PARTITA
IN TRASFERTA
Il torneo di primavera per la
categoria “esordienti” era arrivato alla terza partita, da disputarsi in
trasferta presso il campo della squadra avversaria.
All'inizio della settimana, Ugo
aveva avvisato sua moglie: “Temo che dovrai accompagnare tu Andrea alla
partita, sabato prossimo, perché io venerdì andrò a Roma per quel congresso e
tornerò soltanto il giorno dopo. Dato che non mi piace molto prendere l'aereo,
e non ero obbligato a rientrare la sera, mi sono fatto prenotare un Eurostar sabato mattina, e quindi arriverò a casa nel primo
pomeriggio.”
Anna aveva annuito: “Non
preoccuparti, naturalmente ci penserò io. Dove sarà?”
“Guardiamo sul calendario. Ecco,
qui: al campo sportivo del quartiere Gallaratese.”
“Va bene.”
Andrea, come il solito, era così
eccitato che per convincerlo a vestirsi, e a preparare la borsa sportiva
contenente il necessario per la partita, Anna aveva dovuto quasi sgridarlo, ma
finalmente si erano messi in viaggio sulla vecchia Panda
rossa, lasciando la casa vuota e silenziosa dopo l'uscita antelucana dei
due fratelli maggiori, Marco e Sara, diretti alle rispettive scuole superiori,
mentre Marcello doveva essere ormai comodamente installato sul suo treno in
viaggio tra Roma e Milano.
Anna guidava tranquilla,
ascoltando il chiacchiericcio ininterrotto di Andrea.
Per quanto evitasse
nel modo più assoluto di lasciarlo trapelare, nutriva una piccola, segreta
predilezione per quel terzo figlio arrivato a sorpresa parecchio tempo dopo i
fratelli maggiori, che essendo nati a soli due anni uno dall'altra erano molto
affiatati tra loro ed erano cresciuti in un mondo da cui lui era rimasto
inevitabilmente escluso.
Dare alla luce un altro figlio ad
una certa età aveva costituito una sorta di rinascita anche per lei, perché dal
giorno in cui lo aveva preso per la prima volta fra le braccia, Anna aveva
visto in Andrea il simbolo di una nuova fase della sua vita, e poi, seguendone
la crescita giorno per giorno, aveva potuto lasciarsi alle spalle molti ricordi
legati a momenti dolorosi, e persino ritrovare un buon rapporto con Ugo dopo
anni di grigiore, il che in fondo poteva giustificare pienamente quella sua
preferenza nascosta, che pure non le impediva d'essere una buona madre anche
per Marco e Sara…o così almeno sperava di poter essere giudicata da loro.
Nel complesso, erano una famiglia
tranquilla e serena come ce n'erano tante.
“Guarda, siamo arrivati!”
Andrea si precipitò incontro ai
compagni che si stavano radunando attorno all'allenatore, mentre Anna,
parcheggiata l'auto, cercava un luogo dove fermarsi ai bordi del campetto
spelacchiato entro cui si sarebbe svolto l'incontro, mescolandosi agli altri
genitori presenti.
Salutò un paio di padri di
compagni d'Andrea, quindi sedette all'estremità di una panca malandata e lasciò
vagare pigramente lo sguardo attorno a sé, seguendo senza eccessivo interesse
le altre persone che gironzolavano qua e là intorno al campo, cercando a loro
volta un posto dove fermarsi o attardandosi ad elargire qualche raccomandazione
ai figli, finché i suoi occhi si arrestarono su di una figura che le fu subito
familiare, perchè nemmeno a distanza di dieci anni avrebbe potuto sbagliarsi, e
del resto una contrazione violenta allo stomaco le confermò che non c'erano
possibilità d'equivoco.
Rimase immobile per qualche minuto
a fissare quell'uomo prestante, chiuso in un giaccone
sportivo, i capelli scuri appena un poco più ingrigiti di come li ricordasse, che inviava affettuosi cenni d'incoraggiamento
ad uno dei giocatori della squadra ospite, un ragazzino bruno e ricciuto, alto
quanto Andrea ma di corporatura più massiccia: suo figlio, evidentemente.
Un secondogenito tardivo, proprio
come Andrea era nato sette anni dopo Sara, perché la sorella maggiore, stando
ai suoi calcoli, doveva essere ormai alle soglie dell'università.
Per dieci anni avevano continuato
a vivere nella stessa città riuscendo a non incontrarsi mai, e in fondo è facilissimo quando si abita in una metropoli e non si hanno
occasioni per entrare in contatto attraverso il lavoro, le abitudini quotidiane
o i percorsi abituali condivisi, ma ora un'innocente partita di calcio fra due
squadre di bambini li aveva scaraventati lì, a pochi metri l'uno dall'altra ai
bordi di un piccolo campo sportivo di periferia, ed Anna poteva soltanto sperare
che l'uomo seguisse con molta attenzione il gioco e non si accorgesse di quel
suo trovarsi del tutto casualmente a pochi metri da lui.
L'arbitro diede il segnale e
l'incontro cominciò: due tempi di venti minuti come da regolamento.
Quaranta minuti da vivere per lei
col cuore in gola, cercando di non farsi sopraffare dall'ondata dei ricordi che
sentiva sopraggiungere subdolamente, quando ormai pensava di averli rimossi,
dopo anni di sforzi, dalla sua esistenza apparentemente serena.
Andrea, agile e scattante, era uno
dei giocatori migliori della sua squadra. Anna s'impose di concentrarsi a
seguire le sue corse veloci attraverso il campo, i duelli con i difensori
avversari che cercavano di fermarlo, spesso con metodi poco ortodossi, non
appena si erano resi conto che era il miglior attaccante degli ospiti.
Subito dopo il suo primo goal,
l'allenatore avversario aveva ordinato al ragazzino bruno e ricciuto di
marcarlo più strettamente, e da quel momento i due si trovarono continuamente a
duellare per il possesso della palla.
Anna si rese conto di avere le
mani irrigidite e contratte attorno al manico della borsa che teneva in grembo,
mentre seguiva i contrasti fra i due giocatori in mezzo al campo, evitando di
guardare nella direzione dell'uomo, che si muoveva spesso lungo la recinzione
lanciando qualche incitamento al figlio.
Aveva la sensazione che il tempo
si fosse fermato, ma in realtà le lancette
dell'orologio svolgevano normalmente il loro dovere, e quando l'arbitro fischiò
annunciando l'intervallo, grazie al cielo le squadre cambiarono campo, gli
allenatori operarono un paio di sostituzioni e l'incontro riprese
immediatamente: entro mezz'ora al massimo avrebbe potuto caricare Andrea in
auto e ritornarsene a casa a tutta velocità, a sforzarsi di dimenticare quella
sgradevole mattina.
Mancavano pochi minuti ormai alla
fine della partita, quando Andrea riuscì a sfuggire al ferreo controllo dei
difensori avversari per correre a segnare il quarto goal per la sua squadra,
che si stava ormai aggiudicando l'incontro per quattro
a due.
Mentre gli lanciava un richiamo
festoso per complimentarsi con lui, Anna cercò istintivamente con gli occhi
l'uomo, sorpresa di non vederlo più dall'altra parte del campo dov'era rimasto
fino a pochi minuti fa, ma proprio in quel momento sentì la sua voce che la
chiamava in tono pacato alle spalle, e capì di non aver avuto fino in fondo la
fortuna sperata.
“Ciao, Anna. Non ti dispiace se ti
saluto, spero? Mi sono accorto solo pochi minuti fa che eri qui, sono rimasto
davvero molto sorpreso quando ti ho vista.”
“Ciao, Guido.”
“Allora è tuo figlio il cannoniere
dei Giovani Leoni? Molto promettente, direi.”
“Sì. Me lo dice sempre il suo
allenatore, anche se penso che a quest'età sia difficile stabilire se qualcuno
di loro possa diventare un bravo calciatore o meno, e poi io francamente
preferirei che non si montasse la testa riguardo al calcio, e che decidesse di dedicarsi a qualcosa d'altro, nella vita…”
L'uomo sorrise: “Già, la pensiamo
tutti così, però in fondo che male ci sarebbe? Un calciatore guadagna più di un
ingegnere, tutto sommato….”
“E' vero. Ne riparleremo tra una
decina d'anni, allora.”
“Curioso….Lo sai, vero, che io e
te in questo momento ci stiamo parlando dopo dieci anni di silenzio? E tu lo
stai facendo così, come se ci fossimo lasciati pochi giorni fa, con
indifferenza… Non hai proprio altro da dirmi?”
Anna si schiarì la voce, perché
non era il momento di cedere alla debolezza.
“No, non credo, perché ci siamo
già detti tutto dieci anni fa.
Le nostre scelte le abbiamo fatte
allora, non ti ricordi? Tu sei rimasto con tua moglie, io con mio marito, e a quanto pare non ci dev'essere
andata così male, visto che abbiamo avuto entrambi un altro figlio, come vedi.”
“Me ne sono accorto! Tu sapevi già
che mia moglie allora doveva avere un secondo bambino, ma io non immaginavo
proprio che anche tu…”
“Io ho seguito il tuo esempio, ti
dà tanto fastidio?”
Guido si strinse nelle spalle, perplesso.
“Senti, non mi sembra il caso di discutere.
Spero solo che tu stia bene, e che sia felice con la tua famiglia, tutto qui.
Forse non sarei nemmeno dovuto venire a salutarti e fingere di non averti
visto, ma se la cosa ti ha infastidito, ti chiedo scusa.”
Anna volse il capo verso il campo
di gioco, cercando con gli occhi Andrea, che stava per l'ennesima volta
tentando di smarcarsi dal controllo del figlio di Guido.
“E' atroce vedere i nostri figli
che giocano insieme” osservò, più per se stessa che per Guido, che tuttavia
rimase colpito dal suo tono troppo carico d'amarezza.
“Ti fa davvero soffrire? Loro sono
soltanto due bambini, Anna.
Stanno giocando oggi, poi
s'incontreranno ancora nel corso della partita di ritorno e quasi certamente
non si rivedranno mai più, perché te la prendi tanto?”
“Hai ragione, scusami. Guarda la
partita è terminata, dobbiamo andare.”
L'arbitro stava effettivamente
fischiando la fine dell'incontro. I ragazzini corsero verso i rispettivi
genitori e Anna ne approfittò per allontanarsi da Guido senza nemmeno
salutarlo: trascinò Andrea nello spogliatoio dove lo fece cambiare in tutta
fretta, e poi lo condusse velocemente verso l'auto per tornare a casa, temendo
d'essere ancora intercettata dall'uomo che voleva evitare.
“Che partita, mamma! Erano duri,
questi qua, hai visto? Però ce l'abbiamo fatta!”
“Certo, siete stati bravissimi!”
Andrea, abbandonato sul sedile
posteriore a tracannarsi un succo di frutta, era troppo soddisfatto per la
vittoria della sua squadra ed i due goal segnati per notare la tensione
materna.
“Però mi hanno massacrato, quei
difensori, accidenti! Quel tipo coi riccioli, poi, quello con la maglia numero
cinque, non mi mollava un momento…”
“Tu sei un bravo attaccante, lui è
un bravo difensore, non trovi?”
“Già, ma era un bestione, però!
Mah, sono i casi della vita…” concluse Andrea con una frase che era
recentemente diventata un suo vezzo abituale, mentre Anna era indecisa se
avrebbe preferito mettersi a ridere amaramente o a piangere, pensando che era
proprio un “caso della vita” davvero idiota quello che aveva
fatto incontrare e scontrare per quaranta minuti, su quel campo di
calcio spelacchiato, un terzino ed un attaccante di nove anni del tutto ignari
di avere nelle vene il sangue dello stesso padre, ma questo sarebbe rimasta
solo lei a saperlo. Per sempre.