Santa Tivù
di Enzo Lombardo
Non dormo. Cacchio sono le tre e non
dormo. Domani sarò fottuto dal sonno e devo pure
andare dall'avvocato.
Lei invece dorme tranquilla. Di tanto
in tanto mugola. Sogna. Chissà chi sogna.
Porca, porca schifosa, come hai
potuto! Ed io che mi dicevo: è un angelo. Pura, era, per me. Per me era pura
anche quando le cresceva la pancia. Perchè era mio quel figlio che le cresceva
dentro. Dentro di lei c'era andato il mio sangue, pensavo, ed anche dentro quel
moccioso si agitava il mio sangue. Troia. Troia. Troia!
Passavano gli anni e le ossa di
Nicolino crescevano, gli cresceva il naso e sembrava proprio il mio naso. Anche
le orecchie sembravano uguali, stessa attaccatura, stesso disegno.
E gli occhi? - mi diceva lei - li
vedi gli occhi di Nicolino? Tuoi sono, caro, quegli occhi. Spiaccicati. Lo
stesso colore, gli stessi riflessi. Disegnati dalla stessa mano. Pitturati
dallo stesso pennello...
- Pennello... Quale
pennello?
- Dal tuo, caro.
- Dal mio che?
* * *
Tutto è cominciato con un programma
scientifico. Meno male che c'è la tivù. Santa tivù, divino amore.
E meno male che io ci ho il cervello
fino e che mi va di guardarla, la tivù.
Mica sempre. Mica tutto. Partite e
giornale. Più partite che giornale, tanto al giornale c'è sempre la solita
menata. Morti ammazzati, guerre e politica. Parole.
Oddio, certe volte il tigì potrebbe anche essere meglio dei film d'azione, se
solo ci arrivassero un pò prima. Ci arrivano dopo,
quei fessi, sempre dopo. Arrivano quando tutto il
bello è finito. Magari i botti ci sono ancora, in lontananza. Un pò di fumo, qualche sprazzo di luce qua e là, sempre da
lontano: che tu te li devi immaginare gli incendi e le esplosioni. E i morti?
Dove sono i morti? Mica te li fanno vedere bene, i
morti. Qualche sacco, magari; qualche fossa con gli ossi, se va bene. Non ha
succo, insomma. Una cosa che, dopo un pò, non ti
prende, non ti appassiona, non ti coinvolge nell'azione drammatica. E così
giro.
E che ti trovo girando per i canali?
Roba scientifica.
A me mi va
di guardare la roba scientifica. Io ci vivrei di scienza, io. Pane e scienza.
Così me la vado a cercare girando e rigirando per i canali e quasi sempre la
trovo.
Ad esempio ad una cert'ora
puoi trovare uno che ti spiega come fare tanta pipì ché fa bene alla salute
fisica del corpo, un altro che ti dice come puoi appiattirti la pancia con le
onde elettroniche magnetiche. C'è poi chi t'insegna a dormire con il cuscino
vibrante, chi ti fa vedere come si fa all'amore stando attorcigliati in una
scala a pioli, chi ti spiega il funzionamento degli occhiali per vedere gli
spiriti, cose così.
Ah, la scienza! Che uno senza scienza
è come se ancora stesse nel medioevo a curarsi con gli impacchi di merda di cavallo!
Come dire che la scienza può tutto. A
saperla usare ti fa vivere come un papa.
Ed è stata proprio la scienza, che mi
ha aperto gli occhi.
Una cosa scientifica dopo mezzanotte,
con tanto di nomi e cognomi stranieri, di spiegazioni e di lettere di
ringraziamento di tizi soddisfatti.
Per la verità, il presentatore non
era un viso nuovo. Sì, l'avevo già visto tante volte in tivù. Prima vendeva
pentole, casseruole e materassi con lo sconto. Avrà fatto carriera, si vede. Ora
intervista professoroni con la barba e le basette. Tutti con il camice, tutti
stranieri venuti apposta dall'estero per la trasmissione. Si vede che il camice
non se lo levano neppure quando viaggiano in aereo.
E che voce! Che stile! Che
precisione!
Ohè, e senza
peli sulla lingua! Pane al pane e vino al vino. Tutti termini medici,
difficili, però spiegati bene. Roba che uno, a ricordarseli bene, fa anche una
certa figura con la gente del bar.
C'era anche l'indirizzo in sovraimpressione. Scorreva come un serpentone in fondo allo
schermo e quelle lettere e quei numeri sembravano dirmi qualcosa. “Dai, prova!”
- mi dicevano - “Anche se sei sicuro, se proprio dubbi
non ne hai, con un cinquantone ti togli lo sfizio.”
Ed io dopo un poco mi dissi: e che mi
costa?
Un cinquanta, mi costa. Mica poco.
E che cosa è un cinquantone
al giorno d'oggi?
Beh, effettivamente...
Ma sì, sì. Proviamo.
Potevo usare la posta, il computer,
il telefono. Carta di credito. Avrei ricevuto il kit a fermo posta, pacco
anonimo, riservato.
E dai! Proviamo.
Comunque, riprendendo il discorso,
devo dire che, oddio, qualche ideuzza mi era già
venuta, anche prima.
Piccola piccola,
eh, una cosa minuscola. Quell'ideuzza mi si era
insinuata nel cervello come un serpente maligno: a volte dormiva, a volte no. Ma anche quando dormiva io la sentivo muoversi piano
nella testa. Ed allora guardavo Nicolino. I capelli di Nicolino, ad esempio, lisci lisci e neri neri. Ed anche belli grossi, duri come fili di ferro che a
pettinarli fai fatica.
I miei sono ricci e sottili e quasi
biondi e anche la stronza ce li ha chiari e sottili.
Da dove venivano quei cosi duri e lisci? Da una parente antica, diceva lei, da
qualche nonna. Quale nonna? – facevo io. Una che non hai conosciuto, caro,
diceva. Poi riattaccava con la solita menata del taglio degli occhi e del
pennello. Ed io bevevo. Bevevo. Santa Tivù, mi prenderei a schiaffi davanti
allo specchio, mi sputerei in un occhio pensando a quanto bevevo.
Il pacco l'avevo ricevuto da tre
giorni: avevo letto e riletto le istruzioni che quasi le sapevo a memoria. Per
l'esperimento aspettavo la domenica.
E la domenica era arrivata. Ieri.
Avrei dovuto usare un tampone di
cotone. Così c'era scritto nelle istruzioni. Lo dovevo usare per venti secondi.
Ma come facevo ad infilare un tampone in bocca a Nicolino senza dare nell'occhio?
Perchè? avrebbe
detto Nicolino. Ed anche la stronza avrebbe detto: “perché?”.
Potevo fare finta di guardarci un
dente dentro la bocca per venti secondi netti, potevo fare tante altre cose ma ho preferito giocare d'astuzia.
Così ho dato un pacchetto di gomme,
al bastardino, e ho aggiunto una pacchetta
sul cranio.
- “Tieni Nicolino”. E lui ha sgranato
gli occhi per la sorpresa ma si è subito ripreso e s'è
ficcato dentro la bocca una striscia intera di gomma, ed ha preso a masticare
come un vitello.
Si sarà anche meravigliato, perchè a
me la gomma americana fa schifo e non l'ho mai voluto vedere rimasticare come
un bue per casa. Però lo sapevo che a lui la gomma piace
e così l'ho fregato.
Poi ho contato fino a trenta. Nel
depliant c'era scritto che bastava contare fino a venti, il tempo di inzuppare
bene il tampone, ma la gomma non era cotone e volevo stare sul sicuro.
Al trenta ho detto: “Basta, che ti fa
male ai denti! Non inghiottirla e sputala subito!” E lui l'ha fatto.
Meravigliato lo era, ma l'ha fatto. Mi avrà guardato bene nelle palle degli
occhi ed ha capito che facevo sul serio. Lo sa che ho le mani pesanti, io.
Stava per buttarla dalla finestra. Si
vede che per lui la finestra è la pattumiera di casa.
- No! - gli ho detto.- Dammela!
Avevo preparato tutto. Salvietta,
bustina di plastica, contenitore. Quando Nicolino mi ha dato quel grumo
schifoso e molliccio l'ho preso con la salvietta ed ho fatto finta di andare in
cucina, ho fatto un pò di rumore con il coperchio
della pattumiera ma il grumo era già in tasca, al
sicuro.
Dopo un paio di secondi era in un
contenitore a tenuta stagna, piccolo e discreto, con sopra un'etichetta bianca:
ci avevo scritto “Lui”, tanto per non fare nomi..
Una era fatta! Ora restava la parte
più facile. La mia.
Tampone, venti secondi di permanenza
in bocca. Il tampone era diventato ormai una pappetta.
Che schifo! Sputo. Scatoletta (Quella con l'etichetta: “Io”). Nastro adesivo. Fatto!
Il lavoro doveva essere fatto entro
ventiquattrore.
Ho dovuto aspettare di essere da solo
in casa. Avevo scelto apposta la domenica mattina.
Il pomeriggio della domenica la mia
signora moglie va dalla sua signora madre. Le due streghe confabulano fino a
sera. Cioè sparlano di questo e di quello ma in generale sparlano di me.
Qualche volta io mi cucco la suocera. Così almeno mi sparlano a domicilio.
Questa domenica no. Sono stato in casa da solo. C'era
la partita. Roba da maschi.
Così alle tre sono andato in cucina,
ho aperto la tele e ho messo tutto il kit sul tavolo,
con le vaschette numerate e le istruzioni davanti.
Un occhio alla tivù, ché la partita
sarebbe cominciata dopo il telegiornale.
Aspettavo quella partita dall'inizio
del campionato. Grande partita.
L'altro occhio alle istruzioni. Messe
lì, belle aperte sul tavolo.
Punto primo, punto secondo, punto
terzo. Un sacco di punti.
Bisognava aggiungere sostanze nelle
vaschette. E acqua. Acqua distillata, mica quella del rubinetto. Io ho usato
quella del ferro da stiro.
Una polverina era per la valutazione
dei parametri biostatici (chissà che vuol dire).
Un'altra per l'analisi delle risposte biometriche
ponderate (così c'era scritto), una per le compensazioni eletrostatiche
molecolari, l'ultima per la colorazione micrometrica cellulare... insomma tutte
cose scientifiche che poi significavano solo che dovevi sciogliere le bustine
nell'acqua che ribolliva come fosse bicarbonato e limone.
Intanto era cominciata la partita:
c'erano anche stati due tiri in porta, un'azione da favola, cristo, anche se
poi era andata buca. Subito dopo un paio di falli ai nostri che l'avrebbe visti
un cieco! Stronzo di un arbitro! Cornuto! Ero sicuro
che si era venduto la partita. Con quella faccia da culo avrebbe venduto anche quella baldracca di sua madre!
Ecco come si fanno i soldi!
A questo punto ero incazzato nero e non ero più nello spirito scientifico adatto ma ho dovuto lo stesso immergere in tutte quelle
vaschette un pezzetto del grumo schifoso di Nicolino e quello faceva le bolle.
Il grumo, dico, non Nicolino.
Sì qualcosa stava succedendo davvero
dentro quelle vaschette.
Potevo guardare bene le vaschette,
tanto in campo era una menata colossale. Quegli stronzi
si passavano la palla come signorine, manco fossero stati nel cortile della
parrocchia! Ballavano il valzer con il pallone attaccato a quelle fottutissime zampe! Tataratà ta ta, tataratà ta ta... Ed un poco di grinta, che cacchio! Me lo chiamate
gioco di squadra, questo? Che gioco di squadra è, se state a palleggiare per
mezz'ora?
Visto che non succedeva quasi niente
alla tivù, mi sono concentrato nell'esperimento.
Era un momento importante: era il
turno mio. Altre vaschette, altra acqua, altri pezzettini di cotone in ogni
vaschetta.
Il cotone mio. Ed anche le mie
vaschette ribollivano un poco, ma ribollivano diverso e la cosa già non mi
piaceva per niente.
Comunque il bello è venuto dopo:
l'ora della verità!
Mi tremavano le mani
quando presi in mano le strisce sottili di carta assorbente numerati e
li misi sul tabellone colorato del kit.
L'ora della verità era arrivata... Per me e per quei figli di una mignotta
che fingevano di giocare, sullo schermo.
Però, è proprio vero che la vita è
tutto un gioco di colori! I cartellini dell'arbitro che uscivano dal taschino a
raffica e quelli tutti colorati del kit che m'avrebbero detto la verità su
Nicolino. Una striscia, un colore. Esito. Altra striscia. Altro colore. Tutto
facile. Semplice. Colorato.
Magari ogni colore, ogni vaschetta,
fotografava una parte del corpo. Che so... la numero uno i
capelli, la due le ossa, la tre i muscoli, la quattro i visceri.
La quinta e la sesta non lo so.
Intanto il verde del campo invadeva
lo schermo.
Questa domenica li facciamo neri lo
stesso, pensavo. Magari questa roba sarà una fottutissima
strategia del mister. Roba da lavagna! Ma proprio mentre lo pensavo ci è
entrato in rete un pallone sparato che manco gesucristo
poteva fermarlo! Sembrava un tiro di rigore. Ed il portiere? Quello stronzo, stava a parare l'aria dall'altro lato della porta!
Cos'è cecato? Ricordo che rimasi come paralizzato... Uno a zero a noveminutiediecisecondi
dall'inizio. Poi dicono che uno va fuori di testa. Va bè
ci rifaremo, tempo ce n'è, pensavo.
Ed invece in mezz'ora era tutto
fatto.
I nostri erano fatti. Quasi mi veniva
da piangere. Proprio fatti e strafatti. In quella
mezz'ora ne avevamo presi altri due. Due pallonate senza misericordia. Uno di
testa ed uno con un pallone d'effetto che sembrava cercarsi la porta da solo.
Cosa hanno, quelli, nei piedi, il telecomando?
Non solo ero incazzato,
ormai avevo pure perso le speranze. Mi veniva da piangere davvero, guardando
quel cesso di partita, lacrime di rabbia mi salivano in gola ed io ingoiavo lacrime
e veleno ed insieme guardavo le due serie di strisce di carta assorbente
numerate che stavano sul tavolo.
Quasi mi addolcivano l'anima i colori
di quelle cartine. Una era verde ma girava al giallo,
un'altra era quasi rossa con un pò di arancione che
sembrava un tramonto. E così via. Ce n'era una che era quasi nera. Doveva
essere quella dei capelli.
Ero moscio per via della partita.
L'avevamo già persa quella merdosa partita! L'ora
della verità era arrivata all'inizio del secondo tempo. Un pallone sparato dal
centro campo, intercettato! Palleggio, scarto, ancora scarto... e quattro! Fottuti, cristo!
E che stavo ancora a guardare?! Mi sentivo svuotato dentro. Quell'ultimo
pallone m'era entrato nei visceri, me li aveva
attorcigliati, distrutti. Un patimento della madonna!.
Meglio concentrarsi su qualcos'altro.
Ero proprio nervoso
e quelle strisce di carta bagnata sembrava che mi guardassero con occhi
maligni: strisce numero 1A e 1B. Cazzo, non si
somigliavano per niente.
Una rossiccia e l'altra testa di
moro.
2A e 2B, qui
i colori erano proprio diversi: blu cielo e verde mare.
Gira che ti rigira, neppure un misero paio di strisce aveva lo stesso colore!
Per farla breve, in quel momento ho
saputo d'essere un cornuto. Certezza scientifica.
* * *
E' tardi. Scendo le scale di corsa.
Lei mi ha dato anche il bacio di
Giuda sulla porta. Non lo sa, la stronza, che ci ho
le prove in saccoccia! Ma lo saprà, cacchio se lo saprà! E presto anche! La
busta con le strisce colorate mi balla in tasca e mi ricorda, ad ogni passo,
che devo telefonare all'avvocato.
Un paio di fermate del bus. La Metro. Trovo
un posto per miracolo. Sei fermate ancora e quella busta sembra pesarmi un
quintale, in tasca, anche da seduto.
Mentre nessuno mi guarda la prendo,
sento le strisce dentro. So che in ognuna stà scritta
la sacrosanta verità su Nicolino e mi viene da piangere. Non ci posso fare
niente. E' più forte di me.
Ora la gente mi guarda perchè sto
piangendo. Mi cadono le lacrime sulla busta chiusa e qualcuno si avvicina.
- Si sente male?
- No... no che non sto male. Ho perso
un figlio. Forse anche la moglie.
- Condoglianze... Una
disgrazia? Un incidente?
- No, macché disgrazia, macché
incidente... sa, la tivù...