POTENZE
MALEFICHE
“Cari
parrocchiani, dalle Sacre Scritture e dal Vangelo, apprendiamo che il diavolo
esiste ed opera incessantemente nel mondo, tutti i giorni possiamo notare come la
sua opera demolitrice dello spirito e delle coscienze agisca sugli uomini
rendendoli succubi al suo malefico potere.
Un esempio
sono le guerre, l'odio fra persone anche dello stesso quartiere e addirittura
dello stesso sangue, l'egoismo, le perversioni sessuali ecc…: Anche nella
nostra piccola parrocchia, con il suo influsso malefico sta operando in alcune
persone in modo molto evidente.
Ciò è reso
visibile dal fatto che alcuni parrocchiani non vengono più in chiesa e non si
accostano più ai Sacramenti, e quel che è peggio
bestemmiano continuamente il Signore Gesù e la Sua Santissima
Madre Maria con epiteti orrendi, blasfemi e irripetibili, che solo il demonio
più suggerire…..; preghiamo tutti affinché l'opera demolitrice del diavolo
cessi e queste anime ritornino presto all'ovile del Buon Pastore… .”
Questo era
uno stralcio della predica che Don Olinto stava svolgendo dall'altare quella
domenica mattina durante la
Messa. Già da un po' di tempo il tema dell'omelia domenicale
era sempre lo stesso : “Il diavolo “, che a suo parere
si stava impossessando dell'anima dei suoi parrocchiani.
Anche
altri preti, in quel periodo, consideravano il diavolo artefice e causa di tutti i mali
morali e materiali che portavano molti cristiani dritti all'inferno.
“Molti
sono i chiamati e pochi saranno gli eletti”, “ Se non vi convertirete perirete
nel fuoco della Geenna”, erano la frasi del vangelo,
dette da Gesù, su cui facevano perno le loro prediche, trascurando l'aspetto
della misericordia e l'immensa bontà di Dio nei confronti dei suoi figli, fatti
a sua immagine e somiglianza, per i quali suo Figlio si è fatto uomo e poi
crocifisso per riscattarli dal male e, con la risurrezione, portarli tutti
all'eterna salvezza.
All'uscita
dalla chiesa molti discutevano a bassa voce su quanto detto dal Don Olinto
nella predica e avanzavano nomi di persone conosciute che non frequentavano più
la chiesa, che proferivano maldicenze sui preti e bestemmiavano.
Nell'elenco
di questi “peccatori incalliti” della parrocchia occupava da tempo il primo
posto Costantino, il proprietario delle macchine trebbiatrici, con le quali in
luglio e agosto girava tutta una vasta zona della collina ai lati della valle,
passando per ogni podere a trebbiare il grano o l'orzo.
In effetti era
famoso non solo come l'uomo delle trebbie, ma anche per le innumerevoli
bestemmie che sciorinava continuamente e per il suo caratteraccio iroso e
focoso. Anche quelle poche volte che era calmo e quasi tranquillo, intercalava
una bestemmia ad ogni parola in un una normale conversazione,
che, spesso, diveniva una accalorata e colorita discussione, dato che voleva avere sempre ragione.
Se poi
qualcosa andava storto, come quando, durante la trebbiatura del grano, un pezzo
della trebbiatrice si rompeva, apriti cielo, o meglio apriti inferno, ne
sgranava dei “rosari” interi, contro Dio, la Madonna e i Santi, di quelle tremende che
facevano rabbrividire. Quando quella furia si scatenava, la
mamme trascinavano via i bambini, portandoli lontano da quell' “orco” che vomitava, senza sosta, orrende bestemmie
e parolacce.
“Dovrebbero portalo di forza da San Vicinio a Sarsina e mettergli la catena al collo, affinchè
siano allontanati tutti i demoni che ha in corpo “
Diceva la
gente fra sé.
Un giorno
che la trebbia trainata da due paia di buoi veniva trasportata
da un podere ad un'altro attraverso uno stretta e ripida mulattiera alquanto
sconnessa, in un difficile passaggio, prima oscillò paurosamente, poi si
ribaltò di schianto per la scarpata.
La caduta
causò molti gravi danni alla struttura in legno della
macchina; Costantino scattò con urli sovrumani e, mettendosi in ginocchio per
terra con le mani rivolte al cielo come per pregare, per venti minuti proferì a
squarciagola più di mille bestemmie, una più terribile dall'altra, dimostrando
anche una perfida fantasia.
A volte, se
don Olinto lo incontrava, lo esortava a controllarsi, perché oltre a perdere
l'anima, procurava grande scandalo in tutta la parrocchia e il circondario, con
tutto quel veleno che usciva dalla sua boccaccia.
“Costantino,
il tuo è un viziaccio maledetto che devi smettere se vuoi salvarti l'anima,
altrimenti le porte dell'inferno si spalancheranno per te !”
Lui, con asprezza,
rispondeva pressappoco così:
“Vai al diavolo, corvo nero ! Non rompermi il … ! Le prediche
vai a farle in chiesa non a casa mia, io bestemmio quanto mi pare e piace,
puttana ….,
porco ….!.”
Il povero
Don Olinto si allontanava scosso e addolorato recitando giaculatorie in
riparazione.
Un venerdì
santo, prima della Pasqua, Costantino si trovava nel capannone dove stavano le
trebbie, intento a ripararne una. Benché fosse solo, a ogni bullone che mal si
avvitava, alla chiave che gli scivolava di mano, alla martellata che
involontariamente si era dato sulla mano, sgranava come sempre imprecazioni e
centinaia di bestemmie che “ bruciavano l'aria” come si diceva da quelle parti.
Fra
Domenico, il vecchio eremita del Monte Carpegna,
presso cui mi trovavo
ospite e che da anni aveva lasciato il convento ritirandosi a vivere
solitario nell'eremo in cima a quest'aspro monte, fece una lunga pausa e con
voce sommessa proseguì nel raccontare la storia di Costantino che aveva
conosciuto molti anni prima ai piedi del Falterona:
“mentre Costantino, preso dall'ira per i piccoli accidenti che gli stavano capitando
in quel venerdì santo, continuava a snocciolare imprecazioni e bestemmie
rivolte a tutte le divinità del Cielo, si sentì chiamare ripetutamente per
nome.
Stizzito,
per essere spiato e disturbato in quel frangente, chiese a gran voce:
“ Chi è
che mi vuole ?! ”
La voce
che proveniva dall'esterno del capannone riprese:
“Costantino
vieni fuori che ho bisogno di te ”.
Egli,
inviperito, continuando a maledire e bestemmiare andò sulla porta. Eretto
davanti a se, in piena luce del giorno, stava un giovane alto, distinto,
elegantemente vestito con abito scuro e una valigetta ventiquattrore in mano.
“Chi
siete e cosa volete da me, non vi conosco ma vi dico
subito che non mi occorre nulla”. Fu pronta la risposta.
Il giovane
dai capelli neri, occhi chiari e freddi, con voce suadente, disse:
“Sono
un amico, e come tale sono venuto per aiutarti. So che ti sono capitate diverse
disgrazie con le macchine trebbiatrici e che le cose non ti vanno troppo
bene, ma io posso fare in modo che tutto vada per il meglio e in breve
tu possa arricchire e vivere da gran signore tutta la vita….”.
Interrompendolo,
Costantino, alquanto arrabbiato ma anche incuriosito da quanto questo giovane
sconosciuto, dai modi garbati ma che gli dava del tu, andava dicendo, riprese:
“Ho già
detto che non mi serve nulla, ma se fossi interessato alle
vostre proposte cosa vorreste in cambio ?”
Il giovane
trasse dalla borsa nera un foglio stampato con inchiostro rosso e lo porse a
Costantino:
“Devi
solo opporre la tua firma su questo contratto”, così dicendo gli allungò anche la penna.
Costantino preso il foglio, inforcò gli occhiali e si accinse a
leggere le condizioni di questo strano contratto. Subito gli venne da pensare
che il giovane fosse un rappresentante di qualche ditta che costruiva le
macchine trebbiatrici e avendo saputo che le sue erano vecchie ed un po'
malandate, fosse lì per proporgli l'acquisto di una nuova.
Era ancora
alla prima riga, quando iniziò a sbiancare in volto, le gambe a tremare, la
lingua e la gola seccarsi.
Col foglio
in mano, prima ancora di alzare la testa per guardare meglio il giovane
sconosciuto che ancora stava in piedi ad un passo da lui, il suo sguardo si
posò sui suoi piedi.
Invece
delle scarpe, oltre l'orlo dei pantaloni spuntavano due grosse zampe pelose di
caprone. Gli occhi non erano più chiari ma rossi come due carboni accesi.
Il terrore
lo assalì improvviso bloccandogli ogni reazione.
Voleva
urlare, ma dalla gola secca uscì solo un rantolo. Poi si sentì afferrare
saldamente come da una morsa e sollevare da terra come un fuscello.
Avvinghiato
da quell'essere che sghignazzando lo trasportava
sempre più in alto superando le cime dei monti, si sentiva morire.
Restando
cosciente, benché atterrito dalla paura, pieno di nausea, gli parve di
sorvolare monti e valli in un attimo.
E l'altro
sghignazzando come divertito, urlava: “Costantino, ormai sei
mio, quante volte mi hai chiamato e invocato… eccomi sono venuto a
portarti con me !”
Costantino
prima di perdere i sensi ebbe la forza di invocare il Signore:
“Gesù
Cristo salvami ! E ancora :“.Mio
Dio perdono ! Perdono ! Perdono !”
Con un
versaccio bestiale, l'essere abominevole di colpo lo mollò.
Egli
precipitò come un sasso da un'altezza considerevole, ma a pochi metri da terra
perse velocità e la forza d'attrazione della terra cessò, probabilmente per il
tempestivo intervento dell'angelo custode, così che planò dolcemente come una
piuma, sano e salvo.
Non era
stato un incubo. Si trovava realmente in vetta al monte Falterona,
a cento chilometri da casa. Il volto stralunato e i capelli di colpo bianchi
come la neve.
I
famigliari solo a sera, non vedendolo arrivare per la cena, iniziarono a
preoccuparsi. Lo attesero tutta la notte e al mattino
denunciarono ai carabinieri la misteriosa scomparsa.
Non
sapendo cosa pensare, lo cercarono ovunque per una settimana senza risultato.
A terra
davanti al capannone degli attrezzi furono trovati uno strano foglio di carta
scritto in latino con inchiostro rosso, un paio d'occhiali rotti ed una penna
stilografica d'oro.
Don
Olinto, saputo della sparizione di Costantino, era subito accorso a consolare i
familiari.
La moglie
piangendo, gli diede il foglio chiedendogli di tradurre il testo per sapere se
poteva esserci un nesso con la scomparsa del marito.
Mentre Don
Olinto leggeva, un brivido le attraversava le membra; quello scritto era un
vero e proprio “diabolico contratto” notarile, che così recitava
:
”Io sottoscritto Costantino N., nato il 06 Giugno 1910 nel pieno
delle mie facoltà mentali dichiaro di odiare Dio, la Madonna, e tutti i Santi,
abiuro il battesimo, la cresima e l'appartenenza alla Chiesa Cattolica Romana,
ciò premesso cedo la mia anima a satana il quale, alla mia morte, potrà
disporre come crede, in cambio mi saranno elargite enormi ricchezze, onori,
potere e soddisfatto ogni altro desiderio, qui non menzionato.
Firmato
e sottoscritto dalle parti: Lucifero e Costantino.”
Costantino, girovagò
come un automa per due giorni, finché lacero e sfinito bussò alla porta del
convento dei frati Cappuccini che si trova ai pedi del monte Falterona.
Restò con loro un mese.
Quella tremenda esperienza lo aveva distrutto nell'animo e nel corpo. I Frati, efra loro, c'era al tempo anche il mio interlocutore Fra
Domenico, lo aiutarono a sollevarsi nello spirito e nel corpo, raccolsero tutta
la sua storia, che raccontò loro in tutti i particolari.
Per giorni pianse
amaramente, pentendosi di tutte le sue colpe fatte con intenzione e odio.
Avrebbe voluto fermarsi
per sempre in quel luogo, per scontare tutti i sui peccati, ma i frati,
saggiamente, lo esortarono a ritornare a casa dai suoi familiari che non
avevano cessato di sperare nel suo ritorno.
Un mattino presto, la
moglie udì bussare alla porta; era il suo Costantino,
o meglio, ben presto scoprì che non era più l'uomo irascibile e cattivo che
conosceva, ma un uomo pio e mite come un agnellino; non solo non bestemmiava
più, ma non proferiva parola alcuna.
Aveva fatto voto di non
parlare per il resto della sua vita.
Morì serenamente nel 1983, in pace con Dio e
con tutti, all'età di 73 anni. Dal giorno del suo ritorno a casa aveva espiato,
restando muto per diciotto anni.