E ancora :“.Mio Dio perdono ! Perdono ! Perdono !”

Con un versaccio bestiale, l'essere abominevole di colpo lo mollò.

Egli precipitò come un sasso da un'altezza considerevole, ma a pochi metri da terra perse velocità e la forza d'attrazione della terra cessò, probabilmente per il tempestivo intervento dell'angelo custode, così che planò dolcemente come una piuma, sano e salvo.

Non era stato un incubo. Si trovava realmente in vetta al monte Falterona, a cento chilometri da casa. Il volto stralunato e i capelli di colpo bianchi come la neve.

I famigliari solo a sera, non vedendolo arrivare per la cena, iniziarono a preoccuparsi. Lo attesero tutta la notte e al mattino denunciarono ai carabinieri la misteriosa scomparsa.

Non sapendo cosa pensare, lo cercarono ovunque per una settimana senza risultato.

A terra davanti al capannone degli attrezzi furono trovati uno strano foglio di carta scritto in latino con inchiostro rosso, un paio d'occhiali rotti ed una penna stilografica d'oro.

Don Olinto, saputo della sparizione di Costantino, era subito accorso a consolare i familiari.

La moglie piangendo, gli diede il foglio chiedendogli di tradurre il testo per sapere se poteva esserci un nesso con la scomparsa del marito.

Mentre Don Olinto leggeva, un brivido le attraversava le membra; quello scritto era un vero e proprio “diabolico  contratto” notarile, che così recitava :

 

Io sottoscritto Costantino N., nato il 06 Giugno 1910 nel pieno delle mie facoltà mentali dichiaro di odiare Dio, la Madonna, e tutti i Santi, abiuro il battesimo, la cresima e l'appartenenza alla Chiesa Cattolica Romana, ciò premesso cedo la mia anima a satana il quale, alla mia morte, potrà disporre come crede, in cambio mi saranno elargite enormi ricchezze, onori, potere e soddisfatto ogni altro desiderio, qui non menzionato.

Firmato e sottoscritto dalle parti: Lucifero e Costantino.

 

Costantino, girovagò come un automa per due giorni, finché lacero e sfinito bussò alla porta del convento dei frati Cappuccini che si trova ai pedi del monte Falterona.

Restò con loro un mese. Quella tremenda esperienza lo aveva distrutto nell'animo e nel corpo. I Frati, efra loro, c'era al tempo anche il mio interlocutore Fra Domenico, lo aiutarono a sollevarsi nello spirito e nel corpo, raccolsero tutta la sua storia, che raccontò loro in tutti i particolari.

Per giorni pianse amaramente, pentendosi di tutte le sue colpe fatte con intenzione e odio.

Avrebbe voluto fermarsi per sempre in quel luogo, per scontare tutti i sui peccati, ma i frati, saggiamente, lo esortarono a ritornare a casa dai suoi familiari che non avevano cessato di sperare nel suo ritorno.

Un mattino presto, la moglie udì bussare alla porta; era il suo Costantino, o meglio, ben presto scoprì che non era più l'uomo irascibile e cattivo che conosceva, ma un uomo pio e mite come un agnellino; non solo non bestemmiava più, ma non proferiva parola alcuna.

Aveva fatto voto di non parlare per il resto della sua vita.

Morì serenamente nel 1983, in pace con Dio e con tutti, all'età di 73 anni. Dal giorno del suo ritorno a casa aveva espiato, restando muto per diciotto anni.

 

 

 

 

 
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