Nerofumo
di
massimolegnani
Una
mantellina di raso nero prestata dalla nonna, un cappellaccio in
disuso del papà, uno spadino di plastica, unico acquisto a
dare verosimiglianza al personaggio, un sughero affumicato sul gas
della cucina a disegnare baffi e mascherina attorno agli occhi sul
volto infantile. Lui, al termine della vestizione, guardandosi allo
specchio, più che Zorro si sentiva uno spaventapasseri, ma di
quelli che non spaventano nemmeno il merlo più credulone.
Soprattutto
lo infastidiva il nerofumo con cui la mamma gli aveva trasformato i
connotati, gli sembrava una finzione forzata che non lo divertiva,
altro che Allegria! come gridava quello là. E poi non
gli piaceva l’odore acre di quegli sbaffi neri sotto il naso.
Quale allegria cambiar faccia cento volte…avrebbe
potuto cantare con la malinconia di Dalla, se solo questi avesse già
scritto allora la canzone.
Ma
il peggio doveva ancora venire.
Soddisfatta
della sua opera la mamma decise di portarlo su e giù per le
scale a mostrarlo agli inquilini del palazzo. Dalla portinaia paciosa
alla gran dama dell’ultimo piano fu un tripudio di squittii
entusiasti, un coro di voci garrule che lo invitavano a disegnare
Zeta nell’aria con lo spadino. Lui, silenzioso e tetro, accennò
senza convinzione qualche gesto goffo, era la scimmietta ammaestrata
che legata alla catenella deve esibirsi a tempo di musica.
Quel
giorno Camillo imparò a sue spese che il Carnevale è la
festa più triste dell’anno.
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