I racconti di Versailles
– 6 - di Bruna Alasia
MINUETTO
PER UNA CENERENTOLA
Racconto sesto
Agli
appartamenti di sua altezza reale si accedeva attraverso una olimpica
scala di marmo, protetta da un corpo di guardia numeroso e sfaccendato che
ingannava il tempo spettegolando, giocando d'azzardo, tenendo a distanza i
venditori che, come farebbero oggi firme rinomate, rifilavano a prezzo
esorbitante normale mercanzia .
Visitatori e corrieri, sbandierando affari imperdibili,
riuscivano a intrufolarsi fino all'anticamera della sala pranzo dove uno stuolo
di domestici, ciascuno con la divisa che stabiliva la gerarchia delle mansioni,
attendevano in attesa di ordini. Mops,
l'amatissimo cane di Maria Antonietta, un carlino fulvo e con la coda ricurva
che era stata costretta ad abbandonare durante il viaggio verso la Francia
e che con grandi proteste si era fatta rispedire a Versailles, correva sul
parquet con rinnovato vigore assieme a un suo compagno, libero e viziatissimo,
facendo cacca e pipì dove gli pareva.
La fece
anche quel pomeriggio, mentre l'arciduchessa prendeva lezione di canto.
Quando Madame de Noailles,
la dama d'onore, entrando se ne accorse, impietrì: un
odore nauseabondo sviliva i gorgheggi
della pupilla.
-
Altezza! – sussurrò cercando di attirare
l'attenzione.
Gli acuti
di Maria Antonietta coprirono la sua voce.
-
Ooooooh! Aaaaaah!
- Fa
diesis, altezza reale! Fa diesis! – disse il maestro al clavicembalo.
- Altezza! Per carità di Dio… -
esclamò disperata Madame de Noailles.
La musica
tacque.
-
Altezza reale, Mops ha
mollato qualcosa di… - e turandosi il naso la guardò scandalizzata.
-
Ebbene? – rispose l'altra imperturbabile - Fate provvedere…
-
Sarebbe opportuno che i cani stessero fuori…
Ma la
Delfina, alzando un ciglio, la gelò con lo sguardo.
Nessuno dei servitori aveva in effetti
l'incarico di badare agli animali che erano, per questo, estremamente sudici. Mops passava il tempo a rosicchiare gli arazzi pregiati che
coprivano fino a terra le pareti, grattava il mobilio, strappava la tappezzeria
delle poltrone, si rotolava sul pavimento con il figlio del primo valletto e
della prima cameriera di Maria Antonietta, due bambini di quattro e cinque anni
che si divertivano a rincorrerlo e che, proprio in quel momento, si fecero sulla
porta.
-
Venite qui! – li chiamò la Delfina
appena li vide.
Timidi i
piccoli avanzarono.
-
Andate a pulire la cacca del cane, prendetela e
portatela via.
I bambini
si guardarono incerti.
- Su…
andate! - ribadì imperiosa sua altezza.
I monelli
scattarono chinandosi sotto il tavolo, strisciarono sotto il clavicembalo,
sotto le poltrone, ballonzolando raggiunsero una consolle a mezza luna e
cercarono di aprire il suo cassetto decorato di foglioline d'oro.
-
Ma dove state cercando, stupidi! – strillò Maria
Antonietta.
Finalmente, in un angolo contro il muro,
trovarono gli escrementi, li avvolsero in uno straccio lurido cavato da una
tasca e vociando corsero via, fuggendo a piedi scalzi insieme ai cani.
Facendosi vento con le mani Madame de Noailles,
rossa in viso, sembrava stare male: Maria Antonietta osservandola provò
piacere, una sorta di inconsapevole rivalsa per la sottile violenza che le
infliggeva la gran maestra della casa con la pretesa di stenderle un tappeto di
fiori.
Sacerdotessa dell'etichetta, delle sue regole e delle buone maniere, che
esercitava con portamento altero, severità, compita freddezza, Anne Claude Laurence
contessa di Noailles, era totalmente assorta nel
ruolo, al quale dava importanza assoluta perché rappresentava per lei l'apice di
quella grandezza che la sua famiglia, attraverso intrighi abilissimi, aveva
raggiunto a corte. L' incontro tra la Delfina
e Madame de Noailles, o meglio Madame l'Etiquette, come era
stata soprannominata da Maria Antonietta, era avvenuto all'isola delle Spezie,
durante la cerimonia del commiato, il giorno che la piccola austriaca era stata
ufficialmente accolta in territorio francese. Allora Maria Antonietta di
slancio le aveva teso le braccia, ma l'altra si era scansata perché il
cerimoniale prevedeva che per primo l'abbraccio spettasse a suo marito, il
conte di Noailles. Da quel momento Madame l'Etiquette non aveva smesso di tallonarla da vicino,
tormentandola sul modo con il quale salutare il tale o il tal altro: quando
fare un cenno con la testa, quando inclinare il busto, quando, in caso di una
principessa di sangue, far l'atto di alzarsi restando seduta; quando destreggiarsi con lo strascico
dell'abito, quando gli inchini prescritti,
quando la riverenza che doveva essere secondo i maestri “umile, graziosa
e nobile”. Una serie di regole rigide e faticose, un formalismo incredibile che
cozzava con l'abituale cattiva igiene e trasandatezza di Versailles. Una
schiavitù che la Delfina mal sopportava, anche perché a Schonbrϋnn non si era mai applicata.
-
Altezza, sono sconvolta… non dovreste permettere ai vostri animali tutte queste libertà! - esclamò Madame l'Etiquette quando
si riebbe dallo shock.
-
E perché no? Io amo i cani, per me hanno i nostri
stessi diritti… -
poi rivolta all'insegnante di musica Maria Antonietta fece cenno di chiudere il
clavicembalo - abbiamo finito… potete andare.
-
Ma altezza reale… - le corse dietro la gran maestra
della casa.
- Pensavo
un giorno di farmi scolpire teste di cagnolino sui braccioli delle sedie, non
lo trovate originale? – rise la ragazzina uscendo dalla sala.
La
formale Madame de Noailles, ferita nell'
amor proprio, allargò gli occhi offesa.
***
Si alzava una tersa mattina, fredda come un lago all'alba, nel boudoir della Delfina il fuoco era stato acceso. Dopo la vestizione alla presenza di tutti,
durante la quale aveva sentito la pelle accapponarsi per gli spifferi gelati,
era grata di poter sedere al caldo.
Vestirsi un'esibizione faticosa, che il
cerimoniale rendeva in certi casi un supplizio. Le dame consideravano l'atto di
porgere i panni alla futura regina un onore che sottolineavano con estrema
lentezza e che difendevano con le unghie e con i denti: da sola l'arciduchessa
non avrebbe potuto indossare alcun indumento, così stava mezza nuda per un tempo
interminabile. Madame l'Etiquette aveva ispezionato la biancheria preparata dalla
prima cameriera e solennemente l'aveva offerta alla Delfina.
Poi aveva esibito il bustino di stecche di balena.
-
No Madame! Sapete bene che non lo sopporto! – aveva
protestato la giovinetta.
-
Altezza reale oggi è domenica… c'è il grand couvert… molti verranno a vedere il vostro pranzo,
l'abbigliamento dovrà essere perfetto…
-
Non insistete… ho detto che non lo sopporto!
La gran
maestra della casa aveva alzato gli occhi al cielo rassegnata, come a chiedere
perdono.
Ora, seduta davanti al bureau a
cilindro, il suo angolo privato, Maria Antonietta gustava finalmente un momento di relax:
leggeva, per la terza volta e con grande gusto, la lettera di sua madre. Avrebbe voluto poterla toccare, sentire il
suo calore, il pensiero che quel foglio fosse stato tra le sue mani le dava
sollievo. Quando vivevano insieme pensava di essere trascurata, era gelosa
della sua predilezione per “Mimi”, la sorella Maria Cristina, ma la separazione
aveva reso il legame più forte.
Gli occhi le si velarono scorrendo le frasi che
portavano la data del 6 gennaio 1771:
Madame mia cara figlia
…. Ieri il
corriere ci ha portato la notizia della disgrazia di Choiseaul.
Riconosco di esserne stata colpita: nella sua condotta non ho visto che onestà,
umanità e attaccamento all'alleanza, per il resto non voglio entrare nelle
ragioni del re, e voi ci entrerete ancora meno. Spero che il re lo rimpiazzi e
che i suoi successori meritino la nostra fiducia. Non dimenticate che la vostra
attuale sistemazione è stata opera sua e di dovergli della riconoscenza. Ora
più che mai avete bisogno, figlia mia, dei consigli di Mercy
e dell'abate Vermond che, sapendo la sua onestà, avrà
sicuramente avvertito il colpo; ma voi
non lasciatevi indurre in alcuna fazione, restate neutrale in tutto,
fate a ciascuno il saluto dovuto, fate ciò che fa piacere al re e la volontà del vostro sposo. Fate buone
letture, sono più necessarie di qualsiasi altra cosa…
soprattutto in inverno non va messa da parte questa risorsa… incaricate l'abate Vermond
di farmi conoscere tutti i mesi a cosa vi siete applicata e cosa contate di
cominciare… Mi raccomando di essere riservata su tutto, di non concedervi alcuna
confidenza o curiosità, se volete conservare tranquillità e approvazione
generale… Sono incantata dai balli che si danno da voi e che fanno gran bene al Delfino…
Maria
Antonietta sospirò e ripose la lettera in un cassetto del bureau che chiuse a
chiave. Non aveva capito granché del motivo che aveva spinto Luigi XV a
esiliare il duca di Choiseaul, colui al quale doveva
il matrimonio, colui che aveva fatto molto per l'alleanza tra Francia e
Austria. La sua caduta le spiaceva perché decretava il trionfo della favorita
del re, la scandalosa du Barry,
e dei suoi alleati. Nonché il
ridimensionamento di persone avverse a quella fazione, membri del suo
entourage, come la contessa Du Grammont,
sorella del duca. Più in là dei piccoli drammi delle persone vicine,
l'adolescente Delfina non vedeva, sentiva le problematiche politiche astruse e
lontane, non la riguardavano ed era sicura non potessero esistere situazioni di
insoddisfazione: i reali in quanto divini non sbagliavano mai. Si occupava solo
di sé stessa e considerava normale essere la prescelta, un dono che il signore
aveva fatto al popolo,
da coltivare e difendere.
Invece,
proprio in quel periodo, Luigi XV aveva questioni gravi: la Francia
andava incontro a una crisi fiscale, bisognava imporre nuove tasse perché il
tesoro era sull'orlo di una bancarotta. Il sistema tributario aveva necessità
di una riforma, ma questa era impossibile perché l'autorità del sovrano era
tenuta in scacco dai parlamenti locali, dove la nobiltà pretendeva di avere il
veto sugli editti del re. Ogni volta che i ministri reali cercavano di fare
pagare le tasse ai nobili i parlamenti insorgevano: Choiseaul,
che appoggiava questi parlamenti, aveva ovviamente perso il posto. Per
dirla in parole semplici: monarchia e aristocrazia erano impegnate in una lotta
per il potere all'ultimo sangue. Venire a patti non era facile e fu uno dei
tanti aspetti che, tra gli altri, diciotto anni dopo sfociarono nella
rivoluzione.
“Mia madre vorrebbe che leggessi, ma non c'è
tempo” - pensò
Maria Antonietta e guardò il pendolo: doveva andare, farsi preparare per il
trucco, presenziare alla cerimonia del pranzo, il grand couvert
- “chissà cosa dirà Madame l'Etiquette quando vedrà che ho invitato la principessa di Lamballe”…
***
Il grand couvert, o
pranzo pubblico, era un avvenimento al quale, nei giorni di festa, chiunque fosse vestito decentemente, poteva andare a curiosare.
L'etichetta voleva che gli uomini portassero la spada, ma per chi non ne disponeva ce n'era sempre una pronta ai cancelli della reggia,
così come oggi chi entra al Parlamento, se non ha la giacca, può farsela
prestare. Il pranzo dei reali era considerato una visione talmente appetibile
che per le scale di Versailles gli spettatori correvano da una all'altra ala
del palazzo per non perdere gli spettacoli in atto: il pasto di Luigi XV, di
Maria Antonietta e Luigi Augusto, delle signore zie, del conte di Provenza e di
Artois, fratelli del futuro Luigi XVI, che avevano
residenze separate. In quei momenti i sudditi erano lune che giravano intorno
al sole e vivevano di luce riflessa, così come il duca di Choigny, che aveva il
compito di porgere la candela al sovrano
durante la cerimonia del coucher,
si sentiva risplendere in quell'atto servile perché
lo metteva vicinissimo al suo signore.
Al grand couvert della Delfina e di Luigi Augusto quel giorno erano stati
invitati i fratelli di Luigi e la principessa di Lamballe che Maria Antonietta aveva conosciuto, all'inizio
del carnevale, a uno dei balli che la gran maestra dava nei suoi appartamenti,
compito per il quale veniva strapagata. Madame l'Etiquette era gelosa di tutto l'entourage della pupilla, ma
in particolare della principessa di Lamballe, perché
aveva capito come fosse entrata nel cuore della sua protetta.
Quando
Maria Antonietta apparve in sala insieme al Delfino, gli altri commensali erano
già a tavola, Madame l'Etiquette, inginocchiata su
uno sgabello con il tovagliolo su un braccio, con accanto
quattro dame ad assisterla, ispezionava con gli occhi gli ufficiali
della bocca per dare disposizioni. La sua posa pietrificata fu per
l'arciduchessa motivo si ilarità:
- Rilassatevi Madame – commentò sedendosi.
Madame l'Etiquette la
fulminò con un'occhiata, “piccola austriaca incolta” pensò ricordando come
tempo prima, scivolata sul pavimento sopra il panier,
le avesse chiesto: “Quando una dama va per terra col sedere che si fa?”.
D'altro canto, l' impertinenza di Maria Antonietta non
era ben vista da nessuna signora anziana, la sua diversità, l'appartenenza a un
casato straniero, erano di ostacolo a corte. Proprio per questo la Delfina
sentiva il bisogno di un'amica vera e la principessa di Lamballe,
per niente intrigante, timida, arrendevole, più grande di sette anni, decantata
per la purezza, vedova infelice di un dissoluto discendente di Luigi XIV
prematuramente morto, sembrava la più
adatta.
-
Angelo mio – disse Maria Antonietta rivolta alla Lamballe – ho saputo che il caso di Mademoiselle
de Lorraine è arrivato sino
a Luigi XV…
- Sì, è
stato un grande scandalo…
il sovrano ha risposto che se Mademoiselle
dovesse aprire il ballo questo non creerà nessun precedente e non ha ancora
dato disposizioni…
Bisogna sapere che quello di aprire i balli a corte era un
grande privilegio e l'etichetta voleva che ciò toccasse alle duchesse. La madre
di Mademoiselle de Lorraine,
contessa lontanamente imparentata con gli Asburgo-Lorena,
per promuovere la figlia aveva premuto perché si facesse un'eccezione al
cerimoniale e potesse
iniziare il minuetto: insomma una cenerentola in carne ed ossa che tentava la
scalata sociale. Ma l'avanzamento mondano di Mademoiselle
di Lorraine era sembrato una tale minaccia all'ordine
costituito che l'arcivescovo di Reims e il Vescovo di
Noyon furono obbligati a protestare presso Luigi XV.
-
Al re questo da molto fastidio – s'intromise il
conte di Artois, il più giovane dei nipoti, che non
ancora quattordicenne era sveglio in queste cose – cerca di lavarsene le mani ma gliene parlerò…
la soluzione sarebbe far aprire
le danze a Mademoiselle senza offendere gli altri…
-
E come? – domandò ansiosa la principessa di Lamballe.
Maria
Antonietta sapeva che quello era un pasticcio architettato dal suo ambasciatore
Mercy-Argenteau per favorire gli alleati. La madre di
Mademoiselle de Lorraine
era stata amante del duca di Choiseul e l'imperatrice
Maria Teresa avrebbe visto di buon occhio la promozione di qualcuno che veniva
da uno dei tanti rami del suo casato. Non potendo prendere posizione, cercò di
capire il punto di vista di chi le stava intorno.
-
Non avete nulla da dire in proposito? – chiese al
marito.
Assorto in una animata discussione sulla caccia
con il conte di Provenza, l'altro fratello ancora più grasso e più sgraziato di
lui, Luigi cadde dalle nuvole:
-
Perdonatemi, non ho sentito…
Infastidita
si voltò e
ripose la domanda alla gran maestra:
-
Voi cosa dite?
-
Sia fatta la volontà del re – rispose Madame l'Etiquette, ma in cuor suo riteneva ignobile che una ragazzina viziata,
appena arrivata lì, potesse favorire i parenti anche a costo di trasgredire le
regole di Versailles.
***
All'imbrunire del giorno fissato per il ballo si videro le duchesse
ferite nell'orgoglio, giovani e meno giovani, aggirarsi intorno alla corte in
abiti informali, malgrado i preparativi per le toilettes della sera richiedessero molto tempo. Avevano minacciato di disertare la
festa. Qualcuno se ne andò in giro
canticchiando un motivetto nato lì per lì …
Sire
i grandi alle vostre danze
vedranno
con immensa pena
un'umile
principessa di Lorena
aprir
senza pudor le maestranze.
Nell'imbarazzo
generale, il ricevimento iniziò con un paio d'ore di ritardo, quando la maggior
parte degli invitati si decise finalmente a prendervi parte. Malgrado
l'inverno non fosse finito e i vasti appartamenti, a dispetto di camini e
bracieri, fossero gelati, gli ospiti che erano una moltitudine riuscirono a
scaldare con i loro corpi il salone delle feste. Dappertutto fruscio di raso e
velluti, bisbigliare di voci, piacevoli accordi di
clavicembali e viole amplificate dall'acustica. Dappertutto l'odore
inconfondibile di Versailles: quello della cipria e della pomata che serviva a
fissarla. Poi, allo scoccare della fatidica apertura del minuetto, un silenzio
glaciale.
Si levarono le prime note e sembrarono
eterne. Mademoiselle di Lorranine
avanzò in un grazioso abito rosa e amaranto sostenuto da un voluminoso panier: cenerentola avversata, ora splendeva di rivalsa. Un
volteggio, un grazioso inchino. Tornò al posto con la soddisfazione stampata in
volto tra la costernazione generale. Subito dopo si vide il conte di Artois, il più agile e bello dei rampolli reali, invitare
una duchessa e condurla sulla scena. Un passo, due, tre. Via col minuetto. A
quel punto un
sospiro di sollievo si diffuse: “Anche se balla per secondo, un membro della
famiglia del re è infinitamente più illustre di una Mademoiselle
qualsiasi - pensarono tutti i nobili
importanti – dunque questa messa in scena è solo una bizzarria, un'infrazione
al cerimoniale senza conseguenze”…
Fu così
che la vittoria di Mademoiselle de Lorraine venne a mancare e tra il plauso generale si
ritornò all'ordine costituito: l'etichetta continuò a stabilire caste e
gerarchie, il rango trionfò, le differenze tra gli uomini furono esaltate, la
meschinità fu scambiata per grandezza. E la vicenda di Cerentola
tornò al regno di legittima appartenenza: quello trasgressivo e incantato dei
sogni.