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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Campagna elettorale, di Cesarina Bo 05/07/2007
 

Campagna elettorale

di Cesarina Bo

 

 

 

Appoggiò il vecchio motorino alla cancellata e si tolse il casco. Lo posò in precario equilibrio sulla sella, tergendosi il sudore dalla fronte. Nonostante fossero le nove del mattino il sole iniziava già a scaldare: il cielo, in quella domenica d'inizio giugno, era terso e l'aria immobile. Tirò fuori dalla tasca un foglio sgualcito, lo guardò con estrema attenzione, poi, con una penna, tirò una riga su un nominativo: esattamente il settimo della lista. Guardò pensierosamente gli altri trentacinque nomi e controllò l'orologio.

Alvaro si chiese se sarebbe riuscito a terminare il giro in giornata. Si augurava di sì: essendo domenica avrebbe avuto molte probabilità di trovare la gente a casa. I tempi stringevano e non poteva concedersi il lusso di fare le cose con calma.

Si era fatto consegnare le liste degli elettori dal Comune: centosettantacinque persone in tutto, di cui novantasette femmine. Aveva trascorso un pomeriggio intero a ricopiare quei nomi e li aveva studiati a lungo prima di stabilire un criterio di selezione. Aveva subito eliminato i parenti stretti degli altri candidati, poi tutti quelli che, per un motivo o per l'altro, avevano avuto da ridire con lui o con i suoi vecchi. In paese certi sgarbi duravano a lungo e ne portavano le conseguenze ancora i figli dei figli. Ad esempio aveva dovuto cancellare, con enorme dispiacere, una famiglia di ben tre persone votanti per via di un'offesa fatta almeno cinquant'anni prima, ma che non era mai stata dimenticata. Ne era al corrente perché la sua povera madre, più volte, gliene aveva parlato. Il fattaccio successe esattamente il giorno in cui i suoi si sposarono. Tra gli invitati c'era la vecchia Caterina, alla quale avevano promesso che sarebbero passati a prenderla con l'auto degli sposi per portarla alla funzione prima e al pranzo dopo. Nella concitazione della giornata se ne dimenticarono completamente e Caterina rimase a lungo sulla porta con il vestito bello, il cappello con la veletta e un filo di rossetto, rientrando in casa solo dopo che il corteo nuziale era passato e non c'era più anima viva in giro.

Alvaro aveva dunque proceduto in quel modo depennando via via tutti quelli che, a suo parere, avevano un motivo per portargli rancore e in quella cernita era stato rigorosissimo, andando a ripescare anche solo scambi di battute poco felici o altre inezie. Alla fine aveva selezionato quarantadue nomi che dava per certi.

Già nelle precedenti elezioni aveva sbagliato tutto. I risultati non avevano lasciato dubbi: aveva ottenuto tre voti dei quali uno era suo. Inoltre –e la cosa lo aveva indisposto non poco- non era mai riuscito a capire di chi fossero gli altri due voti. Sette persone, al termine delle elezioni, gli avevano detto con un tono funereo e abbassando la voce: “Mi spiace, Alvaro! Guarda, però, che io ti ho votato…”.  Alvaro non era mai riuscito a scoprire con certezza chi tra quelli aveva mentito. Forse tutti, sicuramente cinque se la matematica non era un'opinione. Non aveva fatto molti studi, ma non era uno stupido e i cinque anni delle elementari gli erano più che sufficienti per fare due conti. Per un po' di tempo li aveva tenuti sotto controllo e fatto loro domande tranello per coglierli in fallo. Poi ci aveva rinunciato: aveva pensato che, nel dubbio, fosse buona politica tenerseli amici tutti sette.

Alvaro stava riflettendo che l'errore più grande commesso nella precedente campagna elettorale era stato quello di affidarsi ai volantini. Era pur vero che, al fondo, li aveva firmati uno per uno, che ne aveva fatto stampare in abbondanza e li aveva messi –doppi per sicurezza- personalmente in tutte le buche delle lettere d'ogni casa del paese, ma era, con tutta evidenza, mancato il contatto personale. Avrebbe dovuto pensarci prima che i suoi compaesani non leggevano volentieri e che quindi quella sua strategia non avrebbe funzionato. Si era così ritrovato con due voti (il suo non lo contava: si sarebbe in ogni caso votato, con o senza volantini), una cifra esorbitante da pagare alla copisteria della città e in più la beffa di vedere molti dei suoi volantini con la sua faccia utilizzati per incartare le mezze dozzine d'uova.

Prima di suonare il campanello del potenziale votante si guardò attorno e notò, ad una certa distanza, un'auto blu che già aveva intravisto in mattinata durante il suo giro. Doveva essere di un forestiero perché gli era sconosciuta: si chiese chi mai potesse essere e cosa facesse in paese. Quel pensiero, però, durò poco. Si concentrò sul discorso che si era preparato per quella persona. Alvaro, infatti, dopo aver selezionato i nomi, aveva cercato per ognuno un aggancio dal quale partire e aveva preso un appunto di fianco ad ogni nome. Lesse: “Amilcare-pomodori”. Rovistò nella cassetta che era fissata dietro al sellino della moto e prese un mazzetto di piantine di pomodori già un po' avvizzite, nonostante avesse avuto l'accortezza di avvolgerle in un pezzo di carta di giornale bagnato. Lo scrollò per migliorarne l'aspetto e suonò il campanello.

“Ciao, Amilcare. Ti ho portato qualche piantina di pomodoro, di quelle speciali. Non ne ho molte, ma ho pensato che ti avrebbero fatto piacere.

“Certo! L'anno scorso i tuoi pomodori erano i più belli di tutto il paese e ti abbiamo invidiato…”

Parlarono un po' dell'orto e un po' del tempo, poi Alvaro attaccò il discorso che più gli premeva:

“Visto che sono qui, Amilcare, ti ricordo che sono in lista: posso contare sul tuo voto? Sai che non te ne pentiresti…”

“Vai tranquillo, Alvaro, nessun problema: non avresti neanche dovuto chiedermelo!”

Rassicurato da quelle parole Alvaro si congedò in fretta e, prima di risalire sul motorino, lesse il nome successivo: “Marisa-rubinetto”. Marisa era una lontana cugina e qualche tempo prima gli aveva chiesto se poteva dare un'occhiata al rubinetto del bagno che gocciolava in continuazione. Sovente l'anziana donna si rivolgeva a lui quando aveva dei piccoli lavori di manutenzione da fare. Però, se le avesse riparato il rubinetto, si sarebbe assicurato il voto. “Esisterà ancora un po' di riconoscenza a questo mondo”, rifletté Alvaro.

Era buio da un'ora quando Alvaro rientrò a casa: adesso non gli rimaneva altro che aspettare. Mentre posteggiava il motorino dentro il cortile rivide, di sfuggita, l'auto blu del forestiero che più volte aveva notato durante la giornata; di nuovo, per un attimo, si chiese chi fosse e che facesse quella persona in paese. Poi si rimise a pensare alla giornata appena conclusa: il giro era stato soddisfacente e tutti gli avevano fatto capire che l'avrebbero votato. Pensò pure al suo avversario principale e allo smacco che avrebbe subito. Si trattava di un certo Luigi, detto “il signore” perché era pieno di soldi. Alvaro non gli perdonava d'essere uno che veniva da fuori e che, appena arrivato in paese, si era messo a criticare tutto e tutti. Teneva certi comizi da far accapponare la pelle. Lo aveva sentito promettere niente meno che “la costruzione di un bocciodromo” e quegli ingenui dei suoi compaesani erano rimasti lì, a bocca aperta, incantati da quelle parole. Solo uno aveva chiesto: “Ma con che soldi?” ed aveva ricevuto in risposta: “Domanda giusta, giustissima! Con i miei… Io in questo paese sto bene e farei volentieri una donazione, sempre che sia eletto.” Fu subissato da applausi che giunsero impietosi fin dietro al platano dove Alvaro se ne stava, seminascosto, ad ascoltare.

La settimana si trascinò con lentezza e l'umore di Alvaro oscillò, con una frequenza preoccupante, tra certezze e dubbi, lasciandolo, alla fine, stremato e nervoso.

Trascorse la notte precedente il giorno delle elezioni in un dormiveglia agitatissimo, popolato da incubi. Aveva provato la sensazione di scivolare lungo un dirupo e di non aver modo di fermarsi o, anche solo, di rallentare quella discesa rovinosa appigliandosi a qualche sporgenza. L'accelerazione che il suo corpo acquistava nel sogno l'aveva portato a svegliarsi di soprassalto con il cuore in gola e le farfalle nello stomaco; Alvaro aveva impiegato un po' di tempo a capire che si trovava nel suo letto, fermo e in posizione orizzontale. Così decise di alzarsi, si rase la barba, indossò la camicia della festa e, sebbene fosse ancora buio, si avviò verso le scuole, dove, a partire dalle sette, avrebbero avuto inizio le votazioni.

Rimase perplesso nel vedere un pullman da gran turismo parcheggiato proprio nel mezzo della piazza antistante all'edificio scolastico: a lui non risultava che ci fosse qualche gita in programma. Si avvicinò e lesse, appoggiato al vetro anteriore, un cartello con su scritto: “GITA AL SANTUARIO DELLA MADONNA DELLE NEVI”. Si trattava di un famoso luogo di pellegrinaggio distante quasi duecento chilometri dal paese. Lui c'era stato una sola volta, quando era giovanissimo, e, da allora, si era sempre riproposto d'andare. Anzi, mentre leggeva quel cartello, gli venne immediato formulare un voto: “Se vinco le elezioni vado a far visita alla Madonna delle nevi.

L'autista fumava annoiato, seduto al posto di guida. Alvaro era convinto che quell'uomo avesse sbagliato posto di ritrovo e stava quasi per dirglielo quando vide giungere della gente. Man mano che si avvicinavano iniziò a riconoscerli: c'era Amilcare, poi, subito dietro, Domenico, Rita, Marisa, Alfredo, Piero… insomma i suoi potenziali elettori. Tutti fecero finta di non vederlo e salirono in silenzio sul pullman.

Alvaro era esterrefatto, quasi non gli usciva la voce dalla bocca mentre cercava di chiamare ora l'uno, ora l'altro.

“Ma dove vanno? Che fanno? Sono matti? Tra un'ora si vota!”

Alla fine si decise e salì sul pullman. Fu accolto da un silenzio imbarazzato.

“Dove andate? Oggi si vota… me lo avete promesso! Non potete farmi questo!”

Nessuno parlò.

“Non potete aspettare un'ora prima di partire?”

Ancora silenzio.

“Amilcare, vecchio mio, almeno tu spiegami cosa sta succedendo…”

“Alvaro, noi non c'entriamo per nulla e lo abbiamo saputo solo ieri sera. Ha fatto tutto Luigi: ci ha spiegato che doveva offrire una gita gratis con tanto di pranzo e di cena pagati per un voto, fatto a suo tempo, alla Madonna delle nevi. Così ha sorteggiato quarantadue nomi ed eccoci qui. Siamo solo stati molto fortunati! Tu fai male a prendertela in questo modo: vedrai che ti andrà bene lo stesso, voto più o voto meno.

L'autista, spazientito per l'attesa, mise in moto il pullman dicendo: “Signori posso partire?”, poi rivolto ad Alvaro: “Dovrebbe farmi la cortesia di scendere: da quel che ho capito lei non ha vinto.

 

 

 

 

 

 
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