Le armi
aliene
“Ci
annienteranno…si si…ci
uccideranno tutti…hihii…uhuh…”
E poi
silenzio improvviso, occhi sbarrati, mani strette sulle braccia in un disperato
tentativo di abbracciarsi e trattenere il tremito che continuava a scuoterlo.
“Sssht…calmati Phil, è tutto
finito. E' tutto finito…”
Il
sussurrare dolce del medico da campo che cercava di tranquillizzarlo.
Era tutto
inutile.
Non dopo quello a cui era scampato.
Sbuuumm!
Nuovamente
quel rumore, di nuovo quei colpi a rammentare al
povero Phil l'inferno dal quale, per miracolo, era
riuscito a sopravvivere.
“Non c'è
scampo, non c'è scampo, non c'è scampo…”
Continuava
a ripetere senza sosta dondolando avanti e indietro. Gli occhi fissi nel vuoto,
totalmente sopraffatto da quanto vissuto sul campo.
L'intero
suo battaglione spazzato via in un istante.
Un colpo,
un singolo colpo da parte di quelle potentissime armi aliene e in un attimo si
era trovato da solo, pallido e tremante, incapace di fare alcunché.
I suoi
compagni attorno erano stati massacrati e giacevano a terra privi di vita.
Inerti.
Poi un
nuovo colpo, potente quanto il primo ma meno preciso: Phil
non se n'era nemmeno accorto ma la morte l'aveva solo
sfiorato.
E infine
la salvezza mentre veniva recuperato dai nostri che
urlavano concitatamente mentre lo riportavano al sicuro nella base.
Chi
poteva sapere se si sarebbe mai ripreso…
“Aaaa-ttenti!”
Il
sergente Hauc era arrivato.
Sarebbe
stata una questione di attimi e poi il successivo plotone, il nostro, sarebbe
sceso sul campo sotto la sua guida.
Sperava
di avere maggior fortuna.
Nessuno
di noi parlava, ciascuno impegnato a prepararsi per la battaglia, solo con i
propri ricordi e con le proprie paure.
Incubi
preventivi ad amplificare il timore di quel che ci aspettava là fuori contro
quegli alieni giganti.
Lo
sapevamo fin troppo bene: la situazione era disperata.
Poche le
possibilità di sopravvivenza.
Dovevamo
resistere, e sacrificarci per guadagnare tempo fino all'arrivo dei rinforzi.
“Bastardi
alieni giganti!”, imprecò Hauc sputando per terra.
Il
montacarichi si posizionò di fronte a noi.
Seguendo
gli ordini del sergente ci disponemmo in formazione.
Io ero
nelle retrovie mentre ad altri il privilegio di stare nelle prime linee dello
schieramento a triangolo.
Privilegio,
tsk, un biglietto di prima classe per l'aldilà vinto
alla lotteria della sfiga…
Erano i
primi a fronteggiare l'inferno.
Lo
sapevano.
Ma non
potevano farci niente: quegli gli ordini, quello il loro destino.
Il
montacarichi entrò in funzione portandoci sempre più vicini all'uscita della
nostra base.
La
tensione nell'aria era palpabile.
Nessuno
di noi parlava più.
Jim estrasse un simbolo sacro che teneva sotto la sua
uniforme bianca, lo baciò chiudendo gli occhi e stringendolo forte tra le mani
confidando nel suo credo.
Qualcun
altro invece tremava oppure c'era chi se la faceva addosso.
Jurgen non riuscì a trattenere lo stomaco e vomitò di
fuori la propria tensione. Qualche spruzzo di vomito biancastro che cadde a
terra e sulla spalla di Arun, di fronte a lui. Anche Arun quindi, per la tensione e quell'odore
rancido, vomitò quel poco che aveva in stomaco sulla pensilina traballante.
Avevamo
paura.
Anche Hauc, il nostro sergente.
Tutti.
Sbuuumm!
Nuovamente
quel rumore, quei colpi.
Ma era
più vicino questa volta.
Alla fine
il montacarichi si fermò.
Era ora.
La sbarra
di fronte a noi iniziò a sollevarsi lentamente lasciando filtrare la luce
dandoci il benvenuto sul campo di battaglia.
“Coraggio
ragazzi”, incitò Hauc nell'oscurità che lentamente
schiariva.
Di fronte
a noi, a qualche iarda di distanza, i nostri nemici vociavano, urlavano,
saltavano.
Non
avevano perso tempo quei maledetti giganti bastardi!
Uno dei
loro proiettili già rotolava verso di noi attraversando a tutta velocità il
campo liscio e privo di ostacoli che ci separava da loro.
“Rimanete
compatti!”, lo stupido ordine impartito dal sergente pochi istanti prima
dell'impatto.
Non c'era
tempo di evacuare, nemmeno di schivare quel colpo micidiale: in quell'antro da poco venuto alla luce eravamo in trappola!
Il
proiettile era su di noi ormai, minaccioso, un'enorme sfera striata di colore
antracite e verde.
La morte
ci veniva incontro rotolando.
E noi
eravamo lì, tremanti e impauriti nelle nostre divise bianche, gli occhi che
andavano ora al sergente ora a quell'immenso
proiettile che ci stava piombando addosso in quegli attimi di puro terrore.
Eterni.
Sbuuumm!
Il colpo
li investì in pieno, spietato, violento.
Alcuni di
loro volarono all'indietro, altri furono sbalzati di lato.
Nessuno
rimase integro, nessuno sopravvisse per raccontare agli altri
cosa fosse successo.
Fu un
massacro, una lotta impari contro le armi di quei giganti alieni.
E mentre
le ultime forze lo abbandonavano, mentre la vita gli passava dinnanzi da quando, verde, mise le prime foglie, per un attimo lui li
osservò esultare.
“Strike”,
fu l'unica cosa che li sentii mormorare nel loro insulso linguaggio.
Poi una
sbarra scese a trascinarlo nell'oblio, a trasportarlo via da quel liscio campo
di morte su cui molti erano caduti invano.
“Un altro
strike!?”, nuovamente le loro voci, “Ormai sarai già
oltre i 100 punti eh Bob? Sembri proprio fatto per il bowling tu!”