Area riservata

Ricerca  
 
Siti amici  
 
Cookies Policy  
 
Diritti d'autore  
 
Biografia  
 
Canti celtici  
 
Il cerchio infinito  
 
News  
 
Bell'Italia  
 
Poesie  
 
Racconti  
 
Scritti di altri autori  
 
Editoriali  
 
Recensioni  
 
Letteratura  
 
Freschi di stampa  
 
Intervista all'autore  
 
Libri e interviste  
 
Il mondo dell'editoria  
 
Fotografie  
 
 
  Poesie  Narrativa  Poesie in vernacolo  Narrativa in vernacolo  I maestri della poesia  Poesie di Natale  Racconti di Natale 

  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  L'uccello alato di Cinzia Pierangelini 23/02/2006
 

 

   Clodomira Clodovani aveva fatto un sogno, e che sogno!

   Si era svegliata di soprassalto, tutta sudata tra i seni minuscoli, rossa in viso per la vergogna e, subito, aveva spiato Lillo che le dormiva accanto.

Il marito russava vigorosamente volgendole la schiena come sempre. Clodomira aveva tirato un sospiro di sollievo, come chi scampa a un pericolo mortale e, immobile nella sua porzione di lettone, aveva provato a rievocare quella visione che ormai ostinata le infestava le  notti. Solo per capire meglio, però, senza alcun compiacimento; poteva giurarlo davanti all'immagine della Madonnina col manto azzurro, nera nera in viso, che teneva nel porta-rosario del comodino.

   L'aveva comprata su una bancarella, quella strana Madonna, durante la visita al Santuario di Tindari, in occasione del suo unico viaggio da signorina bene del dopoguerra alla scoperta di un mondo rinnovato e avido di bellezza; e quale meta più affascinante della Sicilia, culla della civiltà?

   Subito dopo la visita al santuario, passeggiando estasiata nell'antico teatro greco, aveva conosciuto Lillo: “Letterio Pulvirenti, all'anagrafe” come aveva subito precisato lui, inchiodandola con uno sguardo da predatore.

  Era stato uno scontro di razze: lei, compunta, istruita signorina del nord votata probabilmente alla castità, e lui, rozzo sciupafemmine d'indiscussa reputazione, arrogante, sfacciato e tenacemente schitto.

  Più diversi non si potevano immaginare.

Esile, timida, eterea la Clodomira, talmente bionda da non avere un solo pelo in tutto il corpo, gli occhi dorati perennemente abbassati quasi a contemplare le severe scarpette da college inglese. Olivastro e quasi arabo Lillo, peloso come uno scimmione,  con i capelli così neri da tendere al viola. Aveva denti come perle, però, pronti a mordere la vita e a sfolgorare, subito dopo, in sorrisi abbacinanti. Abituato a vincere sempre, soprattutto in fatto di femmine.

  Una scommessa era stata la Clodomira: l'avrebbe sedotta, così come usava fare con tutte le altre straniere di passaggio belle o brutte, giovani o mature che fossero.

   Qualcosa però era andato storto. Lillo non aveva fatto i conti con una specie d'ottusità che caratterizzava la ragazza: un eccesso o un difetto (chi può dirlo?) d'intelligenza e sensibilità che lo aveva spiazzato.

   Nel santuario di Tindari avevano finito con lo sposarsi, estenuati dalla lotta: gli occhi bassi, lei; lo sguardo fisso e interrogativo alla Madonna nera, lui.

  Anni erano passati da allora. Anni senza figli, senza dolori o gioie,  tutto sommato, tranquilli.

   Lillo aveva perso i suoi bei capelli neri, rimpiazzati da una tigna grigiastra che  addebitava a un eccesso di virilità, e aveva messo su una pancetta molliccia da impiegato che era una pena. Clodomira invece si era come rinsecchita, prosciugata, e i suoi deboli capelli biondi, inariditi dalle tinte, la facevano sembrare, ogni giorno di più, una scopa di saggina. Aveva mantenuto il suo accento del nord però, e forse questo era il suo unico vezzo, ciò che rimaneva della sua timida femminilità, della giovinezza.

Ma la signora non è di queste parti?” capitava che le chiedessero in un negozio per esempio e, subito, Clodomira diventando tutta rossa rispondeva: “No, mi sun del…”. Avrebbe voluto dire del nord, ma lo sguardo feroce di Lillo le faceva morire la parola in bocca.

Al nord tutte buttane sono le femmine! Se ti chiedono di dove sei,  tu ti stai muta, ché rispondo io. Mi fai fare la figura d'u…d'u curnutu, eccu. L'onore mi fai perdere!”

  La fissazione delle corna, a Lillo, era venuta qualche mese dopo il matrimonio; il suo sguardo aveva smesso l'interrogativa fissità del giorno delle nozze per indossare un che di torvo e sospettoso, quasi ostile.

  Via via che il suo tiepido amore per Clodomira scemava, lui lo sostituiva con risentimento puro e quale miglior motivo per odiare una donna che il sospetto di corna? Corna vere e immaginarie, corna d'origine geografica (quelle di Clodomira, buttana del nord per esempio) o familiare, sociale; corna di credo politico (le femministe?tutte buttane sono!), corna oniriche…

 In quante maniere le corna potevano rovinare un uomo? In quante maniere una donna poteva cornificare il marito?

   Ma non sarebbe toccato a lui, non a Lillo Pulvirenti!

 Dunque niente film con scene di passione, né libri d'amore, né amiche con cui “cuttigghiari e poltrire che “l'ozio è padre di tutti i vizi e quelle buttane delle tue amiche non fanno niente dalla mattina alla sera, viziose sono! E buttane!”, niente passeggiate solitarie o visite di postini, lattai e portieri, niente viaggi al nord “ché poi mi torni più buttana di to'  soru!”.

  Tutto ciò a Clodomira non aveva fatto alcun male: lei non pensava agli uomini, mai; in realtà il sesso non poteva essere annoverato neanche tra gli ultimi dei suoi desideri.

 Aveva sofferto molto di più quando suo marito, finita la fantasia, aveva smesso di cercare un diminuitivo grazioso per il suo strambo nome.

 Si era affannato, all'inizio, a trovar qualcosa di più intimo come Clodi-Miruccia-Mirella (ché il nome Clodomira gli faceva venire in mente la madre superiora d'un convento di clausura e, nell'intimità del talamo nuziale, finiva con l'ammosciargli qualsiasi virile intenzione), ma alla fine aveva lasciato perdere apostrofandola, in pubblico e in privato, con “‘a mugghieri”, e  in fondo ne era soddisfatto, perché così aveva il vantaggio di aver stabilito definitivamente l'indiscusso possesso dell'oggetto-moglie, senza dover  ulteriormente chiarire le cose.

   Clodomira c'era rimasta male; “‘a mugghieri alle sue orecchie straniere, suonava come “‘a scupa, ‘a lucidatrici,'a lavatrici…”

  Aveva finito davvero col sentirsi un elettrodomestico, ignorando quel minimo d'intimità e affetto, di cui la proprietà assoluta è un aspetto assai rilevante, che il termine mugghieri assume per i mariti siciliani.

  Così il loro rapporto si era cristallizzato in ruoli e cliché, abitudini e piccole delusioni, pranzi domenicali e rapido sesso bi-settimanale, rancore e rassegnazione… proprio come molti altri matrimoni, spesso nati sotto ben più benevoli auspici.

     Insomma tutto normale fino al sogno.

 Che l'apparizione notturna fosse circonfusa da una gran luce era cosa indiscutibile, così come che avesse delle enormi ali candide e che sorridesse con una boccuccia rosea e dolce. Fin qui Clodomira riusciva a ricordare senza particolare fatica; ma poi: “ooooh!” Ecco che ricominciava a sudare e smaniare, diventando tutta rossa.

 “Impossibile, impossibile!Che sia la menopausa?Ancora?” si chiedeva disperata.

 Andò avanti così per tutta una settimana; lo stesso sogno la svegliava ogni notte. In preda alle caldane la poverina si agitava nel sonno, tentando di scacciare l'inquietante visione alata.

 Ma cu cui stai parranno, ah?” le chiese di pessimo umore Lillo, smettendo di russare all'improvviso e svegliandola di botto, proprio mentre quella boccuccia rosea, quella notte, pareva volerle sussurrare finalmente il suo segreto.

 Parlando?Stavo parlando nel sonno?”

 “Nel sonno, sì! Cu cui?Ah?E chi è ‘sta cosa chi ssi tutta nuda?Copriti fozza. Tutte bottaneste femmine, macari quannu dormunu! Cu cu' parravinto sonnu?”

 Clodomira, presa alla sprovvista, la disse molto più veritiera di quel che avrebbe potuto immaginare: “Con un uccello, parlavo con un uccello con grandi ali bianche… Sognavo che mi volava vicino, tutto intorno, e faceva caldo, molto caldo… Sudavo tanto e mi sono scoperta senza volerlo, Lillo, giuro.”

 “Ah!Cu l'aceddu parravi? Vabbè. Ma ora copriti e ricettati, chi non hai più l'età, sveggognata; e statti muta, chi non mi fai dòrmiri.” bofonchiò Lillo, girandosi dall'altra parte e sprofondando in un repentino russare.

 Che avesse le ali certo non v'era dubbio, ma...

 Clodomira chiuse gli occhi e cercò di ricordare il seguito del sogno, invece dopo un po' si addormentò di nuovo.

Una voce maschile, roca e suadente, le chiedeva:

La signora non è di qui, vero?”

“Oh no, mi sun… del nord.”

 Un enorme uccello, il più grosso che donna possa mai sognare,avvicinava la sua boccuccia rosea a quella di Clodomira e …faceva caldo, tanto caldo, così caldo che Clodomira si scoprì di nuovo, mentre uno strano, nuovo e misterioso sorriso le aleggiava sulle labbra.

 

 

 

 

 

 

 
©2006 ArteInsieme, « 014053604 »