Du’
cervi
di
massimolegnani
Camillo
era il prototipo dell’homo photograficus e lo era ben da
prima che esplodesse la mania degli scatti compulsivi.
Due
macchine a tracolla, il cavalletto in spalla, in una sacca alcuni
obbiettivi, rullini, filtri, aggeggi vari, lui andava per valli e
borghi, sempre sul chi vive, pronto a sparare fotogrammi prima di
essere sorpreso dal soggetto che gli si parava all’improvviso
di fronte, come avrebbe dovuto fare Piero in guerra, prima che fosse
il nemico a sparare a lui. Ma per Camillo non era questione di
nemici, in effetti non ne aveva, era questione di istanti da
congelare e conservare in aiuto alla sua memoria sempre più
labile. Era convinto che le fotografie fossero utili per ricostruire
viaggi e vicende del passato ma a volte gli capitava di fissare
stupefatto l’immagine di un luogo o di un volto come non li
avesse mai visti.
Ora
Camillo sta scorrendo le foto scattate al Circeo non tanto tempo fa.
La lunga duna, le bici dei turisti a ridosso della spiaggia, i laghi
salmastri, i boschi, i bufali, i resti romani, il promontorio, i
fenicotteri, aveva documentato ogni cosa con un puntiglio da
ragioniere, eppure adesso gli sembra che ogni fotografia sia la
dimostrazione di qualche sua smemoratezza. Guarda un’immagine e
confonde Nettuno con Terracina, non ricorda il nome del lago, non sa
più dire se la villa fosse di Tiberio, insomma le istantanee
sono la conferma di un piccolo marasma. Ma la cosa più
sconvolgente è un’altra. Tra tante foto l’unico
ricordo che non si sia sbiadito riguarda la sola immagine che non ha
scattato.
Con
la guida di una guardia forestale si era inoltrato per chilometri nel
folto del bosco, fotografando ogni albero come un disperato. A un
certo punto aveva sentito un rumore di rami spezzati o di foglie
secche calpestate. La guardia lo aveva trattenuto per un braccio e
gli aveva indicato un punto poco distante, so’ du’
cervi, gli aveva bisbigliato all’orecchio. In effetti dopo
pochi istanti erano comparsi due magnifici esemplari dalle corna
imponenti e dal passo maestoso. Camillo avrebbe avuto tutto il tempo
di imbracciare la macchina e scattare foto a mitraglia, ma era troppo
impegnato a guardare e a meravigliarsi per pensare di fare altro. Le
bestie, dopo essere passate a pochi metri da lui, si erano fermate a
brucare tranquille in una radura assolata poco distante. La guardia
lo aveva sollecitato a scattare, ma Camillo aveva scosso la testa e
senza togliere lo sguardo dai cervi aveva mormorato: non ce n’è
bisogno, questi li ricorderò finchè campo.
|