La
rete
di
massimolegnani
Per
anni aveva creduto che il mondo attorno fosse come una nebbia che
persiste fuori dalla sua stagione, una cortina di sicurezza a sfumare
i contorni delle cose e tenerle a debita distanza. Era uno stare in
bilico tra benessere e oppressione, con la convinzione che sarebbe
bastata la potenza di un soffio per diradarla a suo piacere.
Più
avanti nel tempo gli era sembrato che il cumulo di affetti, di
incombenze, di amici, di lavoro, di svaghi, più subiti che cercati,
fosse diventato una ragnatela sul viso che puoi sempre distruggere
con una manata di fastidio.
Quindi
fu la volta della sindrome da accerchiamento, sai gli indiani, la
minaccia delle frecce e delle lance, indiani ovunque attorno ai carri
dei pionieri messi in cerchio. Ma la sua angoscia di morire trafitto
dalla vita era poco più di un gioco, che
tanto, prima della fine, arriveranno i nostri.
Ma
lui non si decideva, la potenza del soffio, la manata di fastidio, i
soldati blu in soccorso, languivano nel mondo delle ipotesi. C´è
tempo, si diceva,
posso salvarmi quando
voglio. E non voleva
mai, che in fondo i compiti, i consigli, gli incarichi, i
suggerimenti d´altri, per quanto lo potessero irritare, gli
alleggerivano la vita, era un sollievo non prender decisioni in prima
persona.
Quando
si accorse che la pressione che percepiva dall´esterno era in
realtà una rete che si stringeva sempre più attorno a lui, lui
pesce con sempre meno acqua in cui nuotare, lui uccello che non
ricordava il cielo, prima la voliera a illuderlo di non aver confini
poi una gabbia dove non poteva nemmeno sbattere le ali, quando capì
la consistenza in ferro delle maglie e l´esiguità dei buchi nella
rete, quando comprese l´irreversibilità dell´argano, ogni suo
giro un avviluppo a chiudere, ormai era tardi per opporsi. A quel
punto una chimera solo a pensarla la ribellione a ribaltare il
tavolo.
Così
si arrese senza lottare. Come fosse sonno si abbandonò alla rete,
lasciò che lo avvolgesse un giro dopo l'altro, un bozzolo a
soffocare lentamente. Lui baco senza seta e senza sete di diventare
mai farfalla.
Lenta
polenta
di
massimolegnani
È
questa la stagione giusta per gustare la polenta in cima a una
salita, un po´ come il tè nel deserto degli inglesi che alle 5
smettevano la guerra tra le dune per una calda cup of tea.
Qui
non c´è guerra ma fatica e sudore sotto un cielo afoso che non sai
se vuole piovere o fare sole. Così si sale lenti e cocciuti, è la
terza volta che tentiamo l´ascesa alla mitica polenta della
Valchiusella, una volta respinti dal maltempo e un´altra da una
deludente chiusura della trattoria.
Oggi
risaliamo la valle aiutati da un vento amico e ingolositi dal
pensiero di quel piatto che per noi è un po´ come la carota fatta
dondolare davanti agli occhi di un cavallo affaticato. La fame, la
lentezza, la carota, il vento sul paesaggio, ogni cosa contribuisce a
farci andare allegramente avanti e in alto.
Al
nostro arrivo scopriamo con rammarico che un gruppone di cinquanta
amici giunti tranquillamente in auto ha monopolizzato l´intera sala
della trattoria. Non ci sta più uno spillo lì dentro, ma la padrona
ci rincuora: tranquilli, due ciclisti stanchi non li mando certo
via!, e in un batter d´occhio ci appronta un tavolo all´aperto
sotto un sole benevolo che ci asciuga dal sudore. Ci serve un
piattone di polenta concia e salsiccia che mangiamo con la stessa
calma gioiosa con cui siamo saliti fino a qui in bicicletta.
Oggi
niente barrette iperproteiche, niente maltodestrine, niente bevande
energetiche, è questa la vera dieta del ciclista che ci piace,
grassa e golosa. È una sferzata allegra che di botto ripristina le
scorte, un sontuoso bottino di calorie che ci appesantirà il giusto
per affrontare più veloci la discesa.