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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Partita in trasferta, di Annamaria Trevale 21/06/2007
 

PARTITA IN TRASFERTA

 

Il torneo di primavera per la categoria “esordienti” era arrivato alla terza partita, da disputarsi in trasferta presso il campo della squadra avversaria.

All'inizio della settimana, Ugo aveva avvisato sua moglie: “Temo che dovrai accompagnare tu Andrea alla partita, sabato prossimo, perché io venerdì andrò a Roma per quel congresso e tornerò soltanto il giorno dopo. Dato che non mi piace molto prendere l'aereo, e non ero obbligato a rientrare la sera, mi sono fatto prenotare un Eurostar sabato mattina, e quindi arriverò a casa nel primo pomeriggio.

Anna aveva annuito: “Non preoccuparti, naturalmente ci penserò io. Dove sarà?”

“Guardiamo sul calendario. Ecco, qui: al campo sportivo del quartiere Gallaratese.

“Va bene.”

Andrea, come il solito, era così eccitato che per convincerlo a vestirsi, e a preparare la borsa sportiva contenente il necessario per la partita, Anna aveva dovuto quasi sgridarlo, ma finalmente si erano messi in viaggio sulla vecchia Panda rossa, lasciando la casa vuota e silenziosa dopo l'uscita antelucana dei due fratelli maggiori, Marco e Sara, diretti alle rispettive scuole superiori, mentre Marcello doveva essere ormai comodamente installato sul suo treno in viaggio tra Roma e Milano.

Anna guidava tranquilla, ascoltando il chiacchiericcio ininterrotto di Andrea.

Per quanto evitasse nel modo più assoluto di lasciarlo trapelare, nutriva una piccola, segreta predilezione per quel terzo figlio arrivato a sorpresa parecchio tempo dopo i fratelli maggiori, che essendo nati a soli due anni uno dall'altra erano molto affiatati tra loro ed erano cresciuti in un mondo da cui lui era rimasto inevitabilmente escluso.

Dare alla luce un altro figlio ad una certa età aveva costituito una sorta di rinascita anche per lei, perché dal giorno in cui lo aveva preso per la prima volta fra le braccia, Anna aveva visto in Andrea il simbolo di una nuova fase della sua vita, e poi, seguendone la crescita giorno per giorno, aveva potuto lasciarsi alle spalle molti ricordi legati a momenti dolorosi, e persino ritrovare un buon rapporto con Ugo dopo anni di grigiore, il che in fondo poteva giustificare pienamente quella sua preferenza nascosta, che pure non le impediva d'essere una buona madre anche per Marco e Sara…o così almeno sperava di poter essere giudicata da loro.

Nel complesso, erano una famiglia tranquilla e serena come ce n'erano tante.

“Guarda, siamo arrivati!”

Andrea si precipitò incontro ai compagni che si stavano radunando attorno all'allenatore, mentre Anna, parcheggiata l'auto, cercava un luogo dove fermarsi ai bordi del campetto spelacchiato entro cui si sarebbe svolto l'incontro, mescolandosi agli altri genitori presenti.

Salutò un paio di padri di compagni d'Andrea, quindi sedette all'estremità di una panca malandata e lasciò vagare pigramente lo sguardo attorno a sé, seguendo senza eccessivo interesse le altre persone che gironzolavano qua e là intorno al campo, cercando a loro volta un posto dove fermarsi o attardandosi ad elargire qualche raccomandazione ai figli, finché i suoi occhi si arrestarono su di una figura che le fu subito familiare, perchè nemmeno a distanza di dieci anni avrebbe potuto sbagliarsi, e del resto una contrazione violenta allo stomaco le confermò che non c'erano possibilità d'equivoco.

Rimase immobile per qualche minuto a fissare quell'uomo prestante, chiuso in un giaccone sportivo, i capelli scuri appena un poco più ingrigiti di come li ricordasse, che inviava affettuosi cenni d'incoraggiamento ad uno dei giocatori della squadra ospite, un ragazzino bruno e ricciuto, alto quanto Andrea ma di corporatura più massiccia: suo figlio, evidentemente.

Un secondogenito tardivo, proprio come Andrea era nato sette anni dopo Sara, perché la sorella maggiore, stando ai suoi calcoli, doveva essere ormai alle soglie dell'università.

Per dieci anni avevano continuato a vivere nella stessa città riuscendo a non incontrarsi mai, e in fondo è facilissimo quando si abita in una metropoli e non si hanno occasioni per entrare in contatto attraverso il lavoro, le abitudini quotidiane o i percorsi abituali condivisi, ma ora un'innocente partita di calcio fra due squadre di bambini li aveva scaraventati lì, a pochi metri l'uno dall'altra ai bordi di un piccolo campo sportivo di periferia, ed Anna poteva soltanto sperare che l'uomo seguisse con molta attenzione il gioco e non si accorgesse di quel suo trovarsi del tutto casualmente a pochi metri da lui.

L'arbitro diede il segnale e l'incontro cominciò: due tempi di venti minuti come da regolamento.

Quaranta minuti da vivere per lei col cuore in gola, cercando di non farsi sopraffare dall'ondata dei ricordi che sentiva sopraggiungere subdolamente, quando ormai pensava di averli rimossi, dopo anni di sforzi, dalla sua esistenza apparentemente serena.

Andrea, agile e scattante, era uno dei giocatori migliori della sua squadra. Anna s'impose di concentrarsi a seguire le sue corse veloci attraverso il campo, i duelli con i difensori avversari che cercavano di fermarlo, spesso con metodi poco ortodossi, non appena si erano resi conto che era il miglior attaccante degli ospiti.

Subito dopo il suo primo goal, l'allenatore avversario aveva ordinato al ragazzino bruno e ricciuto di marcarlo più strettamente, e da quel momento i due si trovarono continuamente a duellare per il possesso della palla.

Anna si rese conto di avere le mani irrigidite e contratte attorno al manico della borsa che teneva in grembo, mentre seguiva i contrasti fra i due giocatori in mezzo al campo, evitando di guardare nella direzione dell'uomo, che si muoveva spesso lungo la recinzione lanciando qualche incitamento al figlio.

Aveva la sensazione che il tempo si fosse fermato, ma in realtà le lancette dell'orologio svolgevano normalmente il loro dovere, e quando l'arbitro fischiò annunciando l'intervallo, grazie al cielo le squadre cambiarono campo, gli allenatori operarono un paio di sostituzioni e l'incontro riprese immediatamente: entro mezz'ora al massimo avrebbe potuto caricare Andrea in auto e ritornarsene a casa a tutta velocità, a sforzarsi di dimenticare quella sgradevole mattina.

Mancavano pochi minuti ormai alla fine della partita, quando Andrea riuscì a sfuggire al ferreo controllo dei difensori avversari per correre a segnare il quarto goal per la sua squadra, che si stava ormai aggiudicando l'incontro per quattro a due.

Mentre gli lanciava un richiamo festoso per complimentarsi con lui, Anna cercò istintivamente con gli occhi l'uomo, sorpresa di non vederlo più dall'altra parte del campo dov'era rimasto fino a pochi minuti fa, ma proprio in quel momento sentì la sua voce che la chiamava in tono pacato alle spalle, e capì di non aver avuto fino in fondo la fortuna sperata.

“Ciao, Anna. Non ti dispiace se ti saluto, spero? Mi sono accorto solo pochi minuti fa che eri qui, sono rimasto davvero molto sorpreso quando ti ho vista.”

“Ciao, Guido.”

“Allora è tuo figlio il cannoniere dei Giovani Leoni? Molto promettente, direi.

“Sì. Me lo dice sempre il suo allenatore, anche se penso che a quest'età sia difficile stabilire se qualcuno di loro possa diventare un bravo calciatore o meno, e poi io francamente preferirei che non si montasse la testa riguardo al calcio, e che decidesse di dedicarsi a qualcosa d'altro, nella vita…”

L'uomo sorrise: “Già, la pensiamo tutti così, però in fondo che male ci sarebbe? Un calciatore guadagna più di un ingegnere, tutto sommato….

“E' vero. Ne riparleremo tra una decina d'anni, allora.

“Curioso….Lo sai, vero, che io e te in questo momento ci stiamo parlando dopo dieci anni di silenzio? E tu lo stai facendo così, come se ci fossimo lasciati pochi giorni fa, con indifferenza… Non hai proprio altro da dirmi?”

Anna si schiarì la voce, perché non era il momento di cedere alla debolezza.

“No, non credo, perché ci siamo già detti tutto dieci anni fa.

Le nostre scelte le abbiamo fatte allora, non ti ricordi? Tu sei rimasto con tua moglie, io con mio marito, e a quanto pare non ci dev'essere andata così male, visto che abbiamo avuto entrambi un altro figlio, come vedi.”

“Me ne sono accorto! Tu sapevi già che mia moglie allora doveva avere un secondo bambino, ma io non immaginavo proprio che anche tu…”

“Io ho seguito il tuo esempio, ti dà tanto fastidio?”

Guido si strinse nelle spalle, perplesso.

“Senti, non mi sembra il caso di discutere. Spero solo che tu stia bene, e che sia felice con la tua famiglia, tutto qui. Forse non sarei nemmeno dovuto venire a salutarti e fingere di non averti visto, ma se la cosa ti ha infastidito, ti chiedo scusa.

Anna volse il capo verso il campo di gioco, cercando con gli occhi Andrea, che stava per l'ennesima volta tentando di smarcarsi dal controllo del figlio di Guido.

“E' atroce vedere i nostri figli che giocano insieme” osservò, più per se stessa che per Guido, che tuttavia rimase colpito dal suo tono troppo carico d'amarezza.

“Ti fa davvero soffrire? Loro sono soltanto due bambini, Anna.

Stanno giocando oggi, poi s'incontreranno ancora nel corso della partita di ritorno e quasi certamente non si rivedranno mai più, perché te la prendi tanto?”

“Hai ragione, scusami. Guarda la partita è terminata, dobbiamo andare.

L'arbitro stava effettivamente fischiando la fine dell'incontro. I ragazzini corsero verso i rispettivi genitori e Anna ne approfittò per allontanarsi da Guido senza nemmeno salutarlo: trascinò Andrea nello spogliatoio dove lo fece cambiare in tutta fretta, e poi lo condusse velocemente verso l'auto per tornare a casa, temendo d'essere ancora intercettata dall'uomo che voleva evitare.

“Che partita, mamma! Erano duri, questi qua, hai visto? Però ce l'abbiamo fatta!”

“Certo, siete stati bravissimi!”

Andrea, abbandonato sul sedile posteriore a tracannarsi un succo di frutta, era troppo soddisfatto per la vittoria della sua squadra ed i due goal segnati per notare la tensione materna.

“Però mi hanno massacrato, quei difensori, accidenti! Quel tipo coi riccioli, poi, quello con la maglia numero cinque, non mi mollava un momento…”

“Tu sei un bravo attaccante, lui è un bravo difensore, non trovi?”

“Già, ma era un bestione, però! Mah, sono i casi della vita…” concluse Andrea con una frase che era recentemente diventata un suo vezzo abituale, mentre Anna era indecisa se avrebbe preferito mettersi a ridere amaramente o a piangere, pensando che era proprio un “caso della vita” davvero idiota quello che aveva fatto incontrare e scontrare per quaranta minuti, su quel campo di calcio spelacchiato, un terzino ed un attaccante di nove anni del tutto ignari di avere nelle vene il sangue dello stesso padre, ma questo sarebbe rimasta solo lei a saperlo. Per sempre.

 

 

 
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